Tempo di lettura: 4 minuti

antonis.ipgSi sa bene che a scrivere la storia sono gli individui, con la loro iniziativa di massa dal basso. Ancorché in condizioni che non sono quelle scelte da loro. Il risultato ereditato dalle lotte del periodo precedente, vale a dire i rapporti di forza tra le principali forze sociali, il livello di politicizzazione, quello di organizzazione sociale e politica di cui dispongono i lavoratori e le forze popolari costituiscono fattori che “pesano” sugli sviluppi politici.

Il risultato elettorale del 25 gennaio 2015 affonda le sue radici nella grande esplosione di resistenza sociale contro la politica dei “memoranda” nel corso degli anni 2010-2012: i grandi scioperi generali, le massicce manifestazioni di centinaia di migliaia di persone, i “movimenti delle piazze”, gli scioperi settoriali successivi hanno scosso la quasi totalità dei lavoratori e delle lavoratrici.

Per la sinistra – soprattutto per la sua ala effettivamente comunista – lo scenario ottimale sarebbe stato quello in cui queste lotte fossero sfociate direttamente nella vittoria, riuscendo a rovesciare il patto della classe dirigente locale con i “creditori” internazionali. Ma questo non è avvenuto. Il mondo del lavoro si è trovato di fronte la forza bruta dello stato e l’intransigenza di quelli “in alto”, che facevano capire che solo una sollevazione vincente potrebbe costringerli ad arretrare dalla linea tracciata per affrontare la crisi.

 

La soluzione elettorale

La fase successiva all’aggressione popolare incentrata attorno a Piazza Syntagma costituiva la base per una “svolta” verso uno “sbocco elettorale”. È stata una “svolta” durevole, perché implicava lotte decise (Ert, lavoratrici delle pulizie, lavoratori messi in mobilità…), ma condotte su scala minore rispetto a quelle della fase precedente. Una “svolta” che ha spinto a orientarsi verso la sinistra sul piano politico, perché le persone hanno continuato a rifiutare fermamente la subordinazione ai memoranda (al contrario di quanto è avvenuto, ad esempio, in altri paesi europei…) e a riporre tutte le loro speranze in una vittoria politica della sinistra (Syriza), che le avrebbe risollevate dall’incubo dell’austerità, grazie alla “facile” soluzione delle urne.

È in questa fase che la vittoria di Syriza trova le sue ragioni di fondo. Una vittoria che, prima ancora che elettorale, è stata politica ed ideologica all’interno della sinistra. Semplice la sua interpretazione: Syriza aveva un profilo unitario (l’appello all'”unità d’azione di tutta la sinistra”), una percezione transitoria del suo programma (in contrapposizione ai “progetti” proclamatori, cartacei, avanzati da altri) e la risposta chiave alla questione del potere politico: un governo della sinistra. Queste “armi”, come pure la decisione del congresso di condannare la strategia del centro-sinistra, hanno fatto balzare Syriza [in cinque anni] dal 4% al 36%…

Tuttavia, nonostante tutto, quel che ha vinto Syriza sono le… elezioni. L’arretramento del movimento sociale durante due anni (2013-2014) ha pesato sulle possibilità di mobilitare la gente. Questo rende assolutamente determinanti per gli sviluppi successivi le responsabilità della direzione di Syrizia nonché di tutti i suoi membri.

Già all’indomani delle elezioni, la direzione di Syriza ha dovuto entrare in trattativa con i prestatori di fondi. È normale ricercare qualche compromesso: un modo di rialzarsi per prendere un po’ di tempo per respirare. La gente lo ha capito ed è scesa in piazza con la duplice intenzione di sostenere il governo nello scontro con i creditori, in primo luogo, e poi (e solo i ciechi non sono riusciti a vederlo) per esigere una posizione decisa, resa evidente dallo slogan: “Non un passo indietro!” (che, a proposito, è stato lanciato proprio dai militanti di Syriza).

A giusto titolo. C’è infatti un compromesso che si potrebbe considerare onesto se consente a Syriza di esporre il proprio programma anti-austerità. Ma ci sono compromessi che equivalgono al suicidio politico. Se, ad esempio, i memoranda sono solo rinominati “Programma” e la trojka viene ribattezzata con il nome di un altro meccanismo di sorveglianza.

Al momento delle elezioni, la direzione di Syriza, per bocca dei suoi principali responsabili, aveva promesso che gli impegni di Salonicco (alla Fiera internazionale del 14 settembre 2014) sarebbero stati applicati immediatamente e indipendentemente dal volere dei creditori. Si segnalava, infatti, che gli impegni dipendevano da ciò che “possiamo” direttamente, non da tutto ciò che “vogliamo”, indicando in quel modo – giustamente – l’intenzione di procedere, appena possibile, a quel che “vogliamo. Oggi il nocciolo dell’universalismo di classe” del programma di Salonicco si vede rinviato di 10-12 mesi. Si presenta come prioritario” affrontare la “crisi umanitaria”.

Faccio presente che quest’idea di “crisi umanitaria” rinvia alla concezione secondo cui alla società serve una “rete di sicurezza” per le persone che versano in assoluta povertà e nella miseria. È una concetto socialdemocratico, e anche proprio del periodo neoliberista (Banca mondiale inclusa).

La Grecia comunista, invece, ha sempre posto l’accento sull’occupazione e i diritti sociali che impedisca alle persone di cadere nella povertà e nella miseria. Syriza ha il dovere di dare direttamente e presto la priorità ai salari, alle pensioni, alle spese per l’istruzione e per gli ospedali pubblici, per il sistema di assicurazioni sociali… spezzando cos’ davvero la rete di austerità instaurata dai memoranda.

Direttamente connessa al programma è la questione delle alleanze politiche che il nuovo governo cerca di configurare. L’alleanza di governo con i Greci indipendenti (Anel) era una scelta unilaterale della direzione (Tsipras), di fronte alla quale abbiamo espresso la nostra opposizione. Ma è già sorto un problema più serio: l’esistenza di un polo socialdemocratico all’interno del governo, con un peso cruciale nel campo dell’economia e delle banche. Al momento in cui stiamo scrivendo, non conosciamo ancora la scelta del presidente della Repubblica. [Si vedano su questo gli altri articoli su questo argomento appena inseriti nel sito: Grecia – “Nessun presidente di centro-destra”! e Inquietudine in Syriza ]. Se si confermano gli scenari di “coabitazione”, avremo in seno al potere governativo un “fronte”, una versione di un governo di unità nazionale, dal quale saranno assenti solo la destra di Samaras e Alba Dorata. Un risultato del genere è un nuovo progetto politico, diverso dal “governo di sinistra” (e anche della sinistra radicale) deciso dal congresso di Syriza (nel luglio 2013).

 

Le prospettive

Siamo alla fine del cammino? La risposta è chiara. No. Le contraddizioni nel tentativo di riconciliazione con i creditori sono enormi. La comparsa sul proscenio del mondo del lavoro – con i suoi bisogni, le sue speranze e le sue attese accumulate di fronte alla barbarie dei memoranda – è il fattore che può cambiare tutto in senso positivo. E il fattore “partito Syriza” non dovrebbe essere sottovalutato da nessuno. Una rete nazionale di attivisti e di militanti politici, che nel corso di tutti gli anni precedenti è stata alimentata dalla resistenza operaia e popolare, deve trovare, nelle mutate condizioni la sua strada ed aprirla, anche per gli altri. Lo farà, insistendo sugli obbiettivi del rovesciamento dell’austerità e di un orientamento di transizione proprio della politica della sinistra radicale.

 

*Antonis Ntavanellos è membro dell’esecutivo di Syriza e della direzione di Dea.

Print Friendly, PDF & Email