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napolitanoDi Napolitano oggi se ne parla ancor più di quando era presidente. Una vera santificazione in vita. Le TV – unificate di fatto – esaltano in lui il costruttore dell’unità nazionale. La borghesia e i suoi giornali hanno ragione di farlo, perché in questi anni è stato il supremo garante degli interessi della classe capitalista.

Solo Berlusconi, ingrato, finge di dimenticare quel che Napolitano ha fatto per imporre al proprio partito e alla sua area politica il “superamento degli steccati”, il fare squadra insieme, l’eliminare le barriere tra destra e sinistra. Così come l’ha sostenuto in una serie di momenti difficili, permettendogli di restare in sella anche quando stava per perdere la maggioranza parlamentare nel 2010. Napolitano ha abbandonato Berlusconi per sostituirlo con Monti solo quando gli è stato richiesto con forza da Bruxelles e dalla borghesia italiana che non considerava più l’uomo di Arcore adeguato a portare avanti una politica di austerità ancora più dura. Ma questo fa parte delle finzioni a cui il grande mentitore ci ha abituati.

Noi non dimentichiamo che Napolitano si è fatto il garante delle politiche liberiste europee della Troika (e della borghesia italiana) sia verso il governo e il parlamento, sia verso il popolo italiano utilizzando la sua credibilità di massa; con la sua azione ha impresso un’ulteriore verticalizzazione delle istituzioni realizzando la totale prevalenza dell’esecutivo rispetto al potere legislativo; è diventato sempre più il raccordo politico ed istituzionale tra il governo italiano e le “istituzioni europee”, cioè le classi dominanti europee: è stato quasi il capo della maggioranza parlamentare piuttosto che il garante di tutte le forze politiche presenti alle Camere (si veda in proposito il non riconoscimento del ruolo nei fatti della maggiore forza parlamentare di opposizione, il Movimento 5 stelle)

Per questo Napolitano, ha superato di gran lunga l’azione negativa del “picconatore” Cossiga e di qualunque altro presidente; più di tutti i suoi predecessori ha contribuito a cambiare la costituzione reale del paese, violandola più volte invece di esserne il garante come la costituzione stessa gli imponeva.

Le sue colpe non sono solo quelle degli ultimi anni, con le sue manovre per imporre i governi bipartisan Monti e Letta, o la complicità nella scalata di Renzi, ma anche le colpe storiche.

Prima di arrivare al governo, dove si distinse tra l’altro con la legge Turco-Napolitano che introdusse le prime misure di controllo poliziesco dell’immigrazione, egli fu infatti il grande regista della trasmigrazione del PCI dalla sinistra al centro, sotto l’occhio benevolo dei governanti di Washington, che lo identificarono subito come il miglior comunista desiderabile. Napolitano seppe utilizzare anche la cordiale amicizia dei dirigenti sionisti, che accompagnarono il viaggio del più grande partito comunista dell’occidente verso la socialdemocrazia.

Napolitano considerò la lotta di classe un residuo del passato da eliminare, e una sciagura il grande movimento di risveglio del proletariato italiano, accompagnato e in parte preceduto dalla radicalizzazione giovanile, studentesca e operaia, ma anche di intere categorie, dai giudici ai giornalisti agli stessi poliziotti, che in quegli anni tentarono di organizzarsi democraticamente. Napolitano detestava quel movimento che invece, dopo il ’68, permise le maggiori conquiste dell’intero periodo repubblicano, dallo Statuto dei lavoratori, al divorzio, all’aborto, alle regioni, all’estensione della scala mobile. L’obiettivo dei “miglioristi” di cui Napolitano era uno dei principali esponenti era arrivare comunque al governo, a qualunque costo, anche quello di un notevole ridimensionamento del peso del partito. Pur di non spaventare la borghesia, ovviamente, poiché si dava per scontato che questa dovesse continuare a regnare in eterno.

Oggi Napolitano si ritira, stanco ma soddisfatto: ha cresciuto un degno continuatore della sua opera di cancellazione della stessa tradizione riformista più moderata: Matteo Renzi. Ma non è detto che costui riesca ad avere gli stessi successi del suo mentore: sa costruire il consenso usando abilmente i mass media, ma gli manca quell’ingrediente che Napolitano aveva in partenza, il carisma dell’investitura come discepolo prediletto di Togliatti, il rappresentante del paradiso sovietico in Italia.

Sarà difficile cancellare gli effetti del lungo operato politico di Napolitano, che lascia precedenti pericolosi di allargamento dei compiti del presidente, che certamente potranno essere usati ancora peggio. Bisognerà fare comunque un bilancio complessivo, affrontando il problema fin dalle origini, senza continuare a credere (come fece il grosso di Rifondazione) che l’involuzione del PCI fosse cominciata solo alla Bolognina e consistesse soprattutto nel cambio di nome.

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