Inutile ricordare che questa frase di Obama tanto esaltata sui media mainstream ha un doppio significato: quello (ovvio e banale per noi, ma non per i trogloditi della destra statunitense…) di riconoscere che anche i cubani fanno parte del continente americano, e quello di presentare l’intesa raggiunta come il ritorno all’ordine, con Cuba che rientra in quell’America, che per i nordamericani è sinonimo di Stati Uniti fin dal tempo della dottrina Monroe, nel lontano 1823…
Vedremo presto cosa si concretizzerà, ad esempio, nel prossimo aprile al Summit delle Americhe, al quale Cuba dovrebbe essere finalmente riammessa. Comunque l’accordo mediato dai diplomatici del Vaticano e dallo stesso papa comporta per gli Stati Uniti molti vantaggi con poca spesa. Obama, nascondendosi dietro la divisione dei poteri, può spendere con larghezza belle parole (pur senza la minima ammissione dell’infondatezza e immoralità dell’assedio a Cuba) ma può evitare di impegnarsi a prendere misure concrete per eliminare davvero il bloqueo. La critica alle misure restrittive è basata solo sulla loro evidente inefficacia: “nessun’altra nazione si è unita alle nostre sanzioni, che hanno avuto effetti assai scarsi, salvo dare al governo cubano un pretesto per reprimere il suo popolo”.
L’unica misura concreta è lo scambio di condannati, in particolare la liberazione di Alan Gross, presentato da Obama come “subappaltatore USAID arbitrariamente rinchiuso in un carcere di Cuba da cinque anni”, e di un agente segreto cubano al servizio degli USA che aveva permesso tra l’altro di arrestare gli agenti cubani che in Florida cercavano di scoprire le reti del terrorismo. Sono stati anche scarcerati 50 detenuti politici segnalati dall’amministrazione statunitense. Niente di male nello scambio di scarcerazioni, anche se non dimentichiamo che i “cinque” cubani di cui ieri sono stati liberati gli ultimi tre, cercavano solo di fermare gli attentati che partivano dagli Stati Uniti. Comunque va detto che il governo cubano ha insistito soprattutto su questo aspetto della normalizzazione dei rapporti, e non su ipotesi di nuovi rapporti economici.
Nel discorso di Obama c’è molta demagogia, compreso l’uso di una citazione di José Martí e l’esaltazione di Miami come “un luogo che ci ricorda che gli ideali contano più del coloro della nostra pelle”. Ma dà fastidio anche la sua predica arrogante su cosa devono fare i cubani: “Nessun cubano dovrebbe essere perseguito, o arrestato o picchiato perché esercita il suo diritto universale a far sentire la sua voce”… Da quale pulpito viene la predica? Quello di chi continua a occupare prepotentemente Guantanamo, utilizzandola come carcere extralegale? Quello dei poliziotti che negli USA, non a Cuba, sparano o soffocano un giovane di colore?
Obama sostiene che “noi continueremo a sostenere [con l’USAID? NdA] la società civile cubana. Se da un lato Cuba ha varato alcune riforme per aprire a poco a poco la sua economia, noi dall’altro continuiamo a credere che i lavoratori dovrebbero essere liberi di unirsi in un sindacato, proprio come i normali cittadini dell’isola dovrebbero sentirsi liberi di prendere parte al processo politico.” Incredibile paternalismo, che ignora le difficoltà di accesso alle decisioni politiche di milioni di afroamericani o latinos negli Stati Uniti, per non parlare di quanti diritti sindacali sono “riconosciuti” ai sudditi dei tanti Stati canaglia alleati agli USA.
Obama ringrazia invece sinceramente il ruolo del papa e della chiesa cattolica, che è la maggiore beneficiaria dell’intesa, e che ha infatti festeggiato facendo suonare le campane di tutte le chiese nel momento in cui veniva dato l’annuncio. Tutte, compresa quella di una nuova chiesa autorizzata pochi mesi fa, la prima costruita dopo la rivoluzione. Ne ha parlato al Messaggero come di “una chiara dimostrazione di una nuova fase” il professor Enrique López Oliva, dell’Università dell’Avana, di cui avevo segnalato recentemente un interessante articolo in: Cuba, corrispondenze inquietanti, che registrava che nel “periodo di transizione, retto (come vuole la Costituzione) da un partito unico, il partito comunista, la Chiesa sta riempiendo un vuoto, con le sue pubblicazioni, corsi di management, scuole e centri culturali e attività sociali e dà spazio a una politica di confronto con il governo. Si tratta di un’attività che per alcuni versi è sostitutiva di un movimento politico (per non dire partito) non comunista anche se non conflittualecon esso (come dimostra la partecipazione di elementi critici dello stesso pc)”.
Solo pochi compagni, tra i tanti sostenitori di Cuba, si sono allarmati per le sempre nuove aperture al capitalismo, la creazione di zone speciali con esenzioni per gli investitori, che spesso sono cinesi e molto intraprendenti. Io ero tra quelli che hanno seguito con particolare attenzione l’atteggiamento della gerarchia cattolica, che dopo diverse aperture di piccoli spazi sulle sue riviste per i laici critici del governo da sinistra, ha però modificato il suo orientamento con scelte sempre più apertamente filocapitaliste. Il merito dell’accordo raggiunto è stato attribuito al papa tanto da Barack Obama che da Raúl Castro, e ha fatto sperare ai cubani molto più di quanto l’accordo prevede. Vedremo come la gerarchia spenderà questo nuovo entusiasmo per il papa e quindi per tutta la sua chiesa: si limiterà a ottenere più spazi, più edifici di culto, più carta per i suoi giornali, o rivendicherà uno spazio politico più ampio per sé, anche come garante di fronte agli Stati Uniti?
Sono evidentemente preoccupato: non ho dubbi sulle intenzioni di Obama, che sono semplicemente l’eliminazione degli stupidi ostacoli al commercio con Cuba richiesta dai produttori degli Stati agricoli, senza rinunciare a tenere Cuba legata con il cappio dell’embargo. Non ho dubbi sulle idee di riconquista di beni materiali e di peso politico dominanti nella gerarchia ecclesiastica, e penso che essa potrà capitalizzare la delusione per la modestia dei benefici in arrivo con i cambiamenti annunciati, meglio di quanto ha potuto fare dopo i due viaggi papali.
Penso che dalla nuova situazione i cubani si aspettano molto più di quanto potranno ottenere realmente: anche dopo una modifica (assai ipotetica, per giunta) delle leggi Torricelli ed Helms-Burton che hanno consolidato e consacrato il bloqueo, i cubani si troverebbero semplicemente nella condizione di partenza, vittime dello scambio ineguale che continuerebbe a pesare come prima tra il colosso imperialista del nord e la fragile economia dell’isola. Ma per Washington l’obiettivo non è solo di recuperare qualche miliardo dei dollari perduti come conseguenza della rivoluzione, ma quello di cancellare ogni traccia della diversità di Cuba, riportandola alla condizione di Haiti o di qualche paese caraibico o centroamericano, per evitare che continui ad essere un punto di riferimento per gli oppressi e i proletari di tutto il continente. Non ci è riuscita con la forza, con il crimine, con le invasioni, con il bloqueo, bisogna impedire che ci riesca premendo dall’interno per cancellare le conquiste che avevano reso l’isola una speranza, e per riportarla alla sua destinazione originaria di paradiso turistico e di bordello di lusso a due passi da casa, un ruolo che la rivoluzione aveva cancellato, sembrava per sempre…
Per un bilancio di Cuba raccomando vivamente il testo di Guillermo Almeyra Almeyra: Note su “L’epopea cubana” di Claudio Katz, (finora, forse perché confuso con la versione in lingua spagnola,è stato visitato molto meno di quanto merita); è stato scritto prima dell’annuncio dell’accordo, ma è utilissimo per la comprensione delle tendenze che si confrontano nell’isola . D’altra parte che gli Stati Uniti si preparassero a un passo in direzione della modifica dei rapporti era emerso con diversi editoriali del NYT.