Il progetto di legge, il messaggio ed il rapporto ripetono a più riprese un concetto: quello secondo cui l’aggiornamento professionale sarebbe un diritto-dovere del docente. E vorrei proprio partire da questa coppia (diritto-dovere) per illustrare tutte le mie perplessità su questo progetto di legge. Una coppia che, in realtà, e lo dimostra un’attenta lettura sia degli articoli stessi della legge che dei relativi commenti del messaggio e del rapporto è fortemente sbilanciata verso i doveri e concede poco o nulla sul piano dei diritti.
Prendiamo l’articolo 4 della legge (che costituisce un po’ il fulcro della legge stessa): non vi sono dubbi che esso contenga più elementi di dovere che di diritto. Essa indica, ad esempio, che compete al docente la “responsabilità” del proprio aggiornamento. Indica anche come questo aggiornamento possa avvenire: sia attraverso alle attività di aggiornamento promosse, sia attraverso iniziative personali.
Ora, sulle attività promosse dal cantone o da altri si organizza l’aspetto centrale di questa legge e si organizza la parte, diciamo così, del dovere. Questa attività di aggiornamento assume le caratteristiche fondamentali di una quantità di partecipazione a corsi di vario genere che deve essere notificata e che viene, come si dice, monitorata. Una visione, quindi, puramente quantitativa dell’aggiornamento del docente, che potrebbe risolversi nella partecipazione (non necessariamente né attiva, né convinta, né profittevole) a corsi di aggiornamento voluti dal dipartimento o da altri enti.
E ci pare sia questa una delle debolezze di fondo del progetto che, di fatto, appare più come l’introduzione di un criterio di sorveglianza sulle attività di aggiornamento dei docenti che una vera e propria legge che in qualche modo stimoli e riconosca gli sforzi di aggiornamento dei docenti.
Ho detto prima che l’art. 4 della legge prevede che l’aggiornamento avvenga attraverso “iniziative personali”. Ma questo tipo di aggiornamento non trova nessuno spazio nel progetto di legge. Non se ne verifica né la quantità, né la qualità. Eppure, ne sono convinto, la stragrande maggioranza dei docenti già oggi svolge un’intensa attività di aggiornamento attraverso “iniziative personali” che nessuno riconosce e, tantomeno, riconoscerà.
Un docente di fisica o chimica che consulta regolarmente le riviste del settore, che segue la letteratura scientifica non fa forse attività di aggiornamento? Ed i docenti di italiano che seguono il mercato editoriale leggendo romanzi, racconti, saggi critici non fanno forse, oserei dire quotidianamente, attività di aggiornamento professionale? E gli stessi docenti che consultano regolarmente i supplementi letterari dei quotidiani maggiori non fanno forse attività di aggiornamento. Queste attività, e non credo di esagerare affermando questo, possono essere stimate in diverse ore di lavoro settimanale che non figurano (e non figureranno) da nessuna parte. Un monte ore di gran lunga superiore a due ore di corsi di aggiornamento annuali ai quali i docenti saranno costretti a sottoporsi.
E che la visione del problema sia assolutamente quantitativa lo dimostrano altri particolari. Penso all’art. 10, quello sulle condizioni di partecipazione. Ebbene, il cpv 9 di questo articolo specifica che un docente può essere autorizzato a partecipare ad un’attività di formazione facoltativa (cioè ad esercitare il suo diritto all’aggiornamento) durante il tempo di scuola e ad essere rimborsato per questa frequenza solo a condizione che questo corso gli permetta, e cito, “di conseguire la quantità definita nel regolamento”. Più chiari di così…
Vorrei sollevare infine due altre questioni fondamentali che suscitano grandi perplessità nei confronti di questo progetto di legge.
Il primo è l’assoluta rilevanza che assumerà il regolamento di applicazione. Vi sono moltissime questioni, dalla cui soluzione dipenderà anche la qualità politica di questa legge, che sono demandate al regolamento. Penso a tutte le questioni relative alla quantità e alla qualità dei corsi, al cosiddetto monitoraggio ed alla valutazione dei risultati, a chi valuterà questi risultati, sulla base di quali competenze, ecc. . Una lista lunghissima che il Dipartimento deciderà autonomamente.
Il secondo riguarda gli aspetti finanziari legati a questa legge. Ora mi pare evidente, e riprendo l’aspetto iniziale del mio intervento, che non vi può essere diritto se esso non è supportato da condizioni che permettano che esso possa diventare da semplice forma anche sostanza.
E mi pare evidente che la qualità di questa legge si potrà ulteriormente valutare quando avremo una visione precisa di quanto si metterà a disposizione per l’aggiornamento professionale dei docenti. Nel messaggio (e nel rapporto) si questo tema si glissa allegramente rimandando il tutto ai preventivi annuali nei quali vi saranno poste dedicate a questo aspetto.
Eppure si potrebbe già oggi, se questo fosse considerato uno dei compiti prioritari per sostenere la qualità della nostra scuola, delineare ordini di grandezza – anche partendo dalle attività che vengono svolte annualmente e dalle quali partire. Ma su questo, ripeto, si è preferito tacere. Non è un buon segno e non può che alimentare le nostre riserve. Anche perché, è facile fare quattro conti, la riattivazione, dopo anni di congelamento, del congedo di formazione o ricerca (art. 15) potrebbe rappresentare già di per sé una posta impegnativa dal punto di vista finanziario che lascerebbe poco spazio se non integrata con crediti perlomeno cospicui.
Un’ultima considerazione. Tutti gli aspetti quantitativi ai quali ho accennato ci dicono che la messa a punto di questa legge (in particolare se gli sviluppi regolamentari andranno nel senso in cui temo) rappresenterà un aggravio di lavoro per i docenti. Aggravio che non ha cessato di aumentare in questi ultimi anni, sia attraverso l’aumento delle ore lezione per alcune categorie, sia attraverso nuovi e svariati compiti. D’altronde tutte le riforme pensate in questi ultimi anni nella scuola si sono concretizzate quasi sempre in aggravi di lavoro e di oneri per gli insegnanti. L’abbozzo di riforma della scuola dell’obbligo che ci è stata presentata negli scorsi giorni (centrata sugli aspetti della personalizzazione e differenziazione) implicherà, se realizzata secondo gli obiettivi presentati, un cospicuo aumento dell’onere e dell’impegno lavorativo del docente, in particolare al di fuori delle ore lezione.
Per questa ragione qualsiasi politica seria che voglia promuovere l’aggiornamento dei docenti, potenziandone le possibilità (facoltative o obbligatorie che siano) deve porsi l’obiettivo, per essere credibile, di diminuire il numero di ore-lezione degli insegnanti, oggi di fatto assai elevato, sia nel confronto intercantonale che in quello professionale. La mancanza di questa prospettiva rende non solo poco credibile l’obiettivo che questa legge vuole perseguire (il miglioramento della qualità dell’insegnamento e, di conseguenza, dell’apprendimento); ma rischia di essere recepita, e con ragione, come un ulteriore elemento punitivo e di costrizione da parte degli insegnanti, minando così sul nascere gli obiettivi che la legge vorrebbe realizzare. Per queste ragioni non voterò questa proposta.
* testo dell’intervento che Matteo Pronzini avrebbe dovuto pronunciare in Gran Consiglio lo scorso 17 dicembre sul progetto di legge all’ordine del giorno. La discussione è slitttata alla prossimo seduta del Gran Consiglio in gennaio. La nostra posizione, evidentemente, non cambia.