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geriatriaRassegna di situazioni, fatti e numeri che parlano a favore della loro salvaguardia
La trasmissione televisiva, andata in onda giovedì 16 ottobre, si è occupata della nuova pianificazione ospedaliera cantonale. In studio c’era solo il Direttore del Dipartimento Sanità e Socialità.

Così Paolo Beltraminelli ha potuto “cantare” il suo trito, ritrito e stonato refrain. “Questa riforma ha per principio fondante la <specialità> dei singoli nosocomi, e non il numero dei letti!”. La solita foglia di fico, perché il progetto del DSS e dell’Ente Ospedaliero Cantonale prevede l’ inderogabile taglio di 250 posti letto “acuti”, pena un costo supplementare per le casse cantonali di 20 milioni di franchi soltanto per il prossimo 2015 (un ricatto o semplice informazione passata alla speciale commissione del Gran Consiglio?). Dice di voler bene alla valle di Blenio, il nostro Direttore. Lo crediamo. Ad Olivone, in occasione dei festeggiamenti del 1° agosto 2009 ha pronunciato il discorso ufficiale durante il quale ha perentoriamente affermato: “la valle di Blenio è prima di tutto dei Bleniesi e nessun progetto potrà essere promosso senza il consenso e la partecipazione attiva dei suoi abitanti” (“Voce di Blenio”, agosto 2009). Ha pure una cascina a Ghirone e intende volerci sempre ritornare. Ci sono però dei “ma” al suo amore per la nostra valle. Beltraminelli ritiene che la soluzione pianificatrice da lui proposta sia la migliore: “su questo treno bisogna salire, altrimenti, la linea salta” (un secondo ricatto?). “Costruiremo pure un nuovo stabile” (messaggio subliminale: “non lo faremo se la pianificazione non andrà in porto”? Un terzo ricatto?).
Ma caro Direttore, noi bleniesi (come i nostri convallerani della Leventina)sappiamo bene che cosa ci serve. Di esperienza ne abbiamo parecchia. Uno dei nostri tre sindaci l’ha esplicitato in modo cristallino: “per la nostra pelle, meglio avere un ospedale in valle piuttosto che 26 agenti di polizia a Biasca”. Non ci servono magniloquenti promesse. Ribadiamo: sicurezza, non rassicurazioni! E poi diciamola tutta, il Messaggio sottoposto alla speciale commissione del Gran Consiglio lascia troppi punti in sospeso e usa oltre misura il condizionale. D’altronde, il 13 febbraio scorso, in occasione della presentazione della nuova pianificazione, il medico cantonale Giorgio Merlani non aveva forse affermato: “L’importante è che vi sia l’avallo politico del concetto” (“la Regione” del 14 febbraio scorso)? Capita l’antifona, cari convallerani di Blenio e Leventina! Il Gran Consiglio voterà l’involucro e i nostri manager, in pieno accordo con i poteri più forti, non faranno fatica a riempirlo. A noi il fumo, a loro l’arrosto? “A pensar male….”. Ma la cosa più inquietante è costituita da confuse e contraddittorie affermazioni che rendono il Messaggio del Consiglio di Stato poco credibile. Un limpido esempio lo troviamo a pag. 14. Vale la pena citarlo: “I previsti Istituti di Cura: Ospedali di Acquarossa, di Faido e Malcantonese di Castelrotto continueranno a garantire le prestazioni erogate negli attuali pronto soccorso, se del caso potenziandole (sic!) con i prospettati Centri Medici d’Urgenza (CMU). Questi ambulatori medici (…) permetteranno di avere personale medico dedicato durante il giorno che, oltre alla propria attività ambulatoriale, accoglierà i pazienti che si presenteranno per consulti urgenti. Per le urgenze notturne si sta valutando la necessità di una guardia medica o di un picchetto medico”. Due considerazioni per chi ha redatto il Messaggio: primo, ha dato contorni e contenuti alquanto nebulosi ai due neonati che sono l'”Istituto di Cura” (IC) e il “Centro Medico d’Urgenza (CMU), secondo, non sa che i bleniesi (e pure i leventinesi a Faido) vogliono mantenere l’attuale Pronto Soccorso così com’è, con le sue prestazioni 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Si intende forse “potenziarle” con la barzelletta del campanellino da suonare? Il dottor Brenno Ambrosetti, al quale vanno i ringraziamenti più vivi e sinceri per tutto quanto ha fatto e fa ancora per l’alta valle di Blenio, è molto chiaro: “bisogna essere fuori di testa per pensare che un medico già sovraccarico di lavoro possa anche essere disponibile presso il CMU e per un picchetto in tutta la valle. La sede ospedaliera di Acquarossa per com’è attualmente organizzata non può essere depotenziata”. E aggiungiamo noi: siamo poi sicuri di trovare un successore ad Ambrosetti? I giovani professionisti preferiscono la specializzazione e quindi esercitare negli agglomerati urbani dove il tornaconto finanziario è più consistente, e dove l’impegno è meno gravoso rispetto al carico di lavoro richiesto da una zona di montagna. Il servizio pubblico di Acquarossa è assolutamente intoccabile.

 

Cantone dei Grigioni: l’eccezione di Promontogno

Il cantone dei Grigioni, con o senza Lamal, non ha seguito pedissequamente il cosiddetto modello di Zurigo (in sintesi: dove non c’è chirurgia si toglie la medicina di base ). Ha fatto un paio di eccezioni. Una è quella dell’Ospedale di Promontogno, in val Bregaglia. Esso dispone di 4 posti letto per la degenza acuta, accanto a una casa di cura con 34 posti (e un Pronto Soccorso operativo 24 ore su 24, 7 giorni su 7). Chi scrive ha contattato un esponente della sua amministrazione. Questo istituto ha la precipua funzione di dare sicurezza (non rassicurazioni!) ai 1600 abitanti della valle. In proporzione, Acquarossa dovrebbe quindi poter contare su almeno 15 letti (e altrettanti per la geriatria) per curare malattie acute per le quali non è il caso di spedire il paziente-pacco a Bellinzona, “il cui costo in termini economici, sanitari e sociali (spese di trasferta per i parenti in visita ai congiunti ivi ricoverati) non è stato nemmeno valutato” (Gianfranco Domenighetti, “Il Caffè” del 17 agosto scorso). E poi come si fa a non rendersi conto che il Pronto Soccorso di Bellinzona è un imbuto non in grado di far fronte ai potenziali pazienti di Leventina, Blenio, Riviera, Mesolcina (e sì, ci sono anche i mesolcinesi) e di tutto il Bellinzonese, ossia un totale di più di 85’000 persone? Il Locarnese (valle Maggia compresa) arriva ai 70’000 abitanti. E per i potenziali pazienti ci sono almeno due possibilità: o il Pronto Soccorso dell’Ospedale La Carità oppure quello della Clinica Santa Chiara. Purtroppo tra loro, a quanto pare, c’è poca coordinazione. Illuminante l’esperienza vissuta da Giorgio Ghiringhelli e raccontata su “La Regione” dell’8 maggio scorso. “Alla ricezione del PS dell’Ospedale c’è una persona inidonea a stabilire una priorità d’intervento basata non sull’ordine di arrivo dei pazienti ma sulla gravità della loro situazione”. Al limite della sopportazione del dolore (una colica renale con le sue lancinanti fitte), Ghiringhelli “alza i tacchi” e ripiega sul Pronto Soccorso della Clinica Santa Chiara dove viene subito assistito. Capitasse a Bellinzona quale sarebbe l’alternativa per pazienti bleniesi e leventinesi? Nessuna. Aspettare per ore, con il pericolo, in un caso simile a quello di Ghiringhelli, di un ingrossamento del rene e quindi della sua esposizione al rischio di subire gravi danni. Prima di “implementare” la nuova pianificazione, il DSS e l’EOC dovrebbero migliorare ciò che già esiste, anche nel rapporto pubblico-privato. Forse qualche risparmio lo si otterrebbe.
A proposito: si parla di una struttura per risonanze magnetiche presso la Stazione Ferroviaria di Lugano “gestita, e qui sta la novità, dall’EOC e dai suoi radiologi” (“il Caffè” del 26 maggio scorso). Il direttore del Civico ne giustifica la necessità per accorciare i tempi d’attesa presso il suo nosocomio. Encomiabile! Ma allora, se la causa dell’ingorgo è l’attuale e insufficiente attrezzatura, delle due l’una: o ci sono oggi radiologi in esubero allo stesso Civico oppure va assunto nuovo personale. Quindi più costi. Non è forse il caso di verificare se anche qui la soluzione non possa essere trovata con una più efficace collaborazione tra pubblico e privato?

 

Il “modello” Cevio

Nel corso della trasmissione di “Falò” è stata presentata la soluzione decisa alcuni anni or sono in valle Maggia: chiusura dell’ospedale di Cevio e la sua sostituzione con “un ambulatorio aperto il lunedì, giovedì e venerdì dalle 13 alle 17 e il martedì e mercoledì dalle 8 alle 12” (CdT del 6 febbraio u.s.). Sarebbe questo il “Centro Medico d’Urgenza” sbandierato nel Messaggio del Consiglio di Stato? Se funziona per i valmaggesi perché non potrebbe funzionare per bleniesi e leventinesi? La geografia ci dà una risposta molto chiara. Il nostro ospedale non si trova ad Olivone ma ad Acquarossa, nella media Blenio (e quello leventinese a Faido non ad Airolo), ed è rapidamente raggiungibile da ogni angolo della valle e dai suoi 6’000 potenziali pazienti. Viceversa, avevano forse bisogno di risalire la valle gli oltre 5’000 abitanti dei comuni di Maggia, Avegno e Gordevio ben più vicini all’ospedale La Carità di Locarno e alla clinica Santa Chiara che non a Cevio?
E quando il direttore Beltraminelli parla di un Messaggio elaborato dopo la consultazione delle sei
Conferenze regionali gli va ricordato che quella della Regione Tre Valli comprendeva solo tre rappresentanti (su 8) provenienti dal suo territorio. Altri membri provenivano addirittura dal Sottoceneri. Da sottolineare pure come il rappresentante dell’ACSI abbia unito il suo voto agli altri quattro che hanno avallato il progetto presentato dal DSS. Per l’Associazione dei Consumatori ci sono pazienti di serie A e pazienti di serie B! Ma c’è di più! Nel corso della trasmissione televisiva “60 minuti”, condotta da Reto Ceschi e andata in onda lunedì 3 novembre, il granconsigliere Paolo Sanvido ha detto, senza peli sulla lingua, che queste commissioni consultive non hanno fatto il loro lavoro e che sono state semplicemente “utilizzate come foglie di fico”! Di nuovo: evviva la credibilità del Messaggio del CS!

 

La soluzione del “Pronto Soccorso ambulante”

Sentiamo sempre il direttore del Dipartimento Sanità e Socialità: “e poi ci sarà una larga copertura del territorio col servizio delle autoambulanze, e se necessario con l’elicottero”. Punto uno: è tutta da scoprire la copertura veramente capillare. Punto due: quali sono i ragionevoli tempi di attesa per chi è colpito da un infarto, da un ictus, da un’emorragia ? Punto tre: chi decide di chiamare l’autolettiga o l’elicottero ed è in grado di valutare dove vada ricoverato il paziente, a Bellinzona, a Locarno, a Lugano? Ma soprattutto, e punto quattro: chi deve procedere alla fondamentale e tempestiva diagnosi sullo stato della persona colpita da improvviso malore se non un medico esperto? L’attuale triage fatto ad Acquarossa e a Faido è determinante, sia per prestare i primi soccorsi alla persona sofferente che dovrà essere ricoverata presso un nosocomio specializzato, sia per verificare se il paziente non possa invece essere curato in sede (con costi nettamente inferiori).
Sempre in tema di ambulanze. La nuova pianificazione ospedaliera prevede che il paziente, dopo la fase acuta, venga trasferito in un “Istituto di Cura” (come quello previsto ad Acquarossa nella sciagurata ipotesi del declassamento dell’ospedale). Tuttavia, non si esclude che lo stato di salute del paziente richieda un nuovo ricovero presso “l’Ospedale Acuto”. In effetti, non è sempre facile stabilire quando la fase acuta è terminata. Il corpo umano è complesso. Erogare il prodotto sanitario è qualitativamente diverso dal fabbricare un ascensore, tanto per fare un esempio.
Quindi, come ha già scritto qualcuno, assisteremo a una girandola di autolettighe che s’imbatteranno negli ingorghi del traffico che si formano dentro e attorno agli agglomerati. Ma ancora una volta c’è di più! Il già citato Giorgio Ghiringhelli riporta una pertinente considerazione: “Qualcuno ha osservato che se mi fossi recato all’ospedale con l’ambulanza sarei stato accolto
immediatamente. In tempi in cui si chiede un po’ a tutti di evitare costi inutili a carico della sanità (…) mi sembra un paradosso che la priorità venga stabilita in base al mezzo di trasporto utilizzato e non semmai al tipo di intervento”. Risultato perverso della nuova pianificazione: corsa all’autolettiga come se fosse un tassì, con il grosso rischio di non reperirne una per assistere in modo tempestivo una persona in grave pericolo di vita.

 

I costi dell’Ospedale di Acquarossa

Secondo fonti attendibili, poiché in merito l’EOC non fornisce alcun dato, il costo del nostro nosocomio è di 12 milioni annui (l’1,9%) a fronte di un totale di uscite che nel 2013 ammonta a 613,5 milioni (pag. 31 del rapporto annuale dello stesso EOC), ossia con un aumento di 33,6 milioni rispetto al 2012. Ad Acquarossa, dal 1992 ad oggi, il numero dei medici-assistenti è rimasto invariato: 5. Viceversa, nel breve spazio di un paio di anni il numero dei medici dipendenti dall’EOC è passato da 492 a 543 (più 50 unità).
Ma veniamo a situazioni concrete. Mi scuso se parlo di una mia esperienza. Ma è quella che conosco bene ovviamente e che meglio riassume i controsensi della nuova pianificazione ospedaliera. Nell’estate del 2001 vengo ricoverato ad Acquarossa per un’ernia discale. Entro su una sedia a rotelle. Venti giorni dopo esco con le mie gambe (e non avrò mai bisogno di qualsiasi sorta di antidolorifico). Il mio ricovero presso l’ospedale vallerano, sulla scorta dei dati forniti dal professore Gianfranco Domenighetti (ad Acquarossa il costo per giornata di cura è attorno ai 750 franchi, mentre al S.Giovanni è di 1’150 nel reparto di medicina interna), ha fatto risparmiare 8’000 franchi al cantone e alla cassa malati! E si è trattato di una malattia chiaramente acuta ma il cui approccio deve rispettare quei rigorosi criteri (anche di tempo) che consentono molte volte di evitare il sempre delicato intervento chirurgico. E Acquarossa costa molto meno per la cura di tutta una serie di normali malattie acute (chiamiamole pure “malattie acute di bassa soglia” ma sempre acute sono, come ha chiarito molto bene Bruno Cereghetti, un altro serio esperto di politica sanitaria, nel corso della già menzionata trasmissione televisiva “60 minuti”): polmoniti, edemi polmonari, infezioni alle vie urinarie, prostatiti, lombosciatalgie, aritmie cardiache, non pesanti o complicati calcoli renali e biliari, e chi più ne ha più ne metta.
L’Ospedale di Acquarossa ha inoltre una non comune dimensione umana riconosciuta da tutti i pazienti! Di recente, un’anziana signora di Cadenazzo (della quale mi è noto il nome), curata per una grave polmonite, mi ha detto (e l’ha persino scritto ai responsabili sanitari): “Ad Acquarossa c’è una cosa straordinaria: il CUORE”. Caro Beltraminelli, il nostro ospedale non cura soltanto i bleniesi. Se, come Lei afferma, ricovera pazienti del proprio distretto solo nella misura del 30% è semplicemente perché gli altri hanno bisogno di cure specialistiche, bisogno stabilito da un serio triage in valle, effettuato da medici con vasta e profonda esperienza. Lo scorso anno per un ictus (rivelatosi poi lieve) diagnosticato subito dal primario Giuseppe Allegranza, sono stato immediatamente ricoverato presso il Centro di Neurologia del Civico. Sciorinare dati statistici è fuorviante. E proprio a Lei Direttore, che è ingegnere, devo ricordare che “la statistique est comme une fille publique: on peut tout lui faire dire” (dalla lezione introduttiva del mio professore di statistica a Friburgo, fine anni Cinquanta”)?

 

Le cure geriatriche

Il criterio per la nuova pianificazione è “la specialità” e quindi la qualità, afferma sempre il Direttore del DSS. L’anziano con patologie acute e polimorbidi verrà curato a Locarno dove sarà preso in consegna da un team specializzato, la cui roboante definizione può essere letta a pag. 32 del messaggio del Consiglio di Stato. Struttura creata per “poche centinaia all’anno”. Possibile che per un’infinità di tematiche DSS e EOC siano straordinariamente precisi mentre qui si fornisce una cifra approssimativa: sono 2,3,4,5 o 600? Siamo al pressappochismo! In realtà, chi ha un po’ d’esperienza di vita familiare sa benissimo che gli acciacchi della vecchiaia possono essere curati da una buona medicina di base, proprio quella praticata oggi ad Acquarossa, dove tra l’altro il medico geriatra, Guido Ongaro, può già avvalersi delle figure professionali essenziali (fisioterapista, ergoterapista, psicologo). Si può inoltre leggere nello stesso messaggio del CS, sempre a pag. 32: “l’usuale presa in carico dei pazienti geriatrici fa parte delle cure di base di tutti gli istituti ospedalieri somatico-acuti”. Ma Acquarossa non va bene, anche se la cura acuta costa molto meno! Al DSS e all’EOC si vuole solo cambiare tanto per cambiare? Oppure c’è qualche manager cui fa gola un lauto bonus casomai questa pianificazione andasse in porto? O entrambe le cose?
Comunque bisogna avere una faccia di bronzo per affermare che l’ospedale bleniese è in declino (pag.40, sempre del messaggio CS) e non in grado di “competere con gli altri nosocomi somatico-acuti”! Ma non ci si rende conto che ad Acquarossa c’è un vero e proprio gioiello creato da un medico bleniese e il cui nome, per doverosa riconoscenza, va ricordato: Valerio Saglini. Dal 1992 al 2002 egli ha saputo raccogliere la sfida del rilancio di un ospedale al quale erano state giustamente sottratti i reparti di maternità e di chirurgia perché non più sostenibili sia dal profilo economico, sia da quello della sicurezza sanitaria. Una decisione questa presa, alla fine degli anni Ottanta, sulla scorta di dati raccolti dallo stesso professore Gianfranco Domenighetti, oggi convinto difensore delle attuali prerogative dell’ospedale. Nel condannare la prospettiva di un suo eventuale declassamento (come quello di Faido), Domenighetti non esita a usare il termine di “inequità” nei confronti delle popolazioni vallerane (sempre da “Il Caffè” del 17 agosto scorso). Il dottor Saglini ha saputo puntare non solo sulla qualità delle cure, ma anche su un fattore mai scontato presso un istituto sanitario: quello umano! E il suo successore Giuseppe Allegranza come il caposervizio di geriatria Guido Ongaro sono sulla stessa lunghezza d’onda.
La conferma di come un altro elemento sia estremamente importante per un anziano ci viene da Promontogno: “se dovessimo mandare gli anziani a St-Moritz o a Samedan, vi giungerebbero o ritornerebbero da morti”, mi ha detto con estrema sincerità la persona da me interpellata. Nell’assistenza all’anziano, la “prossimità” è senza dubbio alcuno la medicina più efficace. Ma per capirlo è necessaria quella sensibilità che i vertici del DSS e dell’EOC non paiono avere. Si sa che quella della sanità in Ticino è una mangiatoia traboccante (tre miliardi di franchi spesi all’anno, di cui uno per le cure ospedaliere), e solo chi è “forte” e sa sgomitare riesce ad approdarvi. È quanto sommessamente ha detto il buon Franco Vanzetti nel servizio di “Falò”: “a sém minga quel ca ghè sòta”. Sarà comunque interessante vedere come in Gran Consiglio voteranno i difensori della “gente” (Lega), delle “regioni di periferia” (PPD), del “servizio pubblico” (radicali e socialisti).

 

*articolo apparso sul periodico La voce di Blenio del mese di novembre 2014

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