La tensione esistente a Milano sulla questione delle occupazioni di case popolari continua a crescere. Non passa giorno senza interventi militari per lo sgombero di famiglie occupanti ma, fortunatamente, anche senza mobilitazioni in risposta a questi interventi.
L’occupazione delle case popolari a Milano è un fenomeno oramai consolidato che non è storicamente espressione di un vero e proprio movimento di lotta. Si tratta, nella grande maggioranza dei casi, di risposte individuali a una situazione di mancanza di alloggi a prezzi accessibili oramai endemica nella città.
I numeri
Gli alloggi pubblici occupati a Milano sono circa 4.500 sugli 87.000 esistenti (58.000 Aler e 29.000 del Comune di Milano) il 5 %. Accanto a quelli occupati vi sono altri 8.800 appartamenti sfitti e riscaldati (3.078 comunali e 5.713 Aler, dati ufficiali e sicuramente sottostimati) il 10,1 %. Nel privato è calcolato esserci all’incirca 60.000 appartamenti sfitti o comunque vuoti cui dovremmo aggiungere centinaia e centinaia di strutture già adibite a uffici o a produzione tenute vuote in attesa di operazioni speculative.
Nel 2013 sono stati concessi 17.000 sfratti esecutivi con intervento di forza pubblica, 12.000 dei quali per morosità. Occorrerebbe aggiungere a questo dato gli sfratti eseguiti nei confronti di famiglie non più in grado di pagare le rate dei mutui accesi con le banche per l’acquisto della prima casa. Ogni giorno sono eseguiti in città 7/8 sfratti.
23.000 famiglie sono in graduatoria per l’assegnazione di una casa popolare, 640 di queste ha l’assegnazione sulla carta ma sono prive di offerta e di queste 300 sono già sfrattate e in mezzo alla strada. 11.151 delle 23.000 famiglie ha un reddito ISEE sotto i 7.000 euro annui mentre altre 11.064 sono sotto ai 17.000 euro annui. L’affitto per un monolocale a Milano viaggia tra 5 e 800 euro mensili secondo le zone.
La morosità poi colpisce in maniera sempre più forte anche gli inquilini delle case popolari. Dal 2007 al 2013 il monte canoni richiesto dall’Aler è passato da 70 a 124 milioni di euro con un incremento del 77%. Si aggiunga che un incremento ancora più sostanzioso si è verificato sulla parte spese (condominio, riscaldamento, ecc.) dei bollettini di riscossione: gli inquilini dell’area protezione (quelli con un reddito medio di 500 euro mensili) hanno subito un incremento del 30% (da 180 a 250 euro mensili circa). Il risultato è che negli ultimi anni la morosità è aumentata in modo esponenziale passando dai 6,6 milioni di euro del 2007 ai 37 del 2013 (29% del totale affitti): un terzo degli inquilini di casa popolare non è più in grado di pagare l’affitto.
Le occupazioni
In questo contesto il fenomeno delle occupazioni di case popolari, lo abbiamo già detto sopra, è stata una risposta, per lo più individuale, a situazioni di vera e propria emergenza sociale. Famiglie che si trovavano dalla mattina alla sera senza un tetto sulla testa, che non trovavano nessuna risposta da parte delle istituzioni mentre migliaia e migliaia di appartamenti pubblici restavano vuoti e non assegnati. Logicamente percorrevano l’unica strada a loro possibile: l’occupazione di una casa popolare.
Negli ultimi tre anni, parallelamente a una diminuzione di assegnazioni (da 2.500 a una media di 1.100 annue) sono aumentate le occupazioni passate da 2.500 a 4.500.
Assieme alle occupazioni, proprio perché non vengono da una lotta organizzata, sono cresciute negli anni forme di sfruttamento del disagio che i media continuano a chiamare racket. Si tratta per lo più di fenomeni marginali e circoscritti nel tempo. Per cifre che variano da poche centinaia a 1.000 euro, puoi trovare chi ti aiuta a trovare una casa popolare vuota e ti aiuta anche ad aprirla. Il rapporto finisce lì, sulla soglia di casa. E comunque chi occupa (parliamo di abitazioni mediamente di 40 metri quadri, spesso malandate quando non fatiscenti, in quartieri abbandonati a se stessi) lo fa perché non vi sono alternative: non è lui o lei il responsabile della situazione ma l’assenza totale di una politica per la casa e i colpi di maglio della speculazione edilizia. In realtà, quando emergono fenomeni significativi di presenza della criminalità organizzata in questi quartieri, è più facile che coinvolga persone che il contratto l’hanno stipulato, magari diversi anni fa, quando l’ingresso nelle graduatorie di assegnazione era alimentato da favoritismi e clientele.
Chi condanna l’illegalità dell’azione non ha mai dormito in auto o in una baracca sotto un ponte della ferrovia con i propri figli. Fa il paio con quelli che vogliono far affondare i barconi con gli immigrati nel Mediterraneo adducendo di non voler favorire la tratta delle persone umane.
Anche l’argomentazione continuamente usata che chi occupa porta via casa agli assegnatari è risibile. I veri ostacoli alla assegnazione degli appartamenti vuoti sono altri. In primo luogo la scelta politica di vendere il patrimonio residenziale pubblico per fare cassa e dare nello stesso tempo un “aiutino” alla speculazione edilizia e alle grandi immobiliari (bisogna pur metterla in moto l’economia!). Il recente decreto Lupi prevede la vendita all’asta delle case popolari degli enti pubblici dislocati in tutta Italia e questo senza nessuna facilitazione per gli inquilini eventualmente residenti. E’ più facile vendere una casa senza inquilini ed è preferibile rinunciare a qualche anno di affitto sociale di un appartamento per poterlo vendere a prezzi di mercato più tardi: le case devono quindi restare vuote. Il riscaldamento degli appartamenti inutilizzati intanto (almeno a Milano) è equamente ripartito tra gli inquilini residenti.
Che la cosa finirà, se non è bloccata dalla mobilitazione, per favorire le grandi immobiliari è palese se si guardano i dati di vendita dell’ultimo periodo. Il mercato immobiliare non è un segreto essere in difficoltà (anche a causa del blocco del prestito bancario). Nel 2013 sui 231 alloggi messi in vendita dall’Aler di Milano, solo 100 hanno trovato un acquirente e non si capisce perché, se fossero stati messi in vendita tutti gli 8.800 vuoti, il mercato avrebbe dovuto rispondere in maniera diversa. Il mercato no, ma le immobiliari sì.
Molti dei quartieri popolari sono sorti, all’origine, in zone periferiche e poco servite. Nel tempo la cosa è cambiata e le aree di questi insediamenti sono oggi spesso appetibili per chi volesse costruire cubature residenziali ad alto grado speculativo o mega progetti degli archistar. L’esempio più eclatante è il quartiere popolare di San Siro a Milano sul quale sono decenni che si pensa a un abbattimento per fare spazio ad altro di più remunerativo. 6.000 alloggi degradati collocati a poche centinaia di metri dallo stadio e da una zona abitata dall’alta borghesia milanese servita da diverse stazioni della metropolitana.
In secondo luogo il taglio degli investimenti per l’edilizia pubblica ha, nel corso degli anni, fatto sì che il patrimonio residenziale pubblico resti in forte deficit di manutenzione e gli appartamenti, una volta lasciati dagli inquilini (spesso per causa di morte), avrebbe bisogno d’interventi di ristrutturazione che l’amministrazione non vuole e spesso non può fare.
In terzo luogo la struttura burocratica ed elefantiaca dell’Aler e delle altre istituzioni per la casa, rende lunghissima la prassi delle assegnazioni e le case abitabili rimangono comunque vuote per anni e anni.
Il degrado
Il fenomeno delle occupazioni si è accompagnato nel corso degli anni al degrado più generale dei quartieri popolari. La mancanza d’investimenti e un abbandono quasi scientifico da parte delle istituzioni, nel quadro di tagli alle spese sociali sempre più incisivi, ha contribuito a far crescere le situazioni di disagio e di scontro tra abitanti (assegnatari contro occupanti, assegnatari in linea con i pagamenti contro assegnatari morosi, italiani contro immigrati e chi più ha più ne metta). In questi quartieri la guerra tra poveri ha una dimensione quotidiana. Negli ultimi anni poi l’attacco ideologico della destra ha avuto gioco facile a fare presa in questi settori distruggendo qualsiasi tipo di coesione sociale.
L’azione delle sezioni territoriali dei DS prima e del PD poi, non solo non ha contrastato questo fenomeno, ma, soprattutto negli ultimi due anni, ha soffiato ulteriormente sul fuoco della divisione arrivando addirittura a organizzare comitati di “cittadini” che si opponevano alle occupazioni sia richiamando l’intervento della polizia ma anche, in alcuni casi, con azioni dirette per impedire l’ingresso di famiglie senza casa agli appartamenti sfitti. Le parole d’ordine di questi comitati sono le stesse dei leghisti e dei fascisti: ordine e legalità. Il disagio e le difficoltà portate dalle occupazioni sono reali, ma anziché lavorare per costruire unità e difesa sociale collettiva, si va esattamente nella direzione opposta. La cosa peggiore è che quest’azione alimenta in modo esponenziale uno dei mostri del nostro tempo: il razzismo. I quartieri di case pubbliche sono ovviamente abitati dalla parte più povera della popolazione di cui poi gli occupanti sono normalmente quelli ancora più poveri. Le famiglie degli immigrati sono una fetta considerevole di questa povertà.
I sindacati inquilini, con l’eccezione dell’Unione Inquilini, da qualche tempo hanno abbandonato il terreno del sostegno agli occupanti. Anzi il SUNIA (il sindacato casa legato alla CGIL) da sempre assume posizioni forcaiole dialogando in modo stretto con i comitati di cittadini di cui sopra e opponendosi a qualsiasi tentativo di sanatoria per gli occupanti.
Fortunatamente, seppure a volte con un approccio ideologico, da alcuni anni piccoli settori di militanti di centri sociali hanno cercato di costruire una resistenza organizzata nei quartieri popolari che ha portato oggi a una mobilitazione che si sta sempre più allargando.
Le istituzioni
La situazione di tensione di questi giorni, oltre a essere un sottoprodotto della ripresa delle mobilitazioni sociali più generali, ha origine anche nello scontro che si è aperto tra Comune e Regione negli ultimi mesi. Infatti, pur essendo fortemente unite nello spendere miliardi di euro per l’Expo 2015 (esattamente 3 miliardi e 200 milioni di euro – tremiliardieduecentomilioni), Pisapia e Maroni si stanno preparando per le elezioni comunali milanesi del 2016 e la gestione delle case popolari è diventata scenario di questo scontro.
La giunta milanese ha deciso di togliere all’Aler (ente sotto la direzione della Regione) la gestione dei 29.000 appartamenti pubblici di proprietà del comune di Milano e di affidarli alla MM (Metropolitana Milanese), S.p.A. a partecipazione comunale. Maroni da parte sua ha annunciato una legge che cambierà le norme di assegnazione delle case popolari togliendo il compito di fare le graduatorie ai comuni. A seguito di questo scontro sono partite forti polemiche sulla stampa locale e, da metà ottobre, una campagna televisiva sul TG regionale tendente a fare aumentare le tensioni nei quartieri oggetto del contendere. La televisione ha veicolato costantemente tutti i luoghi comuni, pesantemente reazionari, già circolanti in città preparando il terreno all’offensiva militare contro gli occupanti. Dichiarazioni roboanti di Maroni (faremo 200 sgomberi in una settimana) ma altrettanto negative di Pisapia e dell’assessore alla casa della sua giunta Daniela Benelli di SEL (famosa perché al momento del suo insediamento saltò fuori essere titolare di un affitto a prezzo di favore di una casa di proprietà dell’istituto dei ciechi). Nessuno di questi signori, fortemente coinvolti dal realizzare l’EXPO’ (che poi pagheremo duramente), ha comunque fatto nulla per affrontare seriamente la questione in questi anni. Di Pisapia circola un video con una sua dichiarazione ai tempi della campagna elettorale in cui afferma essere, le occupazioni, quasi una scelta obbligata per chi, in stato di necessità, si trova a dover affrontare il problema alloggio. Oggi le sue dichiarazioni, come quelle della Benelli, a proposito della nuova gestione delle case comunali, sono dello stesso tenore di quelle di Maroni: lotta radicale contro l’abusivismo, telecamere e guardie giurate per contrastare il fenomeno, repressione insomma. Non una parola sulla necessità di sanare le occupazioni in corso contrattualizzandole, non una parola su un intervento sullo sfitto privato.
La resistenza
Ma l’operazione giocata sulla pelle dei “senza casa” non è andata liscia. Fortunatamente la resistenza c’è stata e ha obbligato gli apparati repressivi a rallentare in modo drastico le operazioni di sgombero. A ogni iniziativa di espulsione dalle case, centinaia di occupanti e militanti solidali sono intervenuti scontrandosi con la polizia e riuscendo anche in qualche caso a impedire lo sgombero. Fiaccolate e presidi antisfratto si svolgono quotidianamente. Di certo è che la saldatura temporale con le mobilitazioni dei lavoratori, lo sciopero sociale e tutte le altre mobilitazioni che si stanno sviluppando in questo periodo, ha reso molto più difficile questo tipo d’interventi che corrono il rischio di infiammare anche la piazza milanese. Oltretutto anche questi interventi hanno un costo. Più o meno ogni intervento vale, tra personale di vario genere e lastratura della porta e delle finestre, 5.000 euro. Se i 200 sgomberi annunciati da Maroni fossero eseguiti andremmo quindi a una cifra di 1 milione di euro (cui andrebbero aggiunti i costi per il ricovero di minori e madri in istituti – circa 180 euro a persona al giorno). Se poi moltiplichiamo per 4.500 occupazioni… Un piano difficilmente realizzabile l’obiettivo sembra più quello di seminare il panico e frenare il fenomeno delle occupazioni e nello stesso tempo regolare dei conti politici.
Una risposta alla necessità di casa passa su diversi terreni alcuni dei quali non possono essere affrontati senza un rovesciamento delle attuali politiche economiche. Il rilancio dell’edilizia residenziale pubblica è ovviamente antitetico alla politica di vendita del patrimonio edilizio di proprietà dello stato e al famigerato decreto Lupi che va rigettato in toto. Anche a livello locale però un’amministrazione schierata nettamente dalla parte dei più deboli potrebbe operare alcuni interventi a partire da una sanatoria generalizzata delle occupazioni abusive e dall’assegnazione rapida degli appartamenti pubblici sfitti. Potrebbe ancora intervenire sullo sfitto privato in particolare su quello di proprietà di immobiliari, banche, assicurazioni e – perché no – delle istituzioni religiose attraverso provvedimenti di requisizione che la legge rende possibili in caso di necessità. Ma la giunta milanese, e tanto più la Regione, non potrà ne vorrà muoversi in questa direzione: le banche, le assicurazioni, le finanziarie sono le stesse con cui si fanno affari per l’EXPO’. Anche chi a sinistra di Pisapia dovrebbe stare, è molto tiepido sul terreno delle occupazioni come su quello dell’EXPO’: non si può criticare tanto se si vuole a tutti i costi rinnovare le alleanze per le prossime elezioni locali.
I militanti di Sinistra Anticapitalista faranno tutto quello che è nelle loro possibilità perché la resistenza a questo nuovo e brutale capitolo della vita cittadina trovi vigore e si generalizzi, ma soprattutto per far crescere la coscienza che anche il terreno della lotta per la casa deve entrare sempre più in sintonia con la più generale resistenza alle politiche liberiste del governo e del padronato. Sarebbe importante che il 12 dicembre vedesse anche la mobilitazione di questi settori sociali per cominciare a fare scricchiolare in modo serio la poltrona di Renzi.