Pubblichiamo la versione italiana del volantino che l’MPS distribuisce in vista della manifestazione che si terrà sabato a Berna. Anche dal Ticino le organizzazioni sindacali organizzano trasferte in comune. Per informazioni contattare direttamente le organizzazioni sindacali. (red)
Questo lo slogan delle organizzazioni che invitano alla manifestazione nazionale delle donne, il 7 marzo 2015 a Berna. Una buona occasione per analizzare i diversi fattori che nella società e sul mercato del lavoro provocano la discriminazione delle donne.
Anche se la parità dei salari per un “lavoro di ugual valore” è inscritta nella Costituzione svizzera dal 1981 e nella Legge federale per l’uguaglianza dal 1996, le donne guadagnano in media il 20% meno degli uomini, spesso anche dal 30 al 40% in meno nelle banche, nelle assicurazioni e nel settore finanziario. Lo confermano i dato dell’Ufficio federale di statistica (UFS) e dell’Ufficio federale per la parità.
Una discriminazione salariare causata dalla divisione sessuale del lavoro che, in larga maggioranza, attribuisce lavori differenti alle donne e agli uomini. Assegnazioni di genere già presenti nella formazione. Anche se le ragazze ottengono a scuola i voti migliori, continuano a scegliere indirizzi di studio e di apprendistato meno prestigiosi.
La discriminazione salariale è la conseguenza della divisione sessuale del lavoro che, per la maggior parte, offre a donne e uomini lavori differenti.
Nella vita attiva, le donne sono, in generale, attive nei settori meno qualificati e meno pagati quali l’assistenza, le cure, le pulizie e il commercio. Questi settori richiedono competenze non meno valide di quelle delle professioni maschili. Ma si suppone siano “di qualità femminile” e che non occorra pagarle adeguatamente!
Questa disuguaglianza salariale si abbina alle disuguaglianze di classe, di nazionalità, di statuto legale, la cui somma fa in modo che le donne immigrate siano le salariate più sfruttate.
Ma non solamente il lavoro salariato….
Le donne sono quasi sempre costrette (che lo vogliano o no) ai lavori domestici e ai compiti educativi. Più della metà delle donne salariate lavora a metà tempo (o meno…) per poter assumere questi compiti “inevitabili” e per “conciliare” la vita lavorativa e la famiglia.
Una recente pubblicazione dell’UFS evidenzia che in Svizzera gli uomini realizzano i due terzi del lavoro remunerato (un totale di 7,7 miliardi di ore) e le donne i due terzi del lavoro non remunerato (in totale 8,7 miliardi di ore, di cui 6,6 miliardi per il lavoro domestico).
Le politiche di austerità in vigore ad ogni livello sociale diminuiscono le prestazioni del servizio pubblico, in particolare per i bambini e per le persone non autonome (per handicap o malattia). E sono quindi le donne che se ne occupano, aumentando il carico di lavoro non remunerato che debbono fornire.
I datori di lavoro approfittano della divisione sessuale del lavoro per proporre condizioni di lavoro degradate: salari bassi, tempo parziale obbligatorio, lavoro su chiamata, ecc….legittimando così la creazione di lavori precari che impongono poi anche agli uomini, in particolare ai giovani ed agli immigrati.
La divisione sessuale del lavoro ha evidentemente i suoi effetti anche sulle pensioni. Se per l’AVS, lo splitting delle entrate durante il matrimonio (1) e la creazione del bonus educativo consentono sia agli uomini che alle donne di ricevere una rendita, solamente 6 donne su 10 beneficiano di una rendita del 2° pilastro. Il “pacchetto Berset” che aumenta a 65 anni l’età di pensionamento delle donne, aumenterà la discriminazione delle donne pensionate.
Che fare, allora?
La parità salariale non è che la punta emergente dell’iceberg della discriminazione delle donne. Una società paritaria avrebbe bisogno di cambiamenti profondi: per esempio
• La diminuzione drastica del tempo di lavoro, senza diminuzione dei salari, per permettere agli uomini e alle donne di occuparsi dei compiti casalinghi, educativi e di assistenza ai parenti;
• La creazione di servizi pubblici per l’accoglienza dei bambini, che garantisca ad ogni bambino un posto in un asilo nido, così come a scuola.
• La creazione di servizi pubblici controllati dagli utenti per socializzare la presa a carico delle persone dipendenti, proibendo a imprese con scopo di lucro di esercitare nell’ambito delle cure e dell’aiuto a domicilio
• L’organizzazione di movimenti di donne per cambiare le mentalità e le pratiche in ogni ambito della vita
Siamo convinti/e che questa società disuguale e oppressiva debba essere trasformata. I potenti considerano la disoccupazione, lo smantellamento sociale, la povertà e i rapporti senza parità tra i sessi, come realtà eterne, immutabili, conseguenze inevitabili del funzionamento della società. “Fatti naturali”, le cui conseguenze possono essere solamente attenuate.
Queste affermazioni servono a difendere l’ordine esistente e i pochi privilegiati che ne beneficiano. Il funzionamento normale del capitalismo, di una società divisa in classi sociali. Con, da una parte, coloro che si appropriano di ciò che produce la ricchezza sociale, mentre dall’altra la stragrande maggioranza, continuamente costretta a mettere a disposizione le sue capacità intellettuali e manuali per un salario o, peggio ancora, coloro che non possono nemmeno entrare su un rapporto salariale.
Una società che produce e riproduce disuguaglianze, come condizioni indispensabili alla sua esistenza, mette in concorrenza gli uni contro gli altri e ha un rapporto di sfruttamento con la natura. Violenza, oppressione e dominio le sono necessari per progredire.
La crisi economica attuale, con i suoi piani di austerità, non fa che accrescere le disuguaglianze sociali, favorisce le guerre imperialiste e provoca disastri ecologici. Ma tutto questo non è una fatalità: per questo lottiamo per una società differente, socialista e realmente democratica, dove la produzione sociale sia controllata da tutte/tutti per soddisfare i bisogni sociali.
1) Calcolo della rendita di ogni donna/uomo, maturata durante gli anni di matrimonio, sulla base della divisione dei beni