Straumann, Aebi, Bosch, Bucherer, Feintool, Mikron, GF Machining, Stadler Rail: sono alcune delle più importanti imprese industriali svizzere (diverse quotate in borsa) che hanno annunciato, dopo la decisione della BNS di abbandonare la soglia di cambio euro/franco a 1,20, l’adozione (quasi sempre in forma unilaterale) di misure di riduzione dei costi salariali: diminuzione dei salari (per frontalieri e residenti), aumento dell’orario di lavoro, introduzione di lavoro ridotto, licenziamenti.
Non si tratta né dell’azione di imprese “disperate” che si sono sviluppate a ridosso della frontiera sfruttando manodopera a basso costo, né dell’iniziativa di “aziende disoneste”, né tantomeno della “cupidigia” di qualche imprenditore.
La decisione della BNS ha rappresentato il segnale, con forte valenza simbolica, di una nuova offensiva padronale, che potremmo chiamare post-bilaterali, tesa a mantenere e ad incrementare i margini di profitto nel quadro di una competitività internazionale sempre più spinta, nel quadro di uno sviluppo capitalistico sostanzialmente sempre più in affanno.
Che di una offensiva padronale, sostenuta dalla decisione della classe politica e delle strutture statuali come la BNS, si tratti lo ha confermato Swissmem, l’associazione padronale che riunisce le imprese dell’industria metalmeccanica ed elettrica, in una presa di posizione nella quale, evidentemente, ribadisce la richiesta che la BNS resti attiva per mantenere un corso del franco “ragionevole” rispetto a euro e dollaro. Ma, dicono i padroni, il compito principale deve essere realizzato a livello politico. E qui le richieste padronali sono chiare, un vero e proprio programma a favore delle imprese: dal mantenimento degli accordi bilaterali all’accelerazione della riforma III delle imprese con i suoi sgravi fiscali, dalla liberalizzazione ulteriore del mercato del lavoro all’alleggerimento (ammesso che sia ancora possibile vien da dire) delle disposizioni dei contratti collettivi di lavoro, dalla diminuzione dei costi energetici per le imprese all’adattamento al nuovo contesto del sistema previdenziale.
Questo programma sta già trovando pieno sostegno nei partiti politici maggiori, affannati, soprattutto in questo anno di appuntamenti elettorali a livello cantonale e federale, a sostenere le aziende in questo momento per loro “difficile”. Sempre partendo dall’ ipotesi che il bene delle aziende rappresenterebbe il bene generale. Un assioma che ormai, da “destra” a “sinistra”, nessuno sembra contestare.
Dumping e profitti
Per i padroni, per la borghesia svizzera, quello appena trascorso è stato un ottimo periodo. La loro ricchezza non ha smesso di aumentare. Nel 2013 i dividendi delle duecento principali aziende quotate in borsa sono aumentati tra 8% ed il 12%, pari a circa 42 miliardi. Dati confermati dall’inchiesta annuale che la rivista svizzero tedesca Bilanz pubblica sulle 300 persone più ricche della Svizzera. La loro fortuna è passata da 470 miliardi del 2010 a 589 miliardi nel 2014. Un aumento annuo di 30 miliardi.
Le aziende che oggi annunciano misure di risparmio sulle spalle dei loro dipendenti hanno beneficiato della politica della BNS macinando profitti e distribuendo dividendi ai loro azionisti (che hanno potuto anche pagare meno tasse grazie alla riforma delle imprese II). Un solo esempio, la Straumann. Questa azienda ha fatto segnare la seguente progressione dei profitti (in milioni di franchi): 146,4 nel 2009, 131,1 nel 2010, 71 nel 2011, 37,2 nel 2012, 101,2 nel 2013: praticamente oltre mezzo miliardo negli ultimi cinque anni, con un rendimento del fondi propri che (nel 2013) si fissava al 16,4%. Il dividendo agli azionisti è rimasto immutato a 3,75 franchi per azione, un dividendo, vale rilevarlo di passata, versato senza alcuna interruzione dal 1997.
Oggi costoro vengono a dirci che “siamo tutti nella stessa barca” (come ci ha ancora ricordato nei giorni scorsi Franco Ambrosetti, presidente Camera Commercio e membro del CdA della Exten di Medrisio). Certo i lavoratori sono tutti nella stessa barca (che comincia a far acqua) mentre il padronato naviga su comodi, sicuri e lussuosi yacht!
A chi vive del proprio lavoro in questi anni è andata decisamente meno bene. I salari sono stagnati o diminuiti, sono aumentate le forme di lavoro precario, la sofferenza sul posto di lavoro e tante altre cose negative. I due aspetti sono collegati: più ai padroni, meno ai salariati.
In questi ultimi dieci anni uno degli elementi fondamentali di questa dinamica è stata la strategia degli accordi bilaterali e la conseguente liberalizzazione di un mercato del lavoro di per se già estremamente fragile e poco regolamentato: meno del 50% degli occupati è coperto da un contratto collettivo, solo un 30% degli occupati è attivo in un settore dove esiste un salario minimo, il più delle volte limitato a funzioni non qualificate ed inferiore a 4000 franchi.
Una strategia di liberalizzazione del mercato del lavoro condotta ormai da un decennio dalle classi dominanti e condivisa praticamente condivisa dai partiti borghesi, dai Verdi, dal PS e dalle direzioni sindacali. Le sole opposizioni sono state quella di destra (UDC e Lega, contrarie al principio della libera circolazione) e quella della sinistra rappresentata dall’MPS.
I sostenitori degli accordi bilaterali si sono accontentati di vaghe promesse (le cosiddette misure di accompagnamento) che, alla prova dei fatti, hanno mostrato la loro totale inconsistenza. Il continuo riferimento al loro miglioramento altro non è stato (e continua ad essere) che un tentativo di far dimenticare le proprie responsabilità per l’affermarsi di una configurazione politica e sociale non certo favorevole ai salariati.
In Ticino Governo e Parlamento si sono particolarmente distinti nel sostenere una politica di dumping di stato. In ogni contatto normale di lavoro pubblicato in questi anni il Consiglio di Stato non ha perso occasione per definire 3000 franchi (calcolato per 12 mensilità) quale salario di riferimento. E questo anche per professioni relative a settori dove i salari realmente pagati superano i 4000 franchi. Ancora questa settimana il Governo ha introdotto un contratto normale di lavoro per il personale amministrativo degli studi d’avvocatura con salari di fr. 3250, a fronte di salari mediani per personale qualificato di 4400 franchi.
Questo consenso pro-bilaterali, che ha annientato qualsiasi residua capacità di resistenza dei salariati, è saltato un anno fa, con il si all’iniziativa UDC (che oggi sembra fare l’unanimità in seno a quasi tutti i partiti) che impone la reintroduzione dei contingenti per la manodopera non residente. Il padronato, preso atto che le direzione sindacali e il PSS non sono state in grado di contribuire a determinare una maggioranza tra i votanti, ha cambiato strategia. Ora ci si toglie la maschera e nei prossimi anni si giocherà ancora più duro e le conseguenze per i salariati saranno molto dolorose.
È in questa prospettiva la prima mossa è stata la decisione abbandonare la difesa di una soglia minima franco-euro. Solo degli illusi possono credere che questa decisione sia stata presa da 3 funzionari della BNS senza una discussione con settori economici dominanti di questo paese.
Il padronato non ha perso tempo. Nel dibattito politico lanciano rivendicazioni che condizioneranno il dibattito e le scelte del prossimo periodo: riduzione della pressione fiscale per le persone giuridiche, ulteriore deregolamentazione e flessibilizzazione del mercato del lavoro, aumento dell’età pensionabile, e tanto altro ancora. Nelle aziende tramite una guerra lampo (Blitzkrieg) si stanno tagliando i salari (tramite aumento del tempo di lavoro o riduzione dei salari effettivi). Una vera e propria offensiva sociale ha avuto inizio.
Che fare?
Purtroppo anche da parte sindacale, nel momento in cui ci vorrebbe la capacità e la convinzione di tentare di contestare sul terreno questa politica, non si fa che riproporre ricette assai simili a quelle padronali. Non solo si torna a difendere la continuazione della politica della BNS (da sempre difesa dall’USS), ma anche qui solo e semplicemente proposte di “protezione” delle aziende: aiuto agli investimenti, aiuto alle esportazioni, facilitazioni creditizie, etc.
Gli spazi, seppur esili e difficili, per tentare di sviluppare una logica di resistenza ci sono. Lo hanno dimostrato in questi giorni le vicende di alcune aziende (SMB, Cattaneo, Micromacinazione, Exten) che, con intensità e determinazione diversa, hanno visto i lavoratori tentare di costruire delle resistenze. Questi casi mostrano che è possibile resistere, che è possibile avere il sostegno dei lavoratori (svizzeri, stranieri, frontalieri: tutti hanno dimostrato unità e determinazione) se ci si impegna risolutamente sulla via dell’unità e della contestazione di principio delle proposte padronali.