Le mobilitazioni e gli scioperi contro la “Buona Scuola”
È passato più di un mese da quando sono iniziate le mobilitazioni del mondo della scuola contro il DDL conosciuto come “Buona Scuola” proposto dal Governo con l’intento di modificare la scuola radicalmente e alle fondamenta.
Era infatti il 24 aprile quando alcune sigle sindacali di base e i lavoratori autoconvocati della scuola hanno indetto il primo sciopero contro questo DDL; poi a partire da quella data la protesta è cresciuta fino all’indizione dello sciopero unitario del 5 maggio che è stato il più grande del settore nella storia della Repubblica. Lo stesso giorno le strade e le piazze di diverse città italiane si sono riempite di migliaia di insegnanti, Ata, studenti e genitori che hanno chiaramente espresso un netto rifiuto al progetto di scuola targato Renzi. I successivi scioperi contro i quiz Invalsi sono stati un altro momento di partecipazione straordinaria al percorso contro il DDL; particolarmente forte è stata la protesta dei genitori che il 6 e 7 maggio hanno lasciato i propri figli delle Primarie a casa. Anche alcuni telegiornali hanno dovuto dare conto della protesta lasciando degli spazi inaspettati alle ragioni di chi da anni si oppone alla scuola dei quiz. Per tutto il periodo in cui il DDL è stato in discussione prima nelle commissioni e poi alla Camera dei Deputati la protesta si è protratta con assemblee, presìdi e flashmob che hanno continuato a tenere alta l’attenzione sull’attacco del Governo alla scuola pubblica.
Nei prossimi giorni, dopo l’approvazione alla Camera, il DDL verrà discusso in Senato mentre nelle scuole e nelle piazze andranno avanti le mobilitazioni unitarie: si è allargato infatti il fronte di chi aderisce allo sciopero degli scrutini che ora vede, oltre a quella dei Cobas primi ad indirlo, la partecipazione anche di CGIL, CISL, UIL, SNALS e GILDA. Il 5 giugno poi sono previste nuove manifestazioni nelle principali città. Scioperi e manifestazioni sono sostenuti da tanti comitati di insegnati, lavoratori e genitori che si stanno via via costituendo in molte città. Da segnalare anche la protesta elettorale, molto vivace sul web, portata avanti da molti insegnanti che, se alle elezioni europee dello scorso anno avevano dato fiducia all’ex sindaco di Firenze, in questa tornata elettorale hanno invitato a non votare il PD.
I frutti amari del primo anno di governo Renzi
Il Partito Democratico ha subito effettivamente una battuta di arresto perdendo, rispetto alle scorse europee e solo in relazione alle sette regioni che sono state chiamate al voto, circa 1.300.000 voti (per una prima analisi del voto leggi qui). Questi risultati mostrano il calo di popolarità a cui sta andando incontro il premier ma l’emorragia di voti del PD non è spiegabile solo con la lotta contro la Buona Scuola. Essa è il frutto del primo anno di governo Renzi: la riforma della scuola è solo uno degli assi che sono alla base del programma di questo Governo; infatti, da quando costui ha conquistato la guida del paese sono realtà il Jobs Act, lo Sblocca Italia, l’Italicum e l’abolizione del Senato.
Con una protervia mai vista prima, il governo Renzi è riuscito a cancellare diritti fondamentali del lavoro come l’articolo 18, a dare il via libera a spreco e corruzione attraverso la costruzione di grandi opere inutili, ha ottenuto l’abolizione del Senato elettivo e una legge elettorale maggioritaria che restringe ulteriormente gli spazi di democrazia e di rappresentanza nelle istituzioni per chi si fa portatore del dissenso verso le politiche di austerità applicate dal Governo. Tutto questo sta avvenendo col beneplacito della Confindustria di Squinzi che non mai ha gongolato come in questo periodo e non senza conseguenze tangibili dalla maggior parte della popolazione; da quando è iniziata la crisi economica, ben 8 anni fa, la classe lavoratrice e i pensionati stanno pagando il prezzo più alto attraverso l’aumento dell’età pensionabile, la perdita enorme di posti lavoro, l’aumento della disoccupazione, la chiusura delle fabbriche, le ristrutturazioni e le delocalizzazioni, l’aumento di ritmi e orari di lavoro e la tendenza è la stessa sia nel settore privato che nel pubblico impiego.
Le preoccupazioni del governo
Se il verdetto delle urne non spaventa affatto Renzi e il suo establishment che hanno dichiarato a più riprese la loro ferma volontà di andare avanti con le riforme, freddando tutti quei docenti che pensavano ad un possibile ripensamento della riforma della scuola (il governo continua comunque a tenere saldamente il potere nelle sue mani e lo ha dimostrato facendo approvare il DDL alla Camera senza che fosse accolta nessuna delle modifiche sostanziali proposte da chi ha indetto lo sciopero del 5 maggio), ciò che potrebbe realmente impensierirli è l’aumento delle mobilitazioni, l’unità del fronte che guida le proteste e la possibilità che questa si estenda ad altri settori della società. Per scongiurare questo pericolo e la conseguente solidarietà tra i diversi settori sociali colpiti dalla politiche di austerità, vari esponenti del governo hanno tacciato gli insegnanti di non capire la riforma, di essere dei conservatori di fronte al nuovo che avanza o anche di essere degli “squadristi” quando contestano la Ministra Giannini. Sono parte della medesima tattica anche le finte aperture al dialogo, la propaganda insistente sui media contro gli insegnanti e i diversi tentativi di dividere il fronte di lotta quando, ad esempio, si dice che i docenti che bloccheranno gli scrutini lo faranno contro l’interesse di studenti e genitori o quando si punta alla divisione del fronte sindacale facendo leva sulle loro differenze e debolezze. Il governo è pienamente consapevole dell’importanza della partita che si sta giocando e ogni volta scende in campo con tutte le armi e con tutta la forza che possiede con l’unico scopo di dividere e frammentare la lotta per renderla più debole e meno efficace.
La risposta al governo del fronte contro il DDL
Per ora la mancanza totale di concessioni e di modifiche al disegno di legge e l’arroganza con cui si sta portando avanti l’iter parlamentare sta mantenendo l’unità del fronte di opposizione alla “Buona Scuola” e sta contribuendo ad aumentare la radicalità della protesta dove sono maggioritarie le voci di coloro che chiedono il ritiro del disegno di legge dalla discussione parlamentare rispetto a coloro che si accontenterebbero di qualche modifica sulle assunzioni e su ruolo e potere del dirigente manager. Il velo della propaganda governativa è stato squarciato: non solo sono sempre di più i non disponibili ad accettare il ricatto assunzioni versus perdita di diritti ma aumenta anche l’interesse e la voglia di capire le ragioni di questa protesta e qual è la posta in gioco.
A questo punto sarà decisiva la partecipazione plebiscitaria allo sciopero degli scrutini ma anche la costruzione di un percorso che provi a mobilitare proprio quei settori sociali che il governo vorrebbe tenere lontani dalla protesta e che provi ad un unire tutti i quelli che, disorientati dalla propaganda governativa e divisi dalle politiche economiche degli ultimi anni, non riescono a vedere né una prospettiva di cambiamento né la possibilità di riuscire a mandare a casa Renzi.
Perché estendere il fronte della lotta
È fondamentale che questo movimento rivendichi la continuità con le mobilitazioni dello scorso autunno che pure aveva visto in piazza migliaia di lavoratori e lavoratrici chiamati allo sciopero sia il 14 novembre che il 12 dicembre. Poi, come sappiamo, quel percorso è stato interrotto dalla scelta colpevole delle organizzazioni sindacali confederali di non continuare la lotta e il governo ha avuto gioco facile nell’approvare il Jobs Act. In quell’occasione sono state disperse una potenzialità e una disponibilità alla lotta che oggi potrebbero essere ancora ritrovate se tutti i sindacati della scuola, spinti anche dal basso, cominciassero a chiedere il coinvolgimento delle altre categorie sindacali sulla base di piattaforme rivendicative che mettano al centro gli interessi di tutta la classe lavoratrice e che riaprano a tutto campo il confronto con il governo.
Il movimento contro la “Buona Scuola”, oltre a difendere il lavoro e il salario di migliaia di lavoratori e lavoratrici del settore, sta contrastando da solo il governo Renzi ma, data la portata dell’attacco, è molto difficile che questo riesca a resistere e ad avanzare con le sole proprie forze ed è per questo che è necessario costruire le condizioni per uno sciopero generale. Quando l’attacco è così duro e le divisioni vengono create luogo di lavoro per luogo di lavoro, la risposta deve essere generalizzata e di piazza e lo sciopero generale è l’arma più potente che i lavoratori e le lavoratrici hanno a disposizione per fare questo; non a caso è molto temuto da governi e padroni.
La storia ci insegna che quando si generalizza la lotta e si coinvolgono nelle manifestazioni anche i settori non direttamente interessati le possibilità di strappare condizioni più favorevoli per l’insieme della classe lavoratrice aumentano ma la stessa ci insegna anche che se non si costruiscono mobilitazioni e si comincia a cedere su un punto presto si sarà costretti a cedere anche su tutto il resto. Ad esempio, basta guardare a quanto accaduto a cavallo tra il ’68 e il ’75 e quanto accaduto negli ultimi anni fino all’approvazione del Jobs Act: nel primo caso la generalizzazione delle lotte e la solidarietà tra i lavoratori aveva portato il governo all’approvazione dello Statuto dei Lavoratori nel 1970 e costretto Confindustria alla negoziazione per l’introduzione della scala mobile nel 1975; nel secondo invece la scelta di firmare accordi a ribasso, la continua capitolazione di fronte alle richieste di Confindustria in nome della crisi economica, la cessione di diritti in cambio di qualche modestissimo aumento salariale, la scelta di abbandonare la lotta in favore della concertazione hanno portato alla cancellazione di fatto dello Statuto dei Lavoratori sostituito dal Jobs Act e alla richiesta sempre più insistente da parte dei padroni di superare il contratto collettivo nazionale e di eliminare il diritto di sciopero.
Necessità dello sciopero generale
In fin dei conti la lotta contro la “Buona Scuola” è una lotta che riguarda tutti e tutte ed è per questo che è necessario estenderla a tutti e tutte: è una lotta per l’affermazione dei diritti di tutti/e nel momento in cui prova a dire che va rinnovato e difeso il contratto collettivo nazionale e la dignità di chi lavora, è una lotta contro il lavoro gratuito imposto agli studenti attraverso le ore di alternanza scuola – lavoro che, dopo l’istituzionalizzazione avvenuta con gli accordi sindacali per Expo, entra a far parte della normalità del mondo del lavoro e della varietà dei contratti offerti ai giovani e alle giovani di questo paese e se si guarda bene è anche una lotta in difesa del salario indiretto di tutti i lavoratori e le lavoratrici, non solo di quelli del settore. L’istruzione pubblica gratuita fa parte anch’essa delle conquiste frutto delle lotte della classe operaia ed è parte del salario indiretto. Se passa questo DDL l’istruzione pubblica non sarà più garantita per tutti/e allo stesso modo, si affermerà un sistema classista ed escludente di istruzione e tutti i lavoratori e le lavoratrici, a prescindere dal settore nel quale siano impiegati, perderanno così una parte del loro salario e insieme ad esso la possibilità di dare un’istruzione adeguata ai propri figli.
La lotta del mondo della scuola contro l’ennesimo attacco ai diritti si sviluppa infatti dentro l’applicazione feroce delle politiche di austerità che hanno come scopo ultimo proprio la distruzione di tutte le conquiste politiche e sociali che il movimento operaio ha ottenuto con dure lotte e non si può prescindere da questo. Il rischio più grosso è che se dovesse passare la Buona Scuola i lavoratori e le lavoratrici nel loro insieme dovrebbero affrontare un’altra enorme sconfitta che, sommata a quella subita con l’approvazione del Jobs Act, renderebbero ancora più difficile di quanto lo sia oggi la costruzione di un vasto movimento unitario contro le politiche di austerità e contro il governo che ne è l’esecutore materiale. Ogni sconfitta porta con sé amarezze, delusioni e disillusioni che fiaccano le resistenze e fanno abbassare la coscienza di chi si è speso in scioperi e manifestazioni. Il risultato più preoccupante è il ritorno a casa, l’abbandono della piazza, l’assenza totale di prospettive e il disorientamento politico.
La realtà del mondo del lavoro peggiorerebbe ulteriormente e sarebbe vana la speranza di coloro che pensano che prima o poi tutto questo finisca perché “tanto un giorno o l’altro si toccherà il fondo” o perché “non si potrà continuare a lungo così” dato che la brutalità della crisi economica ci palesa che non esiste un fondo o una fine dello sfruttamento oltre il quale il sistema capitalista non possa andare; si può scendere sempre più in basso e c’è sempre qualche altro diritto da cedere o qualche altro sacrificio richiesto per permettere al paese di uscire dal tunnel.
È dunque, in questa fase storica, una precisa responsabilità delle organizzazioni sindacali e di tutte quelle forze politiche che vogliono opporsi ai programmi dell’austerità non solo guidare quello che c’è in piazza in questo momento e prendere parte alle mobilitazioni ma lavorare attivamente e su programmi concreti che partano dalle condizioni attuali dell’insieme del mondo del lavoro per ricostruire un movimento popolare ampio, plurale e democratico in grado di dare risposte all’altezza della situazione che stiamo affrontando e lo sciopero generale è una di queste risposte.