I contratti collettivi di lavoro (CCL) hanno un ruolo tutto sommato abbastanza secondario nella struttura sociale svizzera. Prima di tutto per la loro estensione: interessano circa il 40% dei lavoratori e molti di questi CCL non contengono nemmeno salari minimi obbligatori. È vero che esiste la possibilità di rendere i CCL obbligatori anche per le imprese che non appartengono alle associazioni firmatarie, ma si tratta di procedure assai complesse e che necessitano di condizioni di difficile attuazione.
Nemmeno le “facilitazioni” promosse nel quadro delle cosiddette misure di accompagnamento hanno permesso di migliorare la situazione: prova ne sia che nessuno CCL nazionale ha potuto essere dichiarato di obbligatorietà generale dal 2004 ad oggi.
Era quindi normale che le cosiddette misure di accompagnamento, che avevano proprio il sistema contrattuale al centro della loro architettura, sarebbe state votate al fallimento, come in effetti è avvenuto. Esse hanno permesso solamente di “accompagnare” (cioè di favorire) lo sviluppo del dumping salariale e sociale, fin dall’inizio l’obiettivo perseguito dalla liberalizzazione del mercato del lavoro avvenuto nel quadro degli accordi bilaterali.
Finita questa fase, con un contesto socio-economico difficile, con una classe lavoratrice sempre più indifesa ed indebolita dalle politiche padronali degli ultimi anni, si sta sviluppando in questi ultimi mesi una vera e propria offensiva padronale che investe il sistema dei CCL.
Non crediamo che questa offensiva padronale voglia distruggere i CCL in quanto tali. La loro portata, la loro capacità di apportare diritti e vantaggi materiali ai salariati è così ridotta che non giustifica una loro scomparsa. Essi, inoltre, hanno ancora una funzione agli occhi del padronato nella misura in cui regolano i rapporti tra lavoratori e padronato attraverso il ruolo dei sindacati custodi della più assoluta pace del lavoro. Servono, in altre parole, a canalizzare sul nascere qualsiasi forma di protesta operaia.
Ma il padronato non ha rinunciato, comunque, a svuotarli costantemente di significato, cercando di cancellare tutto quello che, negli ultimi anni, ha dovuto in qualche modo concedere.
Sono tre i settori che vedono oggi il padronato passare all’offensiva e cercare di ridurre (a volte cancellare) quanto previsto (malgrado sia poco) dai CCL.
L’esempio più lampante è quello dell’industria grafica. È dei giorni scorsi l’annuncio di VISCOM, l’associazione del padronato dell’industria grafica, della disdetta del CCL nazionale del settore. VISCOM ha pure già annunciato le sue principali pretese per poter aderire ad un rinnovo del CCL: l’aumento dell’orario di lavoro dalle attuali 40 a 44 ore settimanali e l’abolizione dei supplementi per il lavoro notturno.
Non tira buona aria nemmeno nel settore alberghiero dove il CCL di categoria, uno dei più importanti per il numero di lavoratori sottoposti, visto anche che esso viene dichiarato di obbligatorietà generale. Qui l’attacco è concentrato sui salari con la richiesta padronale, già ventilata, di rivedere il versamento della 13a mensilità.
Infine il padronato delle imprese di lavoro temporaneo ha fatto sapere di non voler rinnovare il CCL nazionale di categoria firmato con le organizzazioni sindacali tre anni fa e, anch’esso, decretato di obbligatorietà generale. Un atteggiamento che la dice lunga sulla volontà padronale di approfondire l’offensiva contro salari e condizioni di lavoro: basti pensare che per il Ticino questo contratto prevede un salario minimo di 2’600 franchi.
Alla fine dell’anno arriva poi a scadenza il CNM (Contratto Nazionale Mantello) dell’edilizia,uno dei contratti tradizionalmente più importanti negli ultimi anni e che, soprattutto negli anni ’90, ha fatto segnare importanti conquiste (pensiamo al pensionamento anticipato) che hanno migliorato la condizione dei salariati. Miglioramenti ottenuti con grandi mobilitazioni guidata dall’allora SEI.
Oggi questo settore sembra in difficoltà. Non solo perché il CNM viene sempre più aggirato e sempre meno applicato (il recente rapporto del SECO conferma che le infrazioni nel settore principale della costruzione sono passate tra il 2013 e il 2014 dal 10% al 34% delle imprese controllate), ma per una difficoltà sindacale sempre maggiore a mobilitare in modo appropriato e vincente i lavoratori. Basti ricordare che in questi ultimi cinque anni è capitato a più riprese (l’ultima volta alla fine del 2014) che il padronato abbia imposto in modo unilaterale gli adeguamenti salariali (minimassimi) rifiutandosi di discuterli con le organizzazioni sindacali. E come questo non siano state in grado di organizzare una controffensiva di fronte a questo inaccettabile atteggiamento padronale.
Un segno evidente di un declino che assume sempre più aspetti ormai irreversibili.