Forse è il momento buono per sviluppare una «seconda riflessione». Dopo i proiettili sparati nell’ultima settimana dalle cosiddette «istituzioni» (il Fondo europeo di stabilità, la BCE, la Commissione europea, e in più W. Schäuble), è poco probabile che ci si debba attendere un comportamento migliore questo lunedì (9 marzo) da parte dell’Eurogruppo [il che si è confermato]. Questo non è neanche una «istituzione» (certo potente), ma una riunione informale dei ministri delle Finanze della zona euro, nel quadro del Trattato dell’UE.
Inoltre, secondo la dichiarazione del suo presidente, Jeroen Dijsselblom, questo particolare negoziato ha solo, in sostanza, la funzione di rappresentare i creditori della Grecia.
Le «istituzioni» [nome utilizzato per sostituire il termine «troika», senza cambiamento di sostanza] che nell’accordo del 20 febbraio erano sostituite dal «non istituzionale» Eurogruppo, hanno precisato di essere vincolate solo da quello che hanno imposto ai precedenti governi greci, e che questi hanno accettato: i memorandum. Esse considerano il nuovo accordo semplicemente come una reincarnazione o un travestimento di quello vecchio.
Chiunque sia sorpreso dall’andamento delle cose, rivela sia un’ingenuità politica sia un’analisi fondamentalmente errata. Mario Draghi (presidente della BCE) ha chiaramente annunciato il 22 gennaio 2015, tre giorni prima delle elezioni, che la partecipazione della Grecia all’alleggerimento quantitativo [riscatto del debito pubblico per 60 miliardi al mese], iniziato questo lunedì, presupponeva la messa in opera di un programma di riforme accettabile dalla BCE, e che anche in questo caso non sarebbe stato applicato prima di luglio, data in cui deve essere effettuato un grande numero di rimborsi [data la scadenza dei prestiti]. Il suo annuncio è stato interpretato come una chiara indicazione della durata dei negoziati concessa al governo che sarebbe uscito dalle elezioni di gennaio.
È evidente – ed è indipendente dal risultato della riunione dell’Eurogruppo di lunedì – che i creditori hanno un calendario molto più ridotto per la loro «tolleranza» verso il governo. Più ridotto non solo dei sei mesi citati da Draghi, ma dei quattro mesi fissati per il nuovo accordo (giugno 2015). Apparentemente, il motivo per cui sono entrati nel «bazar» (negoziato), era di capire con chi avevano a che fare. Uno «scan» [osservazione attenta] delle persone, delle loro intenzioni, delle loro debolezze, quelle di un «avversario». Ne consegue il loro comportamento aggressivo, poiché ora pensano di sapere con chi hanno a che fare e di che cosa hanno bisogno.
Dove vanno? I dirigenti tedeschi e quelli che – per i loro particolari motivi, come il governo spagnolo di Rajoy – sono allineati sulla linea più dura dei memorandum, valutano che l’inizio dell’alleggerimento quantitativo (QE) di Draghi, rafforza ancor più la zona euro rispetto alla possibilità di un Grexit (uscita dall’euro) o di un Grexident (un incidente che porti la Grecia a fare default).
Utilizzando la frusta dell’asfissia finanziaria e lo knut della conformità al memorandum (la carota non è stata utilizzata) verificano i limiti del governo e giocano la carta della «parentesi Syriza» [scenario utilizzato dalla destra e dai media greci prima delle elezioni per annunciare un breve governo di Syriza, in caso di vittoria, che andrebbe a fondo in un modo o nell’altro]. Supponiamo che questo scenario sia implicitamente riconosciuto dallo stesso governo quando descrive i piani delle istituzioni europee e dei circoli borghesi greci dominanti. Con la sola differenza che tali «circoli» non sono solo dei tipi ossessivi che non amano Tsipras, Varoufakis o Lafazanis, ma un circolo ristretto di interessi con una dominante tedesca che ha «costruito» l’UE e la zona euro in modo da renderla incompatibile con la minima deviazione dal dogma dell’austerità.
Con questi dati, il governo non ha presentato in modo corretto al Parlamento l’accordo del 20 febbraio e lo ha fatto accettare. È suicida per il governo dare all’accordo la legittimità democratica parlamentare, lo statuto di una legge dello Stato, mentre le controparti (la parte avversa: l’Eurogruppo) lo prendono per una tigre di carta che possono interpretare a loro piacere. Anche i governi che hanno fatto accettare l’accordo dal loro parlamento nazionale.
Di conseguenza, i creditori possono rischiare un fallimento (default), per abbreviare la durata in vita del governo, o manipolare o semplicemente ridisegnare i memorandum. Dando al governo la possibilità di non pagare «tutti i costi» della libbra di carne [allusione al Mercante di Venezia: poiché Antonio non può pagare il suo debito, l’usuraio Shylock gli richiede la sua libbra di carne] e, al suo posto, di applicare tutto il loro programma senza concessioni. E persino tutti gli aspetti che per motivi tattici non sono stati incorporati nell’accordo di febbraio, cosa che aveva suscitato l’allergia di alcuni creditori. Di quale accordo si tratta dunque? In effetti, quando i «partner» abrogano nel giorno della firma un piccolo finanziamento garantito per quattro mesi – mettendo in discussione il solo motivo per cui è stato accettato dal Parlamento greco – questo illustra la natura dell’accordo.
La dura lotta con i creditori, che non verrà meno in occasione del prossimo Eurogruppo, non deriva da una questione di persuasione dei partner «fuorviati». È una questione di potere, anche se l’obiettivo è un «compromesso onorevole». Conosciamo le risorse di potere dei creditori. Per la parte greca, le sole fonti di energia sono due: da un lato assicurare un ampio sostegno sociale al governo (e la società dovrebbe ricevere forti incitamenti dall’alto a fornirlo). E, d’altra parte, contrattaccare portando la parte avversa sul terreno non segnato di una nuova crisi della zona euro [cosa che implica, di fatto, un piano B e un’uscita dall’euro].
* Questo articolo è stato pubblicato il 9 marzo 2015 sul giornale Avgi, quotidiano di Syriza. L’autore scrive attualmente su Avgi e sul quindicinale di DEA Labour Left; in precedenza scriveva sul giornale della tendenza maoista di Syriza, KOE.