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cubamediciLa maggior parte dei commenti della grande stampa italiana sorvolano sul fatto che il blocco soffocante di Cuba da parte degli Stati Uniti rimane, ed è totalmente anacronistico in un momento in cui Obama deve ammettere che Cuba interviene più generosamente di qualsiasi altro paese per aiutare le popolazioni colpite dal virus Ebola e per cercare una terapia efficace, ma anche come mediatore riconosciuto nel conflitto colombiano, iniziato prima della vittoria della rivoluzione cubana…

A Cuba peraltro l’annuncio dell’accordo per la ripresa delle relazioni diplomatiche è apparso meno importante della liberazione e restituzione degli ultimi tre dei “cinque eroi” ingiustamente accusati di terrorismo e detenuti da molti anni negli Stati Uniti. Un gesto che viene presentato come “umanitario” ma che si può accostare alla tardiva liberazione ed espulsione verso l’Uruguay di alcuni cittadini siriani, palestinesi e di altri paesi in cui non possono tornare perché sarebbero insicuri, che sono stati detenuti per molti anni a Guantanamo, anche dopo che era stata accertata la loro totale innocenza.

Ritorneremo su diversi aspetti di una discutibile campagna propagandistica, ma intanto ricostruisco come e perché iniziò il blocco, con uno stralcio da un mio agile saggio: Cuba – Cinquecento anni di storia:

 

Una rivoluzione non importata

[…] è essenziale, in primo luogo […] capire la reale successione cronologica – e quindi il rapporto di causa ed effetto – delle vicende che hanno portato gli Stati uniti alla rottura con Cuba.

È stata la riforma agraria, che inevitabilmente colpiva le grandi proprietà statunitensi (ma anche quelle cubane, a partire da quelle della famiglia Castro), a determinare la prima misura ostile e potenzialmente scardinante per l’economia cubana: il blocco degli acquisti dello zucchero – e quindi delle conseguenti forniture, dal petrolio al grano – stabiliti con un accordo, più volte rinnovato, che impegnava Cuba a vendere il suo zucchero agli Stati uniti a unprezzo apparentemente favorevole, ma controbilanciato dall’obbligo di acquistare tutto il resto dal potentissimo vicino.

È stata questa misura a spingere Cuba a cercare altri acquirenti e quindi altri fornitori. In quel periodo, prima di ogni relazione anche solo diplomatica con l’Urss, Cuba comincia a venire accusata di essere caduta in mano al “comunismo internazionale”, come era stato accusato grottescamente ogni governo dell’America latina appena tentava la più modesta riforma agraria: ad esmpio, quello di Jacobo Arbenz in Guatemala, nel 1954.

L’ esperienza riformista guatemalteca fu stroncata con un’invasione di mercenari armati dalla Cia e appoggiati da aerei statunitensi. Guevara era presente in quel paese durante l’aggressione, e ne fu drammaticamente segnato. Per questo Cuba si preparò a fronteggiare un’analoga invasione, che avvenne puntualmente nell’aprile 1961, dopo vari bombardamenti da parte di aerei pirata, ma che fu respinta grazie all’armamento popolare. I mercenari furono fermati per qualche ora dai fucili dei boscaioli e dei pescatori della Ciénaga de Zapata, nella Bahía de los cochinos (“Baia dei porci”), a Playa Girón, con perdite altissime dei locali, che tuttavia riuscirono a dare il tempo ai rinforzi guidati dallo stesso Fidel Castro di arrivare dall’Avana.

Fu quello sbarco a spingere Cuba a cercare un rapporto più stretto con l’Urss, da cui ottenne armi. Senza conoscere queste esperienze è impossibile capire la forza del regime, che non è stato installato dalle armi altrui – come quelli della Polonia, dell’Ungheria, della Romania, ecc. – ma è il frutto di una vera e difficile rivoluzione condotta sfidando forze preponderanti, quelle sì sostenute dall’esterno.

La “rivoluzione di Castro”, al contrario, è stata – ed è stata percepita così dalla maggioranza dei Cubani – il completamento di altre tre rivoluzioni precedenti, tutte sconfitte o private con l’inganno dei frutti di una vittoria già ottenuta. Tutte avevano lo stesso segno: lotte per l’indipendenza nazionale intrecciate a una forte componente sociale egualitaria.

Già la prima proclamazione di indipendenza del 1868 da parte di Carlos Manuel De Céspedes ebbe come caratteristica saliente la liberazione immediata (e l’arruolamento nell’esercito liberatore) degli schiavi nella sua acienda della Demajagua […].

 

Di mie ricostruzioni di quelle vicende lontane ce ne sono molte altre in diversi testi sul sito, anche molto più ampi, che sono reperibili nella sezione “I grandi nodi del Novecento”, Cuba, protagonisti e periodizzazione, mentre per trovare quelli di attualità basta cliccare sul link interno Cuba per trovarne più di cento, quasi tutti in italiano. In attesa di una auspicabile traduzione, intanto inserisco in spagnolo nella sezione Actualidad latinoamericana due testi recentissimi, uno di Claudio Katz (Katz: la epopeya cubana) e l’altro – in polemica con il primo – di Guillermo Almeyra (Almeyra: La epopeya cubana de Claudio Katz ). Gli autori sono entrambi argentini e membri dell’associazione degli economisti di sinistra, ma presentano due bilanci diversi dell’esperienza cubana. Ovviamente sono stati scritti prima dell’annuncio della ripresa di relazioni diplomatiche tra Cuba e Stati Uniti, e di una possibile attenuazione del bloqueo.

Su questo sto preparando un articolo che tenga conto delle interpretazioni più diffuse sui mass media, e soprattutto sul significato dell’annuncio della mediazione del papa. Abbiate pazienza (ci vuole tempo per esaminare le molte chiacchiere apparse ad esempio su “la Repubblica”…). Intanto potete leggere i testi segnalati sull’antefatto del cosiddetto “storico annuncio”.

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