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hartzIVNella Repubblica Federale sono aumentate le disparità sociali e la popolazione a rischio di povertà è passata dal 15,2% del 2008 al 15,8% del 2011. E’ il paese dell’Ue col maggior numero di poveri e dove è più profondo il solco tra settori di lavoratori ancora garantiti da un contratto e un salario decenti e chi viene mantenuto ai margini della società: 8 milioni di lavoratori poveri su 80 milioni di abitanti, un bambino su sette.

La Conferenza Nazionale sulla Povertà (Nak, a cui aderiscono le principali associazioni assistenziali come la Caritas e la Diakonie, ma anche sindacali come la DGB) ha rivelato, prima ancora del tonfo del Pil tedesco, che un cittadino su 4 vive al limite della soglia di povertà. La Germania, numeri alla mano, non è “la Merica”. Il sistema sociale ed economico considerato un modello è incapace di una distribuzione più equa della nuova ricchezza. Dopo poco più di un decennio di applicazione, la riforma HartzIV lascia in dote un’esclusione sociale fortissima e un abbattimento complessivo dei livelli salariali e delle garanzie sociali (oltre a una finanziarizzazione complessiva di tutti i servizi, dalla sanità alla scuola, passando alle pensioni).
In una piazza di Berlino, una moltitudine di croci ha voluto significare il cimitero delle vittime dell’Hartz IV*, il programma di assistenza federale. Salari bassi e dumping, indotti dai minijob hanno innescato una spirale verso il basso dei salari. Lavori precari, temporanei e scarsamente retribuiti stanno diffondendo un’epidemia e sostituiscono normali condizioni di lavoro, spiega un sito http://dieopferderagenda2010.wordpress.com/, che è una sorta di cimitero virtuale da dieci anni per le vittime di questo modello definito disumano. Sono uomini come Eugen, morto il 31 luglio nell’incendio delle sua baracca. Donne come Rose Mari costretta ad abortire, nel febbraio scorso, perché non saprebbe come sfamare suo figlio visto che anche suo marito è disoccupato. O, ancora, ragazzi come Tim, che s’è suicidato il 13 agosto del 2006 gettandosi dalla casa dalla quale doveva essere sfrattato per morosità. E’ successo a Francoforte, dove ha sede la Bce.
«Renzi, che lo evoca mentre impone il jobs act, lavora sul mito. Il modello tedesco è molto organicista e solidarista. Ma non è pensato per l’emancipazione delle persone». Alessandro Somma, docente di diritto comparato tra Berlino e Ferrara, chiarisce subito le finalità di quel modello: «Famiglia, impresa, società – spiega a Popoff – sono luoghi in cui si coopera ma per eliminare la conflittualità». E tira in ballo Bismarck, leader della politica tedesca nella seconda metà del XIX secolo, che coniò lo stato sociale tedesco sulla base del motto “Tu rinunci alla lotta, io ti concedo qualcosa”. Bismarck attuò fra il 1881 e il 1889 il primo sistema previdenziale al mondo (l’assicurazione contro le malattie, contro gli infortuni e un’assicurazione. Da lì il cosiddetto modello Krupp: alti stipendi, assistenza sanitaria e scuola per i figli dei dipendenti del colosso industriale già in quello scorcio di Ottocento. «La Costituzione tedesca, il Grundgesetz, è una carta senza diritti sociali – dice ancora Somma, autore di “La dittatura dello spread. Germania, Europa e crisi del debito” (DeriveApprodi, 2014, pagg. 300, euro 20) – ossia ci sono dentro tutti i diritti liberali (educazione, salute, ecc…) ma non c’è l’idea che la prestazione dello Stato sia la contropartita per un diritto all’uguaglianza sostanziale. Di qui il culto della Cogestione, le imprese sono amministrate con la partecipazione dei lavoratori. La logica è che hai dei vantaggi di tipo economico in cambio di sentirsi parte della comunità-impresa». Comunità e società (Gemeinschaft and Gesellschaft) si sovrappongono, l’individuo tedesco sente di avere dei doveri nei confronti della comunità.
Le parole chiave per capire il modello tedesco, secondo Somma, sono “economia sociale di mercato”, «un nome inventato dopo la guerra per riciclare il modello economico sviluppato durante il nazismo. Hitler aveva azzerato le libertà politiche ma non il capitalismo, le leggi del mercato divenivano leggi dello Stato, la “mano invisibile del mercato” di Adam Smith diveniva visibile. E’ l’ordoliberalismo che domina la scena tedesca – dopo aver battuto l’altra opzione, quella della democrazia economica, dei beni comuni – dalla fine della seconda guerra mondiale. Si tratta di una logica di sistema: serve a far funzionare l’ordine sociale nel suo complesso, l’emancipazione delle persone è pensata solo come inclusione delle persone nell’ordine di mercato».
Il nome dell’operazione, promossa da Adenauer e di cui parla Somma è appunto, economia sociale di mercato, soziale Marktwirtschaft, un nome inventato da Alfred Müller-Armack, ex nazista. «Il nazismo non è solo la Shoah, è soprattutto un modello economico», ricorda il docente che spartisce il coordinamento scientifico dell’Insolvenzfest con Massimo Ferro. L’ordoliberalismo ha i concetti di organicismo e di sussidiarietà orizzontale con la dottrina sociale della chiesa e quel nome, economia sociale di mercato, è certamente più «sexy», come direbbero gli anglosassoni. «Il mercato è la società, l’inclusione è nel mercato, la socialità è quella necessaria e sufficiente al mercato come dispositivo biopolitico».
E’ dentro questa gabbia che la Spd, la socialdemocrazia ridisegna continuamente lo stato sociale in funzione del mercato. L’Agenda 2010, la pesante revisione del welfare ideata dal governo rosso-verde di Schröder non fa eccezione. Per Somma è un meccanismo neoliberale basato sull’assunto che tutti devono lavorare, serve anche a fare la guerra a chi fa la concorrenza alla Germania, come l’Italia e il Sud Europa. Come l’euro (la Germania è lo stato a cui è stata demandata la definizione dei suoi parametri), il taglio del welfare è uno strumento di disciplina.
La riforma schröderiana più discussa, sulla scorta del Trattato di Lisbona unificò il sussidio di disoccupazione di lunga durata agli aiuti sociali. Sussistenza e indennità sono pensate per mantenere le persone in una condizione di minorità. L’assegno per i senza lavoro fu ridotto da 2 anni ad 1, e fu introdotto “Hartz IV” (dal nome dell’ex capo del personale della Volkswagen), un sussidio di importo minore rispetto al passato e valido solo per chi cerca attivamente un lavoro. Il beneficiario che non dimostra volontà (che non accetta qualsiasi mansione) nel cercare un lavoro viene penalizzato, anche con l’interruzione del versamento. E poi l’invenzione dei “lavori da un euro”, così li chiamano in Germania, i mini job, lavoretti da 450 euro al mese, senza un tetto orario, secondo un preciso calcolo biopolitico, per non scendere sotto il livello di povertà. Secondo la definizione della Ue, la povertà è definita da quei redditi inferiori al 60% del reddito medio. Per la Germania, nel 2012 la soglia per un single era di 869 euro mensili, mentre per una famiglia con due adulti e due bambini sotto i 14 anni era di 1.826 euro. Quote significativamente più alte rispetto a quanto stabilisce questo programma pubblico di assistenza.
«Non sono altro che aiuti di stato all’economia», continua Somma. D’altronde Hartz, ex sindacalista, è stato un manager che s’è dimesso dopo una condanna a due anni (tramutati in 300mila euro) per una storia di corruzione con favori a sindacalisti, mazzette ad aziende fittizie e ricorso a prostitute pagate dall’azienda. Ciò che più colpisce è la forbice che si divarica tra il Land con la percentuale minore, il Baden-Wuerttemberg (11,1%) e quello nella situazione più critica, Brema (23,1%). Nella stessa Berlino, 400mila persone, uno su otto, vivono col reddito minimo».
«E il peggio è che il modello tedesco, e ancor di più quello danese, se lo può permettere solo il centro dell’impero, è troppo costoso per le nostre imprese viziate dalla continua compressione di diritti e salari», dice Somma a proposito dei ripetuti annunci di Renzi. La Germania è governata per la terza volta di seguito da una Grosse koalition mentre il Pil tocca quota zero e i tedeschi ne danno la responsabilità al Sud dell’Ue. La popolarità della Merkel è al 73% e lo Spiegel lancia un nuovo patto: basta con l’austerità ma solo a Berlino, il Sud Europa potrà, «come negli anni 50», spedire l’eccedenza della forza lavoro in Germania. Alcuni mesi fa, l’Agenzia federale del lavoro, ente pubblico tedesco, ha organizzato incontri per reclutare disoccupati pugliesi da destinare alle imprese in Germania.
Anziché il socialismo in un solo paese, siamo allo stato sociale in un solo paese. «Resta che quel modello non è una risposta alle rivendicazioni sociali ma il tentativo di pacificazione di fronte a una ricchezza di sistema che non viene redistribuita. E’ questo che distingue i fascismi dalla socialdemocrazia. Infatti, se non esiste alcun contropotere, un organismo collettivo in grado di sostenere quelle rivendicazioni, l’individuo reagisce agli stimoli del mercato». Infatti, in Germania, il sindacato è impastoiato dalla cogestione, il livello di compromissione è tale che «ogni tanto si “bevono” qualche dirigente per insider trading», aggiunge il docente.
«Non è più la crisi, è la decrescita infelice», conclude Alessandro Somma.
Nel recente seminario estivo di Sinistra anticapitalista, Angela Klein, giornalista e militante della quarta internazionale, ha spiegato come la Merkel stia rimodellando la Germania come paese esportatore. La sua relazione conferma l’analisi di Somma quando si dice che il rifiuto di ridurre le tasse e la definizione, per la prima volta, di un salario orario minimo a 8 euro e mezzo (in 7 milioni guadagnano meno) è un modello non esportabile. Contratti aboliti o inesistenti (ce ne sono solo per categorie storicamente compatte come i metalmeccanici, ad esempio, ostacoli alla sindacalizzazione, degrado della scuola e dei servizi, povertà in crescita e corsa al riarmo, sono stati elementi del paesaggio sociale disegnato da Angela a Bellaria con la consapevolezza della crisi dell’estrema sinistra in un quadro politico che registra l’ascesa (con l’Alleanza per la Germania, Afd) di tendenze populiste e xenofobe nelle regioni più povere.

* Il sistema di welfare Hartz IV si divide in due voci principali: Arbeitlosergeld I (ALG I) e Arbeitlosergeld II (ALG II). Possono accedervi tutti i cittadini UE (sebbene su questo la Germania abbia tentato e tenti a intervalli regolari forzature rispetto alla Corte Europea). L’ALG I è un’assicurazione che il lavoratore versa (quando però ha un contratto full time) lavorando. Qualora perda il lavoro ha diritto a ricevere per 12 mesi l’80 per cento del salario, e questa cifra viene appunto coperta da questa assicurazione. Quando la disoccupazione dura più di 12 mesi, o quando non si è mai avuto un lavoro full time, o quando appunto si ha un lavoro a mini job si ha diritto all’ALG II (che in questo ultimo caso è un integrazione rispetto al salario da mini job).
I Job Center sono uffici territoriali che si occupano di seguire le persone che usufruiscono dell’ALG II. L’ALG I e la funzione da uffici di collocamento veri e propri (sempre territoriali) fanno capo all’Agentur für Arbeit. Questo è interessante perchè la differenziazione tra uffici segna in modo molto marcato due diversi mercati del lavoro. Uno altamente qualificato e d’elite (il lavoro e le proposte formative che provengono dall’Agentur für Arbeit) e uno invece sotto eterno ricatto salariale/esistenziale (il percorso burocratico ed esistenziale del Job Center).