Le recenti azioni di protesta condotte in Ticino (Exten, SMB, Cattaneo) hanno avuto, almeno per il momento esito positivo. Certo, la situazione resta difficile e l’esito finale delle trattative in atto, è difficile da prevedere: non è escluso che alla fine i lavoratori siano costretti (magari convinti anche dai responsabili sindacali) ad accettare qualche “inevitabile” sacrifico (come lascia prevedere, ad esempio, l’accordo di conciliazione sulla Exten, laddove le parti riconoscono la necessità di contenere i costi salariali).
Detto questo, non vi sono dubbi che nel contesto attuale le reazioni dei lavoratori in queste aziende sono state nel complesso più che positive e tali da sollevare interrogativi sulla strategia sindacale di fondo.
Lotta o concertazione?
La reazione in queste aziende contrasta nettamente con l’orientamento che le direzioni sindacali hanno deciso o proposto ai lavoratori in queste ultime settimane.
In Ticino, ad esempio, l’OCST da settimane conduce un’intensa campagna a favore di un “patto” tra imprese e sindacati a difesa dell’occupazione, in particolare di quella dei residenti. Una campagna che segue quella, ormai in corso da diversi mesi, tesa alla “difesa” dei contratti collettivi di lavoro (CCL) considerati l’unico strumento per difendersi dal dumping salariale e sociale. Anche qui la via per rafforzare i CCL è un’intesa, un patto con quella parte di imprenditori che si presupporrebbe “sana” a fronte di una parte “selvaggia”.
Naturalmente questi orientamenti non vedono (o fanno finta di non vedere) quanto sta succedendo nella realtà produttiva. In particolare non comprendono come la fase concertativa che ha garantito la messa in atto degli accordi bilaterali e la fase immediatamente successiva è, per il padronato, terminata. L’idea che il sostegno sindacale agli accordi bilaterali avesse come contropartita una difesa e uno sviluppo della politica contrattuale si è rivelata assolutamente sbagliata. Su questo punto le responsabilità delle direzioni sindacali sono enormi.
Oggi il padronato ha imboccato, dopo una fase di attesa, una strada chiara e decisa verso una rimessa in discussione anche di quelle poche regole che legislazione sul lavoro (quasi inesistente) e contrattazione collettiva (debole e poco incisiva) ancora contemplano.
Sbagliare è umano, perseverare è diabolico…
Eppure le direzioni sindacali perseverano nella loro cecità politica sulla strada della collaborazione di classe che porta alla distruzione di ogni regolamentazione efficace. Lo testimoniano due recentissime decisioni.
La prima viene dalla conferenza industriale di Unia che persiste nella logica della concertazione chiedendo al padronato di intavolare trattative per “patto per la piazza industriale svizzera” dicendosi contrario a diminuzioni di salario, ma favorevole, caso per caso, a prolungare temporaneamente l’orario di lavoro. Circostanza quest’ultima prevista dal CCL di settore e che, di fatto, significa comunque una diminuzione delle remunerazioni orarie.
La seconda testimonianza, forse ancor più grave, è l’accordo preso dalle associazioni padronali e dall’Unione Sindacale Svizzera (e da altre centrali sindacali), di modificare l’ordinanza della legge sul lavoro relativa al controllo degli orari di lavoro. In sostanza in diversi casi, caratterizzati sia per il tipo di attività che per i livelli salariali, le parti contrattuali possono rinunciare al rilevamento del tempo di lavoro, detto più semplicemente alla timbratura ed al conteggio del tempo di lavoro.
Quanto, nel contesto attuale, queste scelte mettano i lavoratori nelle mani dei loro padroni appare evidente a tutti coloro che ragionano un minimo, anche in considerazione della debole (o del tutto assente) presenza organizzata delle organizzazioni sindacali sui luoghi di lavoro.
Cambiare rotta
Le recenti mobilitazioni hanno dimostrato che i lavoratori sono disponibili a mobilitarsi; anche qui lavoratori frontalieri che spesso vengono indicati come causa (per il loro presunto comportamento poco solidale) delle mancate risposte alle politiche padronali. Non è certo una novità: le grandi mobilitazioni, gli scioperi del passato, molto spesso hanno visto in questo cantone i lavoratori frontalieri protagonisti. Basti pensare, per non prendere che un solo esempio, alle mobilitazioni degli anni scorsi nel settore della costruzione.
Oggi siamo a un punto di non ritorno. Il movimento sindacale si trova ormai in una condizione di debolezza e di impotenza quasi totale, frutto di scelte e orientamenti politici e sindacali errati, in particolare a partire dal dibattito sugli accordi bilaterali sostenuti di fatto acriticamente ed in cambio di poco o nulla. Le mobilitazioni recenti, in contesti difficili, hanno mostrato la possibilità di iniziare a costruire una resistenza parziale, frammentaria ma reale alla politica padronale. Una strada lunga, difficile, piena di rischi e di contraddizioni.
Ma l’unica che corrisponda agli interessi dei salariati. È l’ultima occasione che il movimento sindacale può afferrare per tentare di ricostituirsi come tale.