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classe operaiaLo scontro sociale dell’autunno è in corso in tutta la sua drammaticità, ma esiste uno scarto profondo tra la incerta consapevolezza della classe lavoratrice della portata storica degli avvenimenti e degli strumenti di lotta da mettere in campo e il lucido disegno del padronato di regolare definitivamente i conti non solo con gli operai, ma con gli stessi apparati sindacali burocratici, di cui pure si sono serviti nel corso degli anni per sviluppare la loro offensiva.

Questo governo è il governo dei padroni che più non si può; ha un compito preciso spazzare via tutto quello che ancora resta delle conquiste sociali del passato, ma anche di spazzare via quello che resta di sedimentazione politica ed organizzativa del movimento operaio. Renzi è il governo che deve realizzare fino in fondo il sogno di Squinzi e della Confindustria, ma anche dei tanti padroni e padroncini che hanno una sola fede, quella dei profitti e che considerano la forza lavoro un limone da spremere e da buttare, le lavoratrici e i lavoratori una razza inferiore come ben traspariva dagli interventi dei protagonisti della Leopolda. E’ un governo a cui la democrazia sta stretta, il parlamento è un impiccio, la protesta sociale una devianza da risolvere con la repressione.
Questi padroni si sentono ora sicuri di poter commettere qualsiasi nefandezza sul piano dello sfruttamento, dei licenziamenti individuali e di massa, dei ricatti e delle riduzioni salariali, perché sanno di avere a Palazzo Chigi l’amico del cuore.
Basta guardare la vergogna della dirigente capitalista (italiana) della Thyssen Krupp che non paga gli stipendi ai lavoratori per prenderli per fame, commettendo un chiaro reato, senza che nessuno gliene chieda conto, oppure l’Alitalia che licenzia (quanto è moderna!), semplicemente disattivando i badge dei lavoratori, per non parlare delle infinite angherie quotidiane dei padroni contro i lavoratori in tutto il paese. Oppure l’imprenditore che alla Leopolda non ha più paura di proporre apertamente l’abolizione del diritto di sciopero, o il personaggio televisivo che plaude alle botte ai lavoratori sapendo di poter fare a meno dell’ipocrisia, oppure ancora l’imprenditore lombardo che nell’accogliere nella sua fabbrica Renzi non trova di meglio che mettere in ferie obbligate i suoi dipendenti. O l’inquietante applauso scrosciante che, ancora alla Leopolda, ha salutato l’affermazione trionfale del leader che annunciava che in Italia il posto fisso è finito. Razza padrona.
Tutti questi sanno che il governo sta lì proprio per rendere normale ed accettato questo stato di cose, questo presunto futuro in cui il lavoratore viene invece riprecipitato nell’ottocento, prima che sorgessero le organizzazioni del movimento operaio.
Perfino Susanna Camusso non ha potuto non accorgersi che il governo Renzi è stato messo lì dai poteri forti. A dire il vero se ne è accorta non quando i lavoratori perdevano pezzo dopo pezzo, diritti, tutele, conquiste, ma quando il governo ha tagliato ogni ponte con l’apparato della CGIL col chiaro proposito di smantellarlo.
Del carattere antioperaio del governo ha dovuto prendere atto anche Landini che inconsultamente aveva provato a dialogarci ritrovandosi sulla testa prima i lacrimogeni di Torino e poi i manganelli della manifestazione romana dei lavoratori della AST di Terni.
I dirigenti sindacali della CGIL hanno dovuto riconoscere che le possibilità di condizionamento e di mediazione sono saltate; sperano però ancora di poter contenere l’attacco del padrone e del governo attraverso un limitato grado di mobilitazione.
Ma il problema è proprio questo: Renzi e la sua banda confindustriale non hanno alcuna intenzione di fare prigionieri nello scontro attuale, vogliono tutto.
E la differenza tra i due schieramenti sta proprio qui; da parte capitalista c’è la determinazione e la volontà feroce di andare fino in fondo, di sbaragliare definitivamente una classe operaia, provata dalle sconfitte precedenti e dalle tante false illusioni mediatiche; dalla parte della classe operaia a dirigere ci sono apparati che con diversi gradi di responsabilità hanno assecondato e gestito questa ritirata e che oggi difficilmente possono arrivare ad avere la volontà di ricercare gli strumenti necessari per condurre questa guerra sociale, chiamando a raccolta tutte le energie potenziali per poter sconfiggere il padronato.
Come ha scritto il coordinatore della opposizione di sinistra Cgil “Le manganellate di ieri sono l’altra faccia della Leopolda, la sua prima pesante rappresentazione sociale. Non c’è spazio alcuno alla rappresentanza di interessi che configgono con i dettami delle banche, della UE. I saldi invariati della legge di stabilità sono il dogma sotto il quale si compie la progressiva cancellazione del nostro modello sociale. L’austerità chiede repressione. Se non puoi rispondere ai bisogni sociali dovrai reprimere chi lotta. Crolla così il mondo su cui la Cgil era seduta. Quel mondo fatto di legittimazioni formali, di ritualità e di consuetudini burocratiche”.
Inoltre in questo scontro sociale c’è un altro protagonista estremamente pericoloso e non da sottovalutare per il ruolo che potrebbe avere nelle vicende future. Il 18 ottobre hanno sfilato per le vie di Milano decine di migliaia di persone mobilitate da una Lega Nord sempre più razzista e di destra contro “l’invasione islamica”, attivando tutto il rancore e la demoralizzazione di vasti strati popolari e piccolo borghesi di fronte alla crisi economica e alle politiche dell’austerità. Inquadrati militarmente insieme alla Lega hanno sfilato un folto numero di appartenenti alla organizzazione di estrema destra Casa Pound. Questi soggetti puntano chiaramente a polarizzare all’estrema destra una parte consistente del malessere e della rabbia popolare, cercando di riprodurre in Italia quello scivolamento verso l’estrema destra che si è determinato in altri paesi europei: una mobilitazione della classe lavoratrice capace di polarizzare e di parlare ai più vasti strati popolari diventa essenziale per poter disinnescare questo pericolo che si delinea nello scontro sociale.
E in questo scontro così difficile i tempi e le modalità della mobilitazione e delle lotte non sono secondari, ma possono diventare decisivi. Occorreva ed occorre più che mai incalzare subito un governo che forse non si aspettava una reazione di classe come quella che, pur tra mille difficoltà, si è manifestata ad ottobre né una mobilitazione così grande come quella del 25 ottobre a Roma. E, soprattutto, era disabituato a constatare la riuscita di molti scioperi.
Due elementi sono fondamentali per allargare la forza e la dimensione degli scioperi: che i lavoratori vedano che i gruppi dirigenti sindacali questa volta vogliono fare sul serio e che lavorano per allargare ed unire le lotte.
La direzione della CGIL ha invece preso tempo per lo sciopero generale, adducendo la giustificazione di sempre: che ci vuole del tempo per prepararlo. Ma questo è certo vero proprio perché i funzionari e l’apparato da tempo hanno smesso di praticare la lotta di classe.
Ma molte volte uno sciopero, vero e non solo dimostrativo, riesce proprio perché è tempestivo, perché appare efficace e necessario, perché collegato a fatti o avvenimenti quotidiani inaccettabili. Lo sciopero ventilato dalla CGIL potrà servire a salvare la coscienza dei dirigenti sindacali, ma rischia di arrivare tardi, con i provvedimenti economici approvati da un parlamento subalterno, lasciando tutto il tempo a Renzi e al governo di mettere in atto le loro manovre e ricatti. E anche di attivare tutti gli strumenti di controllo e di divisione della cosiddetta opinione pubblica.
Lo sciopero generale è fondamentale per costruire una prova di forza, soprattutto per unire tutte le forze, tutte le categorie dei lavoratori, ma anche di unire tutte le organizzazioni sindacali e sociali.
Ad oggi ci sono “troppe mobilitazioni” e troppe piazze divise. La Fiom convoca un sacrosanto sciopero dei metalmeccanici, ma lo divide in due giornate diverse al Nord e al Sud, invece di concentrarlo nella giornata del 14 novembre che avrebbe coinciso con la giornata di sciopero e mobilitazione dei sindacati di base e conflittuali e dei movimenti sociali, stando attenta a non forzare il percorso della CGIL di Camusso.
I sindacati di base invece di unire la loro mobilitazione a Milano a quella della Fiom si costruiscono una piazza diversa, che serve certo per riaffermare una radicalità di contenuti e di percorsi, ma che non tiene conto che l’unità nelle mobilitazioni è indispensabile per convincere altri settori e riuscire a vincere; è quello che chiedono i lavoratori.
I militanti sindacali della nostra organizzazione e tutta Sinistra Anticapitalista continueranno a battersi perché questa unità si realizzi.
Bisogna che la prova di forza in atto sia gestita dalla classe operaia per lo meno con la stessa lucidità di classe di quella dei padroni e fino in fondo.
La partita si gioca in questo cruciale mese di novembre; questo governo reazionario e “monarchico” dell’autocrazia finanziaria e industriale che persegue un futuro di rapporti sociali copiati dall’ottocento deve essere cacciato per tener aperta la strada della classe lavoratrice. Senza questa sconfitta di Renzi e soci ci sarebbe ben poco da festeggiare sotto l’albero di Natale.