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borsedistudioIl prossimo 14 giugno andremo a votare sull’iniziativa popolare federale sulle borse di studio, lanciata nel 2010 dall’Unione degli Studenti Svizzeri (UNES), che ha raccolto 117’069 firme, di cui il 46% nelle città di Zurigo e Berna, il 31% in Svizzera romanda, il 9% nei semi Cantoni di Basilea e il resto (2000 firme) in Ticino.

Questa iniziativa ha il merito di aver riproposto il tema del finanziamento degli studi nelle scuole superiori nel nostro paese. Se per alcuni il dibattito si riduce ad una pura questione di disparità cantonali negli importi delle borse di studio assegnate, a nostro parere è necessaria una riflessione più ampia che permetta di comprendere la posta in gioco fondamentale attorno alla questione delle borse di studio.

 

L’iniziativa UNES

Attraverso la modifica dell’articolo 66 della Costituzione federale (Aiuti alla formazione), l’iniziativa propone due elementi essenziali:
1. L’armonizzazione formale dei criteri di finanziamento e di concessione dei sussidi per la formazione destinati agli studenti delle scuole universitarie e per chi segue una formazione professionale, debba essere di competenza della Confederazione e non più dei cantoni.
2. L’armonizzazione materiale di questi sussidi deve garantire un minimo tenore di vita per tutta la durata di una prima formazione terziaria riconosciuta (Bachelor + Master).
Secondo l’iniziativa, la Confederazione può inoltre contribuire agli aiuti cantonali relativi agli altri ordini di insegnamento. Conformemente alle “pratiche del federalismo elvetico”, i Cantoni saranno responsabili dell’attuazione delle disposizioni relative agli aiuti alla formazione, e possono versare importi più elevati di quelli fissati dalla Confederazione. Lo scopo è di fare un primo passo verso un “sistema di formazione più equo, il cui accesso non dipenda né dalle possibilità finanziarie delle persone in formazione, né da quelle delle loro famiglie”.
Secondo l’UNES (sigla francese, più nota, dell’Unione Svizzera degli Universitari – USU), nell’aiuto alla formazione dovrebbe essere investito almeno mezzo miliardo di franchi supplementari per poter garantire la metà delle spese quotidiane del 20% degli studenti delle Alte Scuole svizzere. L’iniziativa vuole aiutare gli studenti la cui situazione economica non permette loro di accedere ad una formazione post obbligatoria, cosi come gli studenti discriminata a causa del loro domicilio legale, che è uno dei criteri che determina oggi la concessione di una borsa di studio. L’UNES vuole aumentare la proporzione di coloro che hanno diritto ad una borsa di studio, pur non rinunciando al principio della “responsabilità finanziaria” dello studente e della sua famiglia. Essa ritiene che gli studenti possano assumere la metà dei costi legati ai loro bisogni vitali ed ai loro studi – cioè 24’000 franchi, secondo i calcoli dell’Ufficio federale di statistica (UFS) – grazie al sostegno familiare e ad una attività salariata. Ad alcune categorie di borsisti mancherebbero dunque circa 1’000 franchi al mese, per accedere ad una formazione post obbligatoria.

 

Il Consiglio federale non vuole investire nella formazione

ll Consiglio federale (CF) come anche le due camere del Parlamento federale – Consiglio degli Stati e Consiglio nazionale – hanno respinto l’iniziativa. Il CF ha presentato un controprogetto, preparato dal consigliere federale socialista Alain Berset. Secondo il CF, l’iniziativa comporterebbe costi supplementari insostenibili, in particolare tenendo conto, per le finanze pubbliche, dell’obbligo di rispettare il “freno all’indebitamento”, il meccanismo che prevede che l’ammontare delle spese non debba superare quello delle entrate nel quadro di un ciclo congiunturale. Un vero e proprio ricatto imposto agli studenti che suona pi”u o meno così: o rifiutate l’iniziativa ed accettate il controprogetto, oppure le spese supplementari causate dall’iniziativa dovranno essere compensate attraverso tagli finanziari equivalenti. La responsabilità, in ogni caso, è vostra!
Il controprogetto prevede una revisione totale della Legge federale sui sussidi della Confederazione per le borse di studio. Esso si basa sul Concordato inter cantonale sull’armonizzazione dei regimi delle borse di studio, entrato in vigore il 1°marzo 2013, a cui hanno già aderito 16 cantoni.
L’obiettivo del concordato è quello di armonizzare le 26 leggi cantonali sulle borse di studio (obiettivo perseguito anche dall’UNES).
Ma le competenze in materia vengono lasciate ai cantoni e, soprattutto, questo concordato non aumenta in modo significativo il totale dei sussidi. Al contrario, i suoi principi continuano in quella logica di “selezione” dei borsisti, che caratterizza le disposizioni in vigore, per almeno due motivi:
1. Cambia la base di calcolo per ottenere una borsa di studio. Passa dal criterio fiscale di reddito imponibile al criterio sociale di reddito disponibile semplificato (prendendo come base la copertura finanziaria dei bisogni di base così come vengono calcolati dall’amministrazione). Si tratta di un metodo che prende origine dalla riforma delle prestazioni complementari AVS e dei sussidi agli assicurati delle casse malati. L’obiettivo sarebbe quello di distinguere tra coloro che hanno veramente bisogno di aiuto da coloro che ne abuserebbero. L’allusione a studenti che approfitterebbero del sistema delle borse è la tela di fondo di questa riforma. Risultato: alcune categorie di borsisti riceveranno un po’ di più ma, complessivamente, assisteremo all’esclusione di un numero sempre maggiore di studenti dal diritto. I risultati reali si vedranno nei prossimi anni.
2. Alcune categorie subiranno le conseguenze maggiori: gli stranieri con un permesso provvisorio, i richiedenti l’asilo, gli studenti con più di 35 anni. Nessun aiuto è previsto per loro!

La caramella offerta in cambio di questa pillola amara è rappresentato dall’aumento del limite massimo di una borsa che un cantone potrà concedere: da 13’000 a 16’000 franchi. Ma la conferma di questo tetto massimo non è stata inserita nella Legge federale sui contributi alla formazione, ma solamente nel testo del Concordato…a cui i cantoni non sono obbligati ad aderire. Oltretutto, questa somma è di molto inferiore ai 24’000 franchi che, secondo i calcoli dell’Ufficio federale di statistica (UFS), permetterebbero un “livello di vita minimo” e su cui gli iniziativisti si basano per aumentare il livello delle borse per alcune categorie di persone.

 

Un accesso agli studi estremamente selettivo

Questa iniziativa si inserisce in un dibattito più ampio sul sistema educativo svizzero. Vediamo prima di tutto qualche dato.
La Svizzera è il quarto paese al mondo dal punto di vista del prodotto interno lordo/per abitante (PIL/ab.):83’974 $ per abitante, secondo il Fondo monetario internazionale (FMI). Ma solamente il 5% del PIL è destinato all’educazione a tutti i livelli. Questa cifra è diminuita del 6% dal 1990 e si situa del 6% al di sotto della media dei paesi dell’OCSE.
In Svizzera, il volume complessivo delle borse di studio è diminuito del 25% dal 1993, mentre, secondo i calcoli del UFS, il numero degli studenti è aumentato sensibilmente (+44%).
Oggi, solamente l’8% degli studenti riceve una borsa di studio, nel 1990 era il 14,7%.
Più di un terzo degli studenti (36%) ha almeno uno dei due genitori in possesso di un titolo universitario e solamente il 9 % dei genitori di studenti non ha seguito una formazione post-obbligatoria.
Gli studi universitari in Svizzera sono dunque ampiamente riservati ad una minoranza situata in cima alla cosiddetta scala socio-culturale ed anche a quella dei redditi. Queste cifre rappresentano i risultati delle direttive padronali che chiedevano di “correggere, se possibile, i meccanismi che incitano a formare il maggior numero possibile di studenti” (EconomieSuisse, Politica della formazione della ricerca e dell’innovazione: linee direttrici dell’economia, 2014)
Il terzo progetto della Riforma di imposizione delle imprese (RI imprese III) non farà che aggravare i problemi di finanziamento della formazione perché provocherà alle casse pubbliche un ammanco di oltre un miliardo di franchi, secondo le stime “ottimistiche” del Consiglio federale. Per contro ne approfitteranno molte imprese che già fanno benefici milionari, come, ad esempio, la Ammann Group Holding SA (macchine per l’edilizia, immobili, investimenti e finanziarie), diretta oggi dagli eredi del consigliere federale Johann Schneider-Ammann.
Un mondo sottosopra: i padroni e i loro rappresentanti politici che pretendono di giocare la carta del riscatto legato al rispetto ed alla responsabilità per porre un “freno all’indebitamento” ed enfatizzano la mancanza di risorse pubbliche, con conseguenze drammatiche nei settori della formazione, dei trasporti, della sanità e della vita sociale!

 

Siamo, noi studenti, “responsabili”?

Secondo le nostre autorità, il sistema svizzero delle borse di studio è buono. Se la Svizzera ne concede relativamente poche, è perché “questo fatto riflette la tradizione elvetica di una responsabilità individuale e di sussidiarietà” (Johann Schneider-Amman, 24 Heures, 13.4.2015). Cosa vuol dire? I padroni che non recitano il ruolo di Consigliere federale sono molto più espliciti: “le persone in difficoltà finanziaria che riceveranno una borsa di studio annuale completa di 24’000 franchi, sicuramente non cercheranno un lavoro da affiancare agli studi, perché non sarà necessario” (EconomieSuisse, Iniziativa sulle borse di studio: il cattivo cammino verso le pari opportunità, 30 marzo 2015). I padroni vogliono come salariati …studenti a basso costo. Si può seriamente dubitare che la necessità di dover ricorrere contemporaneamente ad un lavoro salariato sia il miglior modo per proseguire gli studi, in particolare quelli scientifici o tecnici, estremamente impegnativi e , in Svizzera, i prediletti dalle autorità e che portano ai posti di lavoro migliori. Il risultato di tutto questo è che essi continueranno ad essere riservati ai figli delle famiglie agiate. Né il Consiglio federale e neppure il padronato hanno il coraggio e l’onestà di ricordare che già oggi ben il 77% degli studenti lavora durante la loro formazione per la maggior parte in quei settori (ristorazione, vendita, cura dei bambini, call center, animazione sociale, ecc.) che nulla hanno a che vedere con i loro percorsi di studio. Questi studenti si preparano sicuramente ad accumulare un'”esperienza necessaria nel mondo del lavoro”: la competenza in flessibilità e condizioni di lavoro precarie! Continuando così a far contenti i padroni che incessantemente promuovono questa precarietà.
Eppure, il problema della responsabilità di chi usufruisce di una borsa di studio va al di là di questa semplice costatazione! I concetti di “responsabilità individuale” e di “sussidiarietà” in materia di aiuto allo studio – concetti condivisi dall’ UNES – evidenziano una visione neoliberale della formazione. Si fonda sull’individualizzazione degli studi e sul mito di un’educazione come “investimento in capitale umano” da parte di ognuno per accrescere le sue possibilità di trovare un impiego sul mercato del lavoro. Da ciò dipende la tendenza a fissare per l’accesso agli studi oneri finanziari continuamente in crescita (tasse più alte, meno aiuti) al fine di “responsabilizzare” gli studenti nelle loro scelte. I fruitori di borse di studio vengono considerati un peso per la società o, peggio ancora, dei privilegiati.
Queste politiche hanno un solo scopo: poter disporre di una manodopera molto qualificata a un prezzo molto basso. Basso dal punto di vista delle imposte investite e basso per il livello dei salari pagati. È sufficiente parlare con i “nuovi migranti” tedeschi, greci, spagnoli, italiani per rendersene conto! Inutile ricordare gli effetti disastrosi per tutti gli studenti e i salariati confrontati con questo gioco al ribasso dei salari che è generale in tutta Europa.

 

Contro l’università dei padroni per una scuola gratuita

Noi abbiamo una visione radicalmente diversa della formazione. Il diritto all’educazione deve significare il diritto per tutte e tutti di poter accedere liberamente ad una formazione di qualità, gratuita a tutti i livelli (come sancito dall’articolo 13 del Trattato internazionale per i diritti economici, sociali, e culturali della Nazioni Unite, in vigore dal 1976). E come era, fino a recentemente e per tradizione in Svizzera, dove gli oneri finanziari per la scolarità post-obbligatoria erano pressoché nulli o molto bassi nel confronto internazionale.
Siamo convinti che nell’ambito di un dibattito sull’aiuto alla formazione, la rivendicazione di pari opportunità non può prescindere da un principio fondamentale: la gratuità degli studi. La creazione di borse di studio avrebbe dovuto permettere a fornire ai bambini di quelle famiglie che non ne hanno i mezzi finanziari di frequentare anche gli studi post-obbligatori. L’UFS ha mai cercato di calcolare il numero di scolari che ha rinunciato agli studi e ha dovuto orientarsi verso l’apprendistato, per mancanza di mezzi finanziari?
Anche gli studenti del Quebec lo hanno gridato a gran voce nella primavera del 2012: la gratuità della scuola è ben lungi dall’essere senza costi o prezzi; significa invece “pagare insieme, ciò che insieme si possiede” sul modello della scuola obbligatoria gratuita, pagata da tutte e tutti con le imposte Abbiamo bisogno di un dispositivo che permetta di rispondere ai bisogni materiali di tutte e tutti gli studenti, a tutti i livelli scolastici. E questo assumerebbe un carattere realmente sociale solo se integrasse la volontà politica di rispondere ai bisogni della maggior parte della popolazione e non agli interessi di una classe dominante e minoritaria.
Ed ancora più importante: occorre un dibattito pubblico che coinvolga tutti i protagonisti della scuola (genitori, allievi, studenti, insegnanti, ecc.) nella discussione sugli obiettivi e le priorità della scuola obbligatoria, delle scuole superiori e delle università. Solamente con questo tipo di dibattito sarà possibile e realizzabile una presa a carico del costo sociale dell’educazione.
Accettare l’iniziativa dell’UNES il 14 giugno, tenendo conto dei suoi elementi positivi, ma anche dei limiti di quanto rivendica, ci aiuterà a continuare la lotta per un’educazione veramente paritaria.