Passate le elezioni i problemi di fondo restano intatti. Naturalmente la nuova configurazione politica emersa dalle elezioni (sostanzialmente un rafforzamento della destra liberal-leghista) non potrà far altro che ringalluzzire chi a gran voce chiede un’ulteriore accelerazione del processo di liberalizzazione, di defiscalizzazione e di attacco alla spesa pubblica.
I primi banchi di prova saranno costituiti, ancora una volta, dai problemi che la campagna elettorale ha in parte sfiorato (perlomeno a livello di dibattiti), ma che, come diciamo nel bilancio del risultato elettorale che compare in questo stesso numero di Solidarietà, hanno alimentato il risultato elettorale: dalle difficoltà per i giovani sul mercato del lavoro alle pressioni sui salari, dalle difficoltà reddituali delle famiglie al peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro (ritmi di lavoro, incertezza occupazionale, crisi nel settore degli alloggi), in altre parole il deteriorarsi della situazione economica e sociale.
Alcuni segnali preoccupanti sono già giunti prima e dopo la campagna elettorale. Negli ultimi giorni della campagna, ad esempio, si è distinto il governo uscente con la sua presa di posizione sulla pianificazione ospedaliera. Accanto alle “concessioni” sul mantenimento di reparti di medicina negli ospedali di Acquarossa e Faido (ancora tutte da verificare e da precisare) il governo (come sempre unanime, da “destra” a “sinistra”) ha ribadito le sue scelte pianificatorie nell’ambito delle diverse specialità, così come l’ulteriore apertura al settore privato. Per quel che ci riguarda le condizioni della nostra opposizione, le ragioni di fondo che l’animavano , restano intatte e su questo tema la nostra azione e la nostra campagna non farà che intensificarsi.
Vi sono poi, sul tema del lavoro, le prese di posizione e le azioni concrete condotte dal padronato. Anche qui, in un altro articolo del giornale, raccontiamo come quella che abbiamo chiamato una nuova accelerazione dell’offensiva padronale post-bilaterali sia entrata nel vivo, sia con le misure adottate dalle aziende in materia di salari e orari di lavoro, sia attraverso la rimessa in discussione dei contenuti dei contratti collettivi di lavoro (CCL).
A livello cantonale, oltre alle misure avviate qua e là nelle ultime settimane, oltre ai licenziamenti in alcuni settori (in particolare in quello industriale), il padronato ha già dettato le proprie condizioni. In una recente conferenza stampa di presentazione della prossima assemblea generale, l’AITI, l’associazione mantello delle industrie cantonali, ha dettato il proprio programma al governo. Il presidente uscente Lotti, scrive il filoindustriale Corriere del Ticino, “invita caldamente, e finalmente, il Consiglio di Stato a risanare le finanze pubbliche. È uno dei risultati che l’AITI si attende dal nuovo governo…Rafforzamento delle condizioni quadro, implementazione della riforma III dell’imposizione delle imprese, migliorare il rapporto tra formazione professionale ed esigenze professionali delle imprese, snellimento della burocrazia e sinergie fra pianificazione, utilizzo del territorio e crescita economica sono altre aspettative dalla politica”.
E sicuramente il nuovo consigliere di Stato liberale Christian Vitta prenderà sul serio queste raccomandazioni, a cominciare da quella sul cosiddetto risanamento delle finanze pubbliche. Su questo piano vi è da attendersi il peggio. In particolare dopo che nella scorsa legislatura i partiti di governo sono riusciti a far approvare il principio del freno all’indebitamento, vero e proprio strumento di contenimento e diminuzione della spesa pubblica.
Christian Vitta, nuovo responsabile delle finanze, non ha d’altronde mai nascosto che la riduzione delle spese e il contenimento /diminuzione del debito pubblico sono elementi per lui essenziali. Nella scorsa legislatura era stato il più fervente difensore dell’idea della famigerata “road map”, cioè un programma di ridimensionamento della spesa pubblica. E le sue prime dichiarazioni vanno proprio in questa direzione, auspicata dai partiti di governo con l’idea di creare così “spazio” per qualche “creativa” diminuzione dell’onere fiscale, in particolare per alti redditi ed imprese.
Per concludere dunque, nulla di nuovo sotto il sole. Le elezioni sono passate con la conferma della volontà di imporre una politica di austerità ai salariati, di lasciare sempre più mano libera al mercato e alle sue poche regole e alla politica padronale.
Di fronte a tutto questo sarebbe necessaria un’ampia mobilitazione sociale. Una forte resistenza sui luoghi di lavoro (pubblici e privati), una politica sindacale che da questi luoghi partisse per costruire un’ampia mobilitazione sociale. Per il momento non abbiamo segni tangibili di tutto questo. Le poche (seppur significative) resistenze non sono andate al di là di qualche singola azienda e sono state, tutto sommato, assai ridotte rispetto alla vera e propria offensiva che si va delineando nel settore industriale (cfr. articolo in questo numero di Solidarietà).
Per quel che ci riguarda continueremo, nei limiti della nostra azione, a batterci contro la politica governativa e padronale, cercando di animare resistenze ed opposizioni a tutti i livelli.
Pronti a farlo con tutti coloro che vorranno impegnarsi in questa direzione.