Nella campagna elettorale che sta per terminare di proposte demenziali ne abbiamo sentite molte. La più surreale è quella dell’economista de La Destra, Pamini, che vuole abolire l’imposta sul reddito e introdurre un’imposta di 850 franchi mensili a carico dell’impresa per ognuno dei propri dipendenti frontalieri.
Ma, sempre sul terreno economico e sociale, non sono mancate altre proposte che, dietro una patina di modernità, rinviano in realtà a forma di sfruttamento antico. Non sorprende, ad esempio, che a formulare una di queste sia uno dei candidati “confindustriali” locali, Nicola Pini, che si è lungamente diffuso a più riprese sulla necessità di sviluppare il telelavoro (cioè il lavoro a domicilio come si diceva nei secoli scorsi). Pubblichiamo questo articolo che mostra molto bene come la pretesa modernità vada di pari passo con le forme più tradizionali di sfruttamento. (Red)
Non è la prima volta che affronto su queste pagine l’argomento del taylorismo e quanto leggo in due articoli recenti mi induce a tornare sul tema. Un pezzo del New York Times spiega perché il famoso venture capitalist John Doerr ha deciso di investire nella società di software Better Works: i lavoratori che adottano i suoi prodotti sono incoraggiati a mettersi reciprocamente in competizione, “misurando” i rispettivi risultati con metodi che richiamano quelli con cui si stabiliscono i punteggi dei videogame e/o dei programmi di fitness.
Doerr si dice entusiasta di tale metodo, perché richiama il sistema OKR (Objectives and Key Results) che lui stesso aveva escogitato quando lavorava per la società Intel e che descrive così: si tratta di fare in modo che gli impiegati si auto attribuiscano degli obiettivi misurabili, e che rendano pubblici i risultati ottenuti, in modo che i colleghi possano metterli a confronto con i propri. Un sistema, commentano gli autori del pezzo, che smentisce l’opinione secondo cui il concetto di organizzazione scientifica del lavoro sarebbe un ferrovecchio.
In questo modo i principi di autonomia, responsabilità individuale e libertà da costrizioni gerarchiche dirette, elaborati dal management postfordista (e copiati di peso, come dimostra un bel libro di Boltanski tradotto da Mimesis intitolato “Il nuovo spirito del capitalismo”, dalla cultura dei movimenti post sessantottini), vengono resi perfettamente compatibili con i principi del taylorismo: autocontrollo e autosfruttamento sostituiscono il controllo da parte di capiufficio e capisquadra. Non basta: per rendere ancora più efficace il sistema, occorre “emancipare” il lavoratore anche dalla vicinanza fisica con i capi, virtualizzare il loro rapporto.
Ecco perché, come apprendiamo da un altro articolo pubblicato dall’Huffington Post, il telelavoro – dopo un periodo in cui sembrava avere perso appeal, smentendo le profezie entusiastiche dei guru della rivoluzione digitale – torna di attualità, al punto che anche Yahoo – società simbolo della New Economy, che qualche anno fa aveva imposto ai dipendenti che praticavano il telelavoro di rientrare in azienda – ha cambiato idea e ora favorisce l’esodo di chi preferisce lavorare da casa.
Questa inversione di tendenza si spiega con il fatto che molte ricerche hanno dimostrato che i lavoratori a domicilio sono più produttivi, lavorano più ore (perdendo consapevolezza della differenza fra tempo di lavoro e tempo libero), fanno meno pause, non si danno mai malati; in poche parole: si auto sfruttano selvaggiamente.
Per spiegare questa docilità autoimposta alle esigenze di valorizzazione del capitale non basta evocare l’indebolimento dei rapporti di forza delle classi subordinate, logorate dagli effetti di decenni di “guerra di classe dall’alto”: disoccupazione, individualizzazione, de sindacalizzazione, ecc. che li inducono a ingaggiare una spietata guerra fra poveri per “meritarsi” un salario; la catastrofe è in primo luogo frutto della disfatta culturale provocata dalla conversione delle sinistre all’ideologia liberista. Una conversione che, per la socialdemocrazia, ha assunto la forma della “sottomissione” (per citare Houellebecq) al dio mercato, per i “nuovi movimenti” quella dell’emancipazionismo individuale e identitario.
*articolo apparso su Micromegaonline il 22 marzo 2015