La vicenda della Ambrosetti Ruote, l’azienda di Manno che produce ruote per autovetture e che appartiene al gruppo austriaco BBV, è emblematica di alcuni aspetti politici e sociali oggi fondamentali per capire la situazione nella quale ci troviamo. Vediamoli brevemente.
Il primo è la conferma che l’offensiva padronale contro condizioni di salario e di lavoro è tutt’altro che conclusa. Dopo la pubblicità relativa ad alcune decisioni (in qualche raro caso anche contestate in modo clamoroso dai lavoratori), si è tornati ad operare in silenzio. Ma, come ha confermato un’inchiesta della stessa associazione degli industriali ticinesi (AITI), in moltissime aziende industriali procede la realizzazione di misure di riduzione dei salari, di aumento degli orari di lavoro, di vere e proprie ristrutturazioni con soppressione di posti di lavoro. Il caso della Ambrosetti Ruote conferma tutto questo. La proposta della direzione è di tagliare salari e prolungare l’orario di lavoro (non remunerato) che porterebbe ad una decurtazione complessiva di circa il 17% per i dipendenti frontalieri e del 10% per i dipendenti residenti. Accanto a questa proposta è stata comunque avviata la procedura di licenziamento collettivo per il centinaio di lavoratori attivi nella produzione.
Il secondo aspetto è legato alla politica padronale che, pur cercando di fomentare la divisione interna – conferma che i lavoratori sono tutti nella stessa barca (i padroni sono al sicuro sui propri yacht) e tutti, svizzeri e stranieri, “indigeni” o frontalieri, si chiede di passare alla cassa con il solo fine di mantenere (e se possibile accrescere) i margini di profitto. Alla Ambrosetti questa politica di divisione, da quanto sappiamo, è riuscita a far breccia e rappresenta uno degli ostacoli maggiori ad una risposta sindacale adeguata.
Il terzo aspetto segnala il fallimento di quelle politiche di accettazione dei sacrifici, dei “mali minori”, con l’idea che questo in qualche modo permette di salvare l’essenziale. Ora, la vicenda Ambrosetti Ruote nasce proprio alla scadenza di un accordo che aveva permesso di “salvare” i posti di lavoro, accollando enormi sacrifici sulle spalle dei lavoratori. Negli ultimi tre anni la Ambrosetti Ruote non solo aveva potuto beneficiare della politica allegra della soglia di cambio a 1,20 ferreamente perseguita dalla Banca Nazionale, ma aveva potuto beneficiare anche dei sacrifici dei lavoratori. Ora, finito quell’accordo, siamo ancora al punto di partenza: o si continua con pesanti sacrifici oppure si disloca in Slovacchia
Il quarto aspetto ci segnala la totale inadeguatezza del sindacalismo di questo paese. Certo, c’è stata la Exten (anche se non sappiamo come sia andata a finire), certo vi è stata anche qualche altro lodevole segnale di resistenza; tutte esperienze che si devono valorizzare ed incoraggiare. Ma questo non ci può nascondere il fatto che il padronato fa oggi di fatto quel che vuole, di fronte ad un sindacato che, nella migliore delle ipotesi come in questo caso, denuncia l’azienda per non essersi attenuta alle procedure previste dal contratto.
Siamo all’anno zero? Forse sì. Le riflessioni che abbiamo appena fatto (seppur in modo sommario) ci indicano la necessità di un lungo e paziente lavoro di ricostruzione di un movimento operaio in grado di organizzare e difendere i salariati, in grado di porre il problema di un’alternativa di fondo al capitalismo reale che domina le nostre vite.