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renzi asinoLo sciopero è riuscito. E’ stato il più grande dai tempi della protesta contro la ministra Gelmini e il governo Berlusconi nel 2008. Scuole chiuse dappertutto, altissima l’adesione dei lavoratori e delle lavoratrici chiamati a scioperare praticamente da tutti i sindacati della scuola, come ha potuto constatare chiunque ha i figli a scuola o semplicemente non ha trovato il consueto traffico automobilistico andando a lavorare alle otto del mattino.

In giro in autobus a Roma questa mattina era rincuorante osservare i cancelli chiusi, alcuni genitori che riportavano a casa i figli, i pochi crumiri che non sono riusciti a entrare a scuola per la mancanza di collaboratori scolastici disposti ad aprire la scuola in questo giorno di lotta.

Le manifestazioni hanno visto una partecipazione ben al di là degli stessi obiettivi sindacali. Tantissime lavoratrici e lavoratori sono scesi in piazza a Roma, Milano, Bari, Cagliari, Catania, Palermo, nei cortei nazionali organizzati dalle sigle sindacali principali insieme agli studenti e alle famiglie, ma tanti ancora erano nei cortei locali a Bologna, a Torino, Genova, Aosta, Napoli – dove si è improvvisato un flash mob a piazza del Plebiscito. Almeno trecentomila persone erano in piazza oggi per contestare l’aziendalizzazione delle scuole proposta dal disegno di legge di iniziativa del governo in discussione in questi giorni alle Camere.

La retorica della “buona scuola” del governo è andata in frantumi. Nonostante i potenti mezzi di comunicazione utilizzati da Renzi e dalla ministra Giannini per imbonire gli italiani, i lavoratori hanno capito che dietro gli annunci e le slide del Presidente del Consiglio c’è un progetto classista che mira a distruggere un diritto sociale fondamentale, quello ad una istruzione pubblica, gratuita, libera e di qualità. Il segno di questa inversione di tendenza nel senso comune ce lo consegna una conversazione intercettata questa mattina a Roma tra un vigile urbano (sì, proprio un pizzardone di quelli tartassati dalla giunta Marino e attaccati dall’opinione pubblica per gli scioperi selvaggi di capodanno) e un motociclista infastidito per la chiusura di una delle strade dove sarebbe passato il corteo, che si vedeva rispondere alle sue lamentele per il ritardo che gli avrebbe causato al lavoro, che chi era in piazza oggi lo faceva anche nel suo interesse, perché un giorno non si trovi costretto a dover pagare una costosa retta per mandare il figlio a scuola.

La ministra Giannini, che si è distinta nei giorni scorsi per aver dato degli “squadristi” algi insegnanti e agli studenti che l’hanno contestata nelle feste dell’Unità, ha reagito in maniera scomposta dichiarando che quello di oggi è uno sciopero “politico”. I sindacati ne hanno giustamente chiesto le dimissioni dal palco di piazza del Popolo, tuttavia una valenza politica per chi ha partecipato a questa giornata di lotta c’è stata. Il governo del Partito Democratico non è in alcun modo un governo amico dei lavoratori e delle lavoratrici, e chi continua a sostenerlo viene contestato aspramente in piazza, come ha imparato a sue spese Stefano Fassina. Molti erano i cori che chiedevano le dimissioni dell’intero governo, che con il Jobs Act e oggi con la “buona scuola” ha svelato il suo carattere antipopolare e classista.

Renzi ha risposto che andrà avanti “con la testa dura” (mai espressione fu più appropriata), e che tuttavia è disponibile al dialogo e ad alcune modifiche al disegno di legge. Ma quali sarebbero queste modifiche? Quelle proposte dal suo stesso partito, attraverso gli emendamenti in discussione nella commissione cultura alla Camera, che ovviamente non cambiano la logica di fondo della proposta governativa ma provano a coprirla con una foglia di fico.

In questo senso va l’emendamento sugli albi territoriali dei docenti, che eviterebbe ai docenti di essere sbattuti da una parte all’altra della Regione per poter lavorare, ma che lascia in piedi il concetto che i nuovi assunti, e poi chiunque faccia una domanda di trasferimento, sarà in balia della scelta dei dirigenti scolastici che sceglieranno i docenti da chiamare in base ai curriculum, e non saranno più vincolati a graduatorie oggettive sull’anzianità di servizio e i titoli maturati negli anni.

Nello stesso senso va anche l’emendamento che salvaguarda il ruolo del consiglio di istituto nell’adozione del piano dell’offerta formativa delle scuole, ma mantiene la possibilità di differenziare l’indirizzo formativo di ciascuna scuola, mettendo in cattedra docenti scelti in base alla coerenza della propria formazione con l’offerta formativa della scuola, proprio come funzionano oggi le scuole paritarie confessionali e confindustriali. Per non parlare delle modifiche proposte sulla valutazione del merito dei docenti, per cui non sarebbe più il dirigente a decidere monocraticamente a chi attribuire premi e prebende, ma dovrebbe sentire un ristretto nucleo di valutazione. La sostanza della divisione della categoria e della ricattabilità degli insegnanti rimane tutta in campo.

L’unico vero punto di avanzamento, se dovesse essere mantenuto, è lo stralcio della riforma degli organi collegiali, che cancellerebbe con un colpo di spugna la democrazia all’interno delle scuole. Su questo Renzi pare che abbia fatto marcia indietro, tuttavia con il potere che il ddl attribuisce ai dirigenti scolastici, gli organi collegiali sarebbero un ridotti ad un simulacro, in cui i componenti sarebbero sottoposti al ricatto continuo del dirigente e della sua ristretta cerchia di accoliti.

Renzi ha poi garantito che non procederà per decreti d’urgenza, quando invece proprio di un decreto d’urgenza ci sarebbe bisogno per garantire le assunzioni dei precari dal prossimo anno scolastico, così come imposto anche dalla sentenza della Corte di Giustizia europea. I funzionari ministeriali hanno già sollevato il problema che i tempi della discussione parlamentare della legge non consentiranno di mettere in moto tutte le procedure necessarie per attivare le assunzioni, ma Renzi addosserà la colpa della promessa mancata alle opposizioni in Parlamento e in piazza che non lo hanno lasciato lavorare.

Chi era in piazza oggi e chi ha scioperato chiedeva a gran voce il ritiro del disegno di legge 2994 dalla discussione parlamentare, perché non contiene alcuna proposta migliorativa, ma punta invece ad una sostanziale privatizzazione dell’istruzione pubblica. Le assunzioni si facciano per decreto e si discuta democraticamente sul rilancio dell’istruzione pubblica a partire da un disegno di legge completamente diverso da quello presentato dalla ministra Giannini, che è la legge di iniziativa popolare (lip) già depositata in Parlamento con le firme dei cittadini.

La grande mobilitazione di oggi ha aperto uno spiraglio sulla possibile sconfitta di questo governo e delle sue politiche di austerità. Certo è un movimento ancora fragile, e le direzioni sindacali che sono state spinte a forme di mobilitazione decise, potrebbero sempre capitolare di fronte ad un maquillage della proposta del governo. Occorre essere vigili su questo e continuare a mobilitarsi scuola per scuola per il ritiro della proposta governativa.