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20150426 131651Oltre 120 persone hanno partecipato alla festa organizzata dell’MPS sabato a Bellinzona per festeggiare il successo nella recente campagna elettorale per le cantonali e la rielezione di Matteo Pronzini.

Pubblichiamo qui di seguito l’intervento di Giuseppe Sergi alla festa.

 

 

 

Cari compagni, care compagne,
benvenuti a tutti e tutte a questo che vuole essere un momento di festa ed anche un’occasione per parlare tra di noi anche di politica, in un quadro disteso, cercando di riflettere sulle sfide politiche che ci attendono.
Ma prima di parlare delle elezioni e della situazione politica cantonale, non possiamo non cominciare con due riflessioni su due eventi che ci toccano da vicino e che devono attirare la nostra attenzione.
Il primo è il drammatico susseguirsi di morti, veri e propri crimini di guerra come ha giustamente fatto osservare qualcuno, nel Mediterraneo in questi ultimi giorni. La punta estrema di un processo in atto da tempo e di cui, in questi ultimi giorni, non si è avuta che un’accelerazione.
Questa situazione non è frutto della fatalità, come ben sappiamo. È il risultato del rinfocolarsi delle politiche imperialiste che, a partire dal 2003, hanno investito il Medio Oriente; è il frutto di guerre e interventi diretti dell’imperialismo americano e di altri imperialismi, meno potenti ma non certo meno colpevoli; è il risultato di regimi politici che hanno a lungo (e continuano in parte ad avere) il sostegno dell’Occidente: basti pensare la regime di Assad o all’Arabia Saudita ed al suo ruolo nell’attuale scontro nello Yemen.
Ma queste tragedie sono il frutto anche dell’assurda politica dell’Europa fortezza, quella Unione Europea che continua a pensare (e le decisioni di questi giorni non fanno altro che confermarlo) che è chiudendo e rafforzando le frontiere che si possono bloccare, scongiurare le migrazioni. Non comprendendo che ci sono milioni di persone che non hanno assolutamente più nulla da perdere e che sono disposte a rischiare la loro vita su un barcone.
Quel che è drammatico è il fatto che queste politiche sono concretamente pensate e applicate da governi al alla cui testa svolgono un ruolo di primo piano forze che, almeno nominalmente, si richiamano al socialismo: pensiamo la governo italiano, a quello francese, a quello tedesco frutto di un’alleanza nelle quale l’SPD gioca un ruolo importante.
Il secondo evento si riferisce alla ricorrenza festeggiata in Italia: il 25 aprile, il 70° della Liberazione dal nazi-fascismo. E oggi sappiamo quanto il riferimento a quell’evento sia importante. Non certo per ripetere i soliti riti pieni di chiacchiere e retorica ai quali purtroppo siamo stati confrontati in questi ultimi decenni, di un antifascismo di maniera, capace a volte di celebrare allo stesso tempo la Resistenza e i ragazzi di Salò.
È però necessario ritornare alle origini di un antifascismo militante, che bandisca e combatta le idee fascisteggianti che oggi ritornano ad avere cittadinanza, magari sotto le spoglie di un certo perbenismo borghese e piccolo borghese. La lotta alla xenofobia, al razzismo, alla rimessa in discussione dei più elementari e fondamentali diritti democratici, la contestazione di forme di democrazia sempre più autoritarie: tutto questo deve oggi essere al centro di una nuova resistenza che riesca a coniugare lotta per i diritti democratici e lotta per processi di emancipazione sociale e politica.
E veniamo al motivo che oggi ci vede qui riuniti e che, vedremo, ha molto a che vedere anche con i due punti ai quali abbiamo fin qui fatto riferimento.
Oggi noi festeggiamo una piccola, ma significativa progressione di quella che chiamiamo la sinistra radicale. La nostra lista (alla quale possiamo anche aggiungere in voti del POP che, malgrado la nostra totale disponibilità ad una soluzione unitaria ha preferito far cavaliere solo) è l’espressione di una volontà di resistenza. Una resistenza che, almeno sul piano elettorale, si è dimostrata quasi doppia rispetto a quattro anni or sono.
Non ci facciamo illusioni e non ci montiamo la testa: sappiamo che questa nostra affermazione rappresenta ben poco nel quadro dell’offensiva che il capitale conduce ormai da diverso tempo, un’offensiva approfondita dopo la crisi del 2008/2009, e che ha subito una nuova e profonda accelerazione dopo l’abbandono della soglia di cambio franco/euro dello scorso mese di gennaio.
Ma questo nostro successo è comunque un piccolo ed incoraggiante segnale, in particolare alla luce complessiva del risultato elettorale. Non vi sono dubbi infatti che queste elezioni abbiano segnato un rafforzamento delle forze politiche più vicine agli interessi del padronato, più nettamente orientate a destra e che hanno abbracciato tesi assai vicine alle politiche della destra più dura. La Lega e il PLRT, sempre più vicini, si sono indubbiamente rafforzati, compensando le perdite del PPD e ponendo le basi per un’alleanza che potrebbe fare sempre più male ai salariati di questo cantone. Non si tratta d’altronde di una specificità ticinese. Lega e PLRT a livello cantonale rappresentano elettoralmente e politicamente quello che UDC e PLR rappresentano a livello nazionale e in molti cantoni (compresi quelli che hanno votato di recente). E non a caso, poco tempo fa, si era sviluppato un dibattito, tutt’altro che peregrino, su una possibile alleanza tra PLR e UDC alle prossime elezioni nazionali.
Il loro terreno di intesa conta molti punti. Ne citiamo alcuni: la volontà di diminuire la spesa pubblica attraverso una politica di austerità, la determinazione a diminuire le imposte per detentori di patrimoni e per le imprese, una politica tesa a dividere i salariati tra buoni (i cosiddetti indigeni) e cattivi (stranieri e frontalieri) inserendo la fascisteggiante “preferenza cantonale”, la richiesta di sempre più deregolamentazioni nell’ambito delle condizioni di lavoro e contrattuali, il freno alla spesa e all’indebitamento. E la lista potrebbe continuare a lungo.
Questa politica non la si combatte certamente a livello istituzionale (è per questo che abbiamo affermato che il nostro successo è poca cosa); certamente una presenza istituzionale e una piccola vittoria come quella che festeggiamo oggi può dare coraggio, può permettere di propagandare alcune rivendicazioni, può permettere di dare visibilità alle nostre critiche e alle nostre proposte. È un megafono, lo abbiamo detto spesso: ma un megafono serve a poco se non si ha qualcosa da dire e se non si riesce a costruire nella società un’attenzione a quello che si dice e delle mobilitazioni a sostegno di queste idee.
Noi pensiamo che una risposta adeguata a questa deriva possa venire solo e principalmente sul terreno sociale. È solo cercando di dare il massimo contributo alla nascita di forme diverse di opposizione sociale che potranno essere modificati i rapporti di forza politici e sociali. Sui luoghi di lavoro, nelle scuole, nella società è necessario che si mettano in moto resistenze alle politiche padronali e dei partiti dominanti.
E abbiamo visto, certo in forma ridotta, che questo è possibile. Nelle scorse settimane abbiamo assistito a qualche piccolo ma significativo momento di resistenza. I lavoratori della Exten sono stati la punta più avanzata di questa resistenza; ma anche in altre aziende, seppur in numero ridotto rispetto a quanto sarebbe stato necessario. È stato possibile, almeno finora, frenare gli orientamenti del governo in materia di pianificazione ospedaliera, anche grazie alla campagna di lunga durata che ha condotto una forza piccola come la nostra.
Ma questa nostra vittoria può però essere anche un segnale della necessità di una rifondazione di una sinistra di sinistra, se mi passate la battuta; una sinistra anticapitalista che con le parole e con i fatti cerchi di contestare quell’ordine economico e sociale fondato sulla proprietà privata dei grandi mezzi di produzione e distribuzione che è la fonte principale dei drammatici problemi economici e sociali che vivono centinaia di milioni di persone. È un sistema che, dopo tre secoli di esistenza, non è ancora riuscito a garantire a gran parte degli abitanti del pianeta nemmeno i bisogni fondamentali: nutrirsi, avere un tetto, istruirsi, curarsi.
Diciamolo chiaramente: una sinistra degna di tal nome sarà anticapitalista o non sarà sinistra; per essere tale dovrà, lo ripetiamo, contestare radicalmente il capitalismo reale che mostra giorno dopo giorno sempre più il suo carattere oppressivo e distruttivo per uomini e donne, ambiente, cose.
Noi non vogliamo dare ricette e consigli a nessuno: ma quando vediamo che il primo eletto della lista socialista per il Gran Consiglio è un liberale, non possiamo che prendere atto della svolta definitiva di questo partito. Non è per il gusto dell’epiteto, né della classificazione, che da anni indichiamo questo partito con l’appellativo di social-liberale. Riteniamo che abbia invocato quella stessa via che porta al renzismo, all’hollandismo (per non prendere che gli esempi più vicini) e che apre la strada alla destra, assumendo come proprie, come nel caso di Renzi, politiche che nemmeno i precedenti governi di destra avevano osato portare avanti.
Finite le elezioni torniamo sul terreno della lotta sociale dunque. Le campagne che abbiamo condotto in questi ultimi anni (e che in parte sono alla base di questo risultato) non sono certamente esaurite. Basti pensare, ad esempio, a quella sulla pianificazione ospedaliera. La lotta contro una pianificazione frutto di una logica di mercato sempre più spinta e del tentativo di aprire al capitale privato nuovi settori della sanità andrà perseguita con nuovo vigore e sicuramente ci terrà occupati ancora per lungo tempo. Lo stesso vale per la lotta contro il dumping salariale e sociale che, ci pare, sia entrato in una nuova fase, sempre più aggressiva. È proprio di questi giorni, ad esempio, l’annuncio del padronato dell’industria grafica della disdetta del CCL di categoria, con la richiesta di aumento dell’orario di lavoro (da 40 a 44 ore) e la diminuzione dei supplementi per il lavoro notturno. Un segnale chiaro al quale, vi è da esserne certi, ne seguiranno molti altri, in molti altri settori.
Ora, come detto, a questa offensiva si può rispondere solo ricostruendo una rete di solidarietà sui luoghi di lavoro e nella società, con posizioni chiare e con orientamenti di opposizione alle politiche padronali e borghesi. In altre parole rimettendo al centro la battaglia per una prospettiva anticapitalista che, a noi pare, dovrebbe essere il cuore di una politica che si voglia veramente di sinistra.
Noi lavoreremo in questa direzione con tutti coloro che saranno disposti a farlo.