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claroIl progetto di intesa fiscale tra Svizzera e Italia ha riaperto il dibattito nel nostro Cantone. Il clima elettorale non favorisce certo una discussione approfondita sull’insieme di questo accordo: quasi tutti i commenti sono ispirati dalla necessità di visibilità politica, di posizioni che cavalchino e trovino giustificazioni e capri espiatori alla crisi sociale che viviamo e che le recenti misure attuate dalla Banca Nazionale Svizzera non faranno che approfondire.

Così era inevitabile che la discussione si concentrasse sul tema che, ormai da diverso tempo, tiene banco in Ticino e cioè l’imposizione dei frontalieri. La questione, affrontata nell’ambito del protocollo di modifica della Convenzione per evitare le doppie imposizioni (CDI), non è tuttavia stata affrontata in modo definitivo e restano sul tappeto ancora molti punti da chiarire.
Il vento che, su questo tema, spira in Ticino è noto. Additati da un campagna xenofoba e razzista come “responsabili” della difficile situazione nella quale versa il Ticino, in frontalieri sono diventati il classico capro espiatorio; bisogna quindi punirli e, puntualmente, i partiti politici (praticamente tutti: da “sinistra” a “destra” con poche eccezioni) avanzano proposte in questo senso. Ultima, come si ricorderà, quella di applicare ai frontalieri un moltiplicatore del 100% per l’imposta comunale (accolto da tutti i partiti presenti in Gran Consiglio con la sola eccezione dell’MPS).
Su questo tema, sempre nella logica “punitiva”, il governo ed i partiti che lo sostengono proponevano di modificare la chiave di riparto relativa alla distribuzione delle somme incassate attraverso le imposte alla fonte pagate dai frontalieri soggetti alla convenzione (quelli domiciliati nel raggio di 20 Km dal confine). Chiedevano che dall’attuale 61,2% a favore del Cantone si passasse all’80%.
Il progetto di accordo, seppur ancora non conosciuto nei suoi aspetti concreti e quindi giudicabile solo sulla base di quanto comunicato pubblicamente, propone che i frontalieri vengano sottoposti, tutti, ad una doppia imposizione: una parte in Svizzera (alla fonte), una parte in via ordinaria nello Stato di residenza. Tuttavia i dettagli di questo accordo, come recita il comunicato ufficiale, saranno “oggetto di un accordo che dovrà essere negoziato nella prima metà del 2015”.
Si danno tuttavia alcune indicazioni di massima assai parte soggetta ad imposizione in Svizzera allo Stato (Cantone e Confederazione) spetterà al “al massimo al 70% del totale dell’imposta normalmente prelevabile alla fonte”. Sembrerebbe dunque che, sulla base di simile percentuale, le rivendicazioni del Ticino non abbiano trovato, almeno per il momento, una grande soddisfazione.
Ma le cose, come detto, sono solo all’inizio. E la parte finale del comunicato ufficiale non può che lasciar intravvedere poco di buono per i lavoratori frontalieri. Si afferma infatti che “Il carico fiscale totale dei frontalieri non sarà inferiore a quello attuale, e in un primo tempo, nemmeno superiore”. Il che significa, chiaramente, che in prospettiva il carico fiscale sui frontalieri (in gran parte salariati) tenderà ad aumentare. E saranno questi lavoratori a doversi sacrificare per rispondere da un lato ad un governo come quello italiano sempre più bisognoso di entrate fiscali (che cerca, come si vede, spremendo i salariati e alleggerendo le imprese: è questo quello che sta facendo il governo Renzi); dall’altro alle necessità di un governo come quello ticinese che vorrebbe allo stesso tempo mostrare di ossequiare le richieste “punitive” della destra e, allo stesso tempo, di rimpinguare le casse cantonali.
La musica, si vede, non cambia e al peggio non c’è limite.

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