Non vi sono dubbi che la decisione della Banca Nazionale Svizzera (BNS) di rinunciare pubblicamente alla difesa della soglia fissa di 1,20 nel tasso di cambio franco/euro rappresenti un segnale politico fondamentale. E questo non solo perché da tempo ormai diversi ambienti economici spingevano per un abbandono di questa politica; ma perché, così a noi pare, esso segna una svolta chiara nelle politica delle classi dominanti di questo paese.
I contorni definitivi e gli obiettivi finali di tale politica non sono ancora chiaramente visibili (potrebbe esserci la svolta finale in direzione di una integrazione all’Unione Europea), ma i passaggi fondamentali di questa strategia ci pare siano già visibili.
Ne ha dato una puntuale illustrazione Swissmem, l’associazione padronale che riunisce le imprese l’industria metalmeccanica ed elettrica, in una presa di posizione nella quale, evidentemente, ribadisce la richiesta che la BNS resti attiva per mantenere un corso del franco “ragionevole” rispetto a euro e dollaro. Ma, dicono i padroni, il compito principale deve essere assunto dalla politica. E qui le richieste padronali sono chiare, una vero e proprio programma a favore delle imprese: dal mantenimento degli accordi bilaterali all’accelerazione della riforma III delle imprese con i suoi sgravi fiscali, dalla liberalizzazione ulteriore del mercato del lavoro all’alleggerimento (ammesso che sia ancora possibile vien da dire) delle disposizioni dei contratti collettivi di lavoro, dalla diminuzione dei costi energetici per le imprese all’adattamento al nuovo contesto del sistema previdenziale.
Questo programma sta già trovando pieno sostegno nei partiti politici maggiori, affannati, soprattutto in questo anno di appuntamenti elettorali a livello cantonale e federale, a sostenere le aziende in questo momento per loro “difficile”. Sempre partendo dalla ipotesi che il bene delle aziende rappresenta il bene generale. Un assioma che ormai, da “destra” a “sinistra”, nessuno sembra contestare.
E purtroppo anche da parte sindacale, nel momento in cui ci vorrebbe la capacità e la convinzione di tentare di contestare sul terreno questa politica, non si fa che riproporre ricette assai simili a quelle padronali. Non solo si torna a difendere la continuazione della politica della BNS (da sempre difesa dall’USS), ma anche qui solo e semplicemente proposte di “protezione” delle aziende: aiuto agli investimenti, aiuto alle esportazioni, facilitazioni creditizie, etc. Di fronte a tutto questo un “appello” al governo affinché impedisca che questa circostanza venga utilizzata dalle imprese per proseguire nella loro politica di dumping salariale.
Ma, a parte questo, encefalogramma piatto, idee zero su come tentare di costruire un minimo di resistenza sociale. D’altronde il movimento sindacale arriva a questa fase, come abbiamo già detto di recente, praticamente in ginocchio. Incapace persino (e lo si è visto nel settore dell’edilizia, pertanto ai tempi vanto di un sindacalismo combattivo) di ottenere la possibilità di negoziare adeguamenti salariali.
In queste condizioni organizzare un minimo di resistenza, che vada al di là delle esternazioni giornalistiche, dei seminari di discussione e delle prese di posizione che non impressionano nessun padrone, sarà difficile.
Ma bisognerà fare di tutto per provarci.