Con il suo stile inimitabile, Wolfgang Schäuble, il ministro delle Finanze tedesco, ha detto il 20 febbraio a conclusione dell’accordo tra Grecia e gli altri membri dell’Eurogruppo che “il governo greco avrà difficoltà a far accettare questo accordo al suo elettorato”. In realtà l’elettorato sembra essere comprensivo nei confronti di un governo soggetto a ricatti permanenti, che ha tentato una strada che nessuno dei suoi predecessori aveva seriamente preso in considerazione: negoziare il più duramente possibile, nel quadro dell’euro, per far uscire il paese della cura dell’austerità e dalla depressione senza fine in cui è precipitato.
Secondo un recente sondaggio Syriza gode di un forte sostegno popolare. In caso di nuove elezioni otterrebbe il 41,3% dei voti, con 20 punti di vantaggio su Nuova Democrazia. La stessa indagine evidenzia un apparente paradosso: l’accordo con l’Eurogruppo del 20 febbraio è giudicato dal 70% degli intervistati “migliore” o “un po’ meglio” di quello precedente. Ma la maggioranza relativa (39%) ritiene che è “sicuramente” o “abbastanza” la continuazione di accordi precedenti, contro il 31% che sostiene la tesi opposta, quasi come quelli che non “hanno un’opinione” su questo tema.
Sembra così che l’opinione pubblica pensi che il governo abbia fatto quello che poteva nel contesto dato, senza tuttavia aderire alla sua retorica autogiustificatrice che cerca di presentare il risultato come un “successo”. Ragione per la quale le percentuali di approvazione per rafforzare la strategia seguita nei negoziati sono i più alti registrati finora, con il 44% che si dichiara a favore dei controlli sui capitali (52% contro) e il 38% a favore per uscire dalla zona euro, con il 60% contrario.
Un “colpo di stato soft”
Tuttavia l’accordo in questione costituisce una grave battuta d’arresto per il governo di Syriza, obbligato a concessioni importanti: il riconoscimento di tutto il debito, l’impegno ad evitare ogni “azione unilaterale” che potrebbe avere un impatto fiscale o minacciare la “stabilità finanziaria”, il rinnovo della tutela della Troika ora chiamata “Istituzioni”. L’elenco delle “riforme” inviato da Yanis Varoufakis il 25 febbraio ai suoi omologhi europei completa il quadro: il governo greco si impegna a perseguire le privatizzazioni, ad introdurre la “flexicurity” nel mercato del lavoro già liberalizzato, a cercare di migliorare la qualità dei servizi pubblici mantenendo la spesa rigorosamente costante. Gli impegni pre-elettorali di Syriza sembrano essere molto lontani.
Alexis Tsipras ha certamente ottenuto una tregua di quattro mesi che dovrebbe garantire le necessità di finanziamento del paese e del suo sistema bancario. Ma il discorso che ha tenuto e che mirava a presentare l’accordo come un “successo” e una “dimostrazione di opportunità commerciali nel quadro europeo” non ha tardato a suonare come falso. Il governo ha le mani legate nell’incapacità di realizzare la maggior parte dei suoi impegni elettorali e di far uscire il paese della gabbia dell’odiato “Memorandum”.
Ciò ha comportato una paralisi quasi irreale per un governo della sinistra radicale, con un lavoro legislativo in fase di stallo, una marea di dichiarazioni contraddittorie e un ritardo su quasi tutte quelle misure – dal valore emblematico – che erano state annunciate nei primi giorni di governo. Aumenti salariali, la soppressione delle tasse sulle proprietà particolarmente penalizzanti per le classi medie e basse, innalzamento della soglia di non tassazione, in breve ciò che avrebbe potuto dare una boccata d’ossigeno a una società esangue.
Syriza è in realtà di fronte a quello che alcuni chiamano un “morbido colpo di stato europeo”, in cui le armi monetarie e le tecniche di manipolazione della comunicazione hanno sostituito (per ora comunque) i carri armati e bloccato l’attuazione del programma per il quale ha ricevuto un mandato popolare. Più seriamente: se questa situazione continua il “risparmio di tempo” dei quattro mesi contemplati dall’accordo del 20 febbraio potrebbe giocare contro il governo provocando un’erosione del sostegno popolare e permettere all’avversario di riorganizzare le sue forze e contro-attaccare. E, soprattutto, non c’è ragione di pensare che se la delegazione greca a Bruxelles mantenesse lo stesso approccio del mese scorso il risultato del nuovo round di negoziati, a partire da giugno, potrebbe essere diverso. Tanto più che ciò che sarà discusso non riguarderà un regime transitorio di qualche mese ma impegni a lungo termine.
Verso una “disobbedienza controllata”?
Le critiche dunque non sono tardate ad arrivare dentro la stessa Syriza al suo più alto livello. Dopo la riunione fiume di 12 ore del 27 febbraio, circa un terzo del gruppo parlamentare ha espresso la sua opposizione all’accordo con una votazione indicativa. Non meno di sei ministri hanno espresso la loro disapprovazione con un’astensione. Vale a dire quattro ministri provenienti dalle fila della Piattaforma di Sinistra (Panagiotis Lafazanis, Dimitris Stratoulis, Nikos Chountis e Costas Isyhos), ai quali si sono aggiunti Nadia Valavani (Vice Ministro delle Finanze) e Thodoris Dritsas (Vice Ministro per lo sviluppo). Anche la presidente dell’Assemblea nazionale, Zoe Kostantopoulou, non ha esitato a votare contro. Questo risultato ha costretto Alexis Tsipras a rinviare a tempo indeterminato ogni idea di sottoporre l’accordo del 20 febbraio ad un voto parlamentare che avrebbe mostrato solo le fratture all’interno della sua maggioranza.
Le resistenze si sono accentuate nel corso della riunione del Comitato centrale di Syriza che si è tenuto lo scorso fine settimana. L’ala sinistra del partito, guidata dal ministro della ripresa produttiva Panagiotis Lafazanis, ha dato una dimostrazione di forza raccogliendo il 41% dei voti su un emendamento che respinge sia l’accordo dell’Euro che la “lista Varoufakis” delle riforme da fare. Per la Piattaforma di sinistra il governo deve uscire dal quadro degli accordi sottoscritti che impongono di mantenere questi impegni previo consenso delle “Istituzioni”. In preparazione dei negoziati di giugno si propone “un piano alternativo”, che preveda misure unilaterali tra cui, in caso di nuovo ricatto sulla liquidità monetaria, una rottura con il quadro dell’euro. E’ in questa direzione che la sinistra di Syriza propone di appoggiarsi alle lotte operaie e popolari per contribuire a rivitalizzare ed allargare il sostegno popolare. I media hanno subito rappresentato un partito diviso sulle scelte strategiche e poco incline ad accettare la gogna imposta dall’UE.
C’è tuttavia un nuovo punto di equilibrio che sembra emergere dal discorso di Alexis Tsipras davanti al Comitato centrale rispetto ai precedenti annunci ministeriali. Il governo si sta muovendo verso una sorta di “disobbedienza controllata” nei confronti della tutela europea. Tsipras ha annunciato l’imminente presentazione di cinque progetti di legge che si concentreranno sulle misure di emergenza per far fronte alla crisi umanitaria: la liquidazione degli arretrati delle imposte a condizioni favorevoli per i piccoli contribuenti, il divieto di pignoramento delle abitazioni a causa dei debiti, la ricostituzione di radiodiffusione pubblica e l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulle responsabilità politiche che hanno portato alla firma dei Memorandum.
Il disegno di legge per affrontare la crisi umanitaria è stato successivamente presentato in Parlamento, ma va sottolineato che è stata pesantemente rivista al ribasso la versione del “primo pilastro” del Programma di Salonicco di Syriza, soprattutto a causa delle condizioni restrittive imposte per accedere agli aiuti disponibili. Il suo costo è stimato in 200 milioni di euro contro gli 1,8 miliardi corrispondenti agli impegni pre-elettorali, o 1,3 miliardi se si sottraggono i 500 milioni stanziati per il ripristino della tredicesima ai beneficiari della pensione minima. Sono state anche annunciate dal ministro degli Affari sociali, Dimitris Stratoulis, le misure che annullano i tagli sulle pensioni che il governo precedente si era impegnato ad effettuare durante il 2015. Stratoulis, una delle figure di punta della Piattaforma di sinistra, ha detto che intende presentare i suoi progetti alla previa approvazione delle “Istituzioni”, solo il ministro delle finanze si è fatto carico di discutere con la Troika rinominata. Per quanto riguarda il disegno di legge sul salario minimo per riportarlo al livello del 2009, ovvero 751 € lordi in due fasi, (una durante quest’anno, la seconda nel 2016), compreso il ripristino dei contratti collettivi, è previsto entro due settimane.
Per completare il quadro della disobbedienza selettiva dobbiamo citare le iniziative del ministro della ripresa produttiva, leader della sinistra di Syriza, Panagiotis Lafazanis che ha bloccato i tre progetti probabilmente più rappresentativi della politica di “accumulazione per esproprio “, portati avanti a marce forzate da parte dei governi precedenti: lo spezzettamento della società elettrica nazionale che mirava a privatizzare la parte più redditizia, lo sfruttamento a cielo aperto della miniera d’oro in Calcidica, concedendola a condizioni scandalose al colosso dell’industria estrattiva Eldorado Gold, oltre al trasferimento dei terreni del vecchio aeroporto di Atene a un prezzo ridicolo a una holding costituita dal miliardario greco Latsis associato al capitale del Qatar.
Verso un nuovo round di confronti
Questo orientamento potrebbe solo complicare ulteriormente i rapporti con le “Istituzioni” mentre la situazione economica peggiora drasticamente. Di fronte a un crollo delle entrate fiscali, che potrebbe portare ad un default disordinato dei pagamenti, il governo ha annunciato la sua intenzione di differire il pagamento in scadenza verso la BCE al fine di soddisfare il FMI.
Ma Wolfgang Schäuble non la vede in questo modo. In un’intervista nell’edizione di domenica di Bild Zeitung, ha avvertito i leader greci che qualsiasi ritardo nel rimborso del debito sarebbe automaticamente considerato un default. Chiede anche di attuare immediatamente le “riforme” alle quali è subordinato, pena di essere negato qualsiasi finanziamento. Una minaccia a prendere più seriamente il fatto che la BCE non ha tolto le restrizioni all’approvvigionamento di liquidità delle banche greche che sono, più che mai, in una condizione critica. Mario Draghi ha anche insistito sul fatto che tali restrizioni sarebbero annullate se il consiglio della Bce “decidesse che siano soddisfatte le condizioni per un positivo completamento del programma” pur esprimendo forti “riserve” sulle riforme previste da Atene.
In generale sembra che, lungi dal risolvere la crisi greca, l’esito di questo primo ciclo di frenetici negoziati sia stato un primo passo di un confronto prolungato tra il primo governo della sinistra radicale europea e una Unione Europea sempre più attestata sulla difesa della “gabbia di ferro” delle politiche neoliberiste. Resta da vedere se il governo di Syriza, ma anche il partito e movimenti sociali, riusciranno a sfruttare i prossimi quattro mesi per mettere in campo una strategia alternativa in grado di rompere le catene e di evitare le ripetute battute d’arresto nel mese di febbraio.
*Membro della Direzione nazionale di Syriza.