“Nutrire il pianeta o nutrire le multinazionali dell’agrobusiness?” era il titolo dell’incontro organizzato alla fabbrica recuperata Rimaflow con la presenza del leader dei Sem Terra Joao Pedro Stedile nel novembre scorso. Per gli organizzatori dell’incontro il punto di domanda era evidentemente un artificio retorico, consapevoli che Expo2015 rappresenta una grande occasione per le multinazionali e le più importanti imprese dell’agroalimentare dei paesi economicamente più forti.
Condividiamo questa consapevolezza e questa opinione, ma dobbiamo sottolineare che il gioco di Expo2015 è più sottile, nascosto e quindi pericoloso.
La costruzione materiale e immateriale che è sorta intorno al tema guida dell’Expo si propone di diffondere l’idea che sia possibile “nutrire il pianeta” anche (o soprattutto) con il contributo delle multinazionali dell’agrobusiness, quindi garantendo e sostenendo il loro profitto.
Ma c’è di più. Expo2015 si affida alla “collaborazione tra i diversi stakeholder della comunità internazionale” (dal sito expo2015.org), fingendo di mettere sullo stesso piano governi, organizzazioni internazionali, imprese e multinazionali e “società civile”. In questo modo si cerca di far passare l’idea che le soluzioni ai grandi problemi dell’umanità (accesso al cibo, all’acqua, ambientali ecc.) risiedano nelle grandi innovazioni tecnologiche e scientifiche e quindi in un idilliaco avvento di società “green” e collaborative.
Inutile dire che non si pongono problemi riguardo al controllo delle risorse, alla loro distribuzione “equa”, insomma ai rapporti sociali globali.
Senza voler entrare nel merito di questo aspetto (anche se lo faremo prossimamente), un’operazione analoga avviene da tempo con la diffusione dell’ideologia food che procede (come scrive Wolf Bukowski nel suo ultimo “La danza delle mozzarelle”, Edizioni Alegre) “fantasticando di una trasformazione sociale a partire dal modo di fare la spesa e cucinare… illusione consolatoria per i consumatori (che pensano di poter fare finalmente qualcosa di buono, pulito e giusto) i innocua per il capitale (anzi potenzialmente profittevole…)”, per evitare di assumere che “il capitalismo è un crimine di cui è indispensabile contrastare tanto le manifestazioni concrete e presenti (l’iniquità) quanto i sogni (lo sviluppo infinito)”.
Tornado ad Expo2015, sono diversi gli esempi di questa illusione collaborativa e di questa propaganda dell’equità e delle “magnifiche sorti e progressive” assegnate a scienza e tecnologia, ovviamente considerate neutre rispetto ai rapporti sociali di capitale.
In primo luogo all’interno del sito vengono ospitate esperienze teoricamente differenti o quasi “alternative”, per mostrare la diversità e la ricchezza delle risposte possibili. Così all’interno del sito potremo mangiare da Mc Donald’s – Official Sponsor di Expo 2015, protagonista del progetto “Fattore Futuro”, “nato con l’obiettivo di accompagnare e aiutare i giovani agricoltori nello sviluppo delle loro aziende, che ha ricevuto il Patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali; oppure possiamo scegliere di andare a comprare cibo di qualità, alimentare e politico-culturale, da Eataly, la creatura del frizzante Oscar Farinetti, vincitrice (senza gara) di un appalto per “due padiglioni da 4mila metri quadrati ciascuno, in cui funzioneranno 20 ristoranti, uno per regione italiana. Italy is Eataly: sarà il nome di quello che è stato presentato come “il più grande ristorante che mente (e pancia) umana abbia mai pensato”.
Farinetti vs McDonald’s? Non è così: i due marchi sono complementari, sia sul piano del target a cui si rivolgono, sia sul piano della comunicazione della loro partecipazione a Expo2015: entrambi si fanno paladini di soluzioni “concrete” per sostenere il “nutrire il pianeta”.
D’altra parte, sul piano culturale e ideologico il fast food si prende una rivincita sullo slow food (di cui Farinetti è uno dei maggiori profeti, oltre che distributore e co-proprietario di alcuni dei “presidi”): non perché si afferma una sua superiorità, ma perché irride una presunta e spocchiosa superiorità dell’altro – nel momento in cui quest’ultimo, che era nato programmaticamente come alternativa al sistema dannoso del primo, ne accetta ora una complementarietà all’interno di Expo.
Un altro esempio della confusione ideologica che Expo vuole diffondere riguarda il tema dell’acqua. Mentre in tutti i documenti si racconta la favola del diritto al libero accesso all’acqua, la multinazionale Nestlè (che sarà anche protagonista del padiglione elvetico, per “far scoprire al visitatore il rapporto che c’è tra l’uomo e il cibo”) attraverso la san Pellegrino vince l’appalto come “acqua ufficiale” di Expo2015 – nella città che vanta (con buone ragioni) la qualità della sua “acqua del sindaco” e che dovrebbe sostenere la consapevolezza della necessità di ridurre lo spreco causato dalla diffusione di bottigliette di acqua in plastica. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una resa da parte di chi si pone sul piano dell’alternativa possibile, che diventa semplicemente un comportamento sullo stesso piano di quello che si vorrebbe modificare. Siamo ben al di là dei “piccoli passi”: siamo alla resa alle ragioni del capitale multinazionale, ancora una volta egemone e vincente persino sul piano ideologico.
Ancora, possiamo parlare della questione Ogm. Anche in questo caso chi organizza Expo2015 sta molto attento a non spingere sul pedale di un’introduzione libera e senza regole degli Ogm. Si limita a voler aprire la strada ad un “ripensamento scientifico”, e ad un possibile scambio globale con i paesi della periferia. In questo senso ci sembrano significative le parole di Corrado Passera (al tempo amministratore delegato di Intesa San paolo, principale sponsor di Expo2015) citate ancora da Bukowski: “noi siamo posizionati nel mondo dei prodotti agro-alimentari con una serie di prodotti unici, riconoscibili, non replicabili…”, che quindi dobbiamo difendere e promuovere per i consumi internazionali, evitando di “contaminarli” (ideologicamente) con gli Ogm. Allo stesso tempo “in talune parti del mondo si deve spingere a trovare strumenti che permettano di rendere la produzione mondiale più sostenibile sia in termini di qualità, sia in termini di prevedibilità anche in condizioni avverse”. In questo modo si prone uno scambio alle aziende italiane e alle multinazionali: manteniamo il più possibile l’Italia libera da Ogm e i suoi prodotti appetibili per la nuova classe media globale, mentre si continui a spingere per Ogm e brevettazioni nei paesi della periferia.
Questa è la compagnia in cui si trova a operare Vandana Shiva nel suo ruolo di “Ambassador” per Expo2015! Perché, come da manuale della collaborazione programmatica, “Ad Expo, a discutere di agricoltura e di ambiente, non dobbiamo lasciare solo le multinazionali della chimica e dei semi”: peccato che queste siano ben piazzate nei posti chiave dell’organizzazione del “grande evento”.
Questi esempi della propaganda “collaborativa” di Expo2015 si trovano anche in un’altra grande operazione ideologica: quella rappresentata dalla Cascina Triulza e da “Expo dei popoli”, diverse tra loro ma sullo stesso piano della “presenza della società civile” all’interno o collateralmente ad Expo2015.
In questo caso dobbiamo essere chiari. Molte delle organizzazioni e Ong che partecipano a queste operazioni sono onestamente e quotidianamente impegnate per un diverso modello di sviluppo. Non è rispetto al loro impegno che verte la nostra critica, quanto sulla loro scelta di contribuire alla diffusione dell’illusione rappresentata da Expo2015, lavorando, implicitamente o esplicitamente, alla direzione di una conciliazione degli interessi e comunque nell’accettazione del tavolo formato dai “diversi stakeholder” come luogo possibile per affermare quel diverso modello di sviluppo. Non c’è bisogno di essere anticapitalisti per capire che quel tavolo è una truffa e che l’alternativa non può passare dalla collaborazione con le multinazionali o con illusioni “green”.
Expo dei popoli dichiara fin dalla prima riga del suo manifesto programmatico: “L’assegnazione a Milano e all’Italia dell’Expo 2015 “Nutrire il Pianeta Energia per la vita” ci offre l’opportunità di condividere, in primo luogo con la comunità milanese, ma poi con tutti gli interlocutori che a livello globale accetteranno il confronto, idee e proposte su un tema strategico per il futuro dell’umanità. L’Expo 2015 sarà l’occasione, secondo quanto dichiarato, per condividere con i popoli del mondo intero esperienze, progetti e strategie per nutrire il pianeta e per garantire energia per la vita alle future generazioni”.
A parte la considerazione, per noi importante, che organizzazioni che si vogliono impegnate per i diritti globali dovrebbero porre un po’ più attenzione al contesto di un evento che produce “debito, cemento e precarietà”….
Sarebbe come pretendere di far un “controvertice”, al G8 piuttosto che ad altre istituzioni neoliberiste, all’interno o parallelamente al vertice stesso, “opportunità” per parlare dei propri progetti. In questo caso si sceglie la strada dell’integrazione nel discorso collaborativo – che tra le Ong ha peraltro grande presa (pensiamo alla loro partecipazione alla ridicola truffa degli “obiettivi del Millennio”, che servono a raccontare la storia di governi impegnati a risolvere il problema della povertà mondiale mentre promuovono politiche che distruggono società e ambiente a livello globale).
Ma, ci viene detto, “non si può dire sempre di no”, dobbiamo saper cogliere la sfida della proposta. A parte che siamo convinti che ci siano “no che aiutano a crescere”, di fronte ad un evento come Expo2015, il cui segno prevalente è quello della promozione degli interessi delle multinazionali e che perpetua la logica di sistema, il no dovrebbe essere un punto di partenza per parlare chiaro, senza fingere che sia altro e senza sostenerne le logiche interne. Perché Expo2015 potrà anche contribuire a migliorare le statistiche sulle performance produttive globali, ed in particolare dei profitti di multinazionali e imprese dell’agrobusiness, ma sicuramente non sosterrà una diversa distribuzione di queste risorse e nemmeno una promozione dell’agricoltura contadina e di consumo consapevole. Insomma, siamo ancora nelle statistiche di Trilussa: anche se aumenterà il consumo di polli, rimarrà sempre vero che di fronte al pollo a testa, “c’è un antro che ne magna due”.