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savoiaverdiIl prossimo 14 giugno l’iniziativa dei Verdi “Salviamo il lavoro” verrà posta in votazione. In Gran Consiglio Matteo Pronzini, deputato MPS, si è astenuto. Se da un lato non possiamo non sostenere il principio che nella Costituzione cantonale possa essere inserito il principio di un salario minimo (ed è sostanzialmente contro questa idea che si batte, per principio, il padronato), dall’altro appare evidente che la proposta dei Verdi è qualcosa di ben diverso dalla semplice iscrizione del principio costituzionale del salario minimo.

 In realtà, come abbiamo a più riprese affermato su questo giornale, la proposta dei Verdi si inserisce assai bene nel dispositivo delle cosiddette misure di accompagnamento che altro non sono, lo abbiamo detto e alla prova dei fatti tali si sono rivelate, che uno strumento ulteriore per regolamentare il dumping salariale (non per impedirlo).
Non a caso in Ticino la base di fondo alla quale tende l’iniziativa dei Verdi (di fatto la creazione di un salario minimo legale attorno ai 3’000 franchi) si inserisce assai bene nella politica condotta in questi ultimi anni dal Dipartimento delle Finanze diretto da Laura Sadis. Con la messa in vigore di 14 contratti normali di lavoro (CNL), sostenuti e proposti dalla Commissione tripartita (con un costante accordo tra padroni e rappresentanti sindacali), è stata realizzata e diffusa un’idea di fondo molto semplice: che, praticamente in tutti i settori economici e professionali del Cantone, sia adeguato e socialmente accettabile un salario annuale di 36’000 franchi lordi (3’000 franchi mensili). Di fatti i 14 CNL non si discostano molto da questo limite e la proposta dei Verdi, se realizzata, estenderà e renderà ufficiale, legale ed accettabile che qualsiasi lavoratore,in qualsiasi settore, dovrà ritenere un salario mensile di 3’000 franchi come corretto.
Non sorprende quindi che da parte borghese, al di là della battaglia di principio (che il padronato non può evidentemente non fare), non si guardi con antipatia all’iniziativa dei Verdi. Lo dimostrano molti sostegni trasversali (che hanno permesso di ottenere una maggioranza parlamentare a favore dell’iniziativa), il sostegno di padroni come Franco Ambrosetti (industriale e fino a poco tempo fa presidente della Camera di Commercio) o ,ancora, della stessa consigliera di Stato Laura Sadis. Non siamo per nulla convinti che se l’iniziativa alla fine dovesse essere accolta, in casa AITI o Camera di Commercio vi sarebbero scene di disperazione…
Il nostro ragionamento è noto e si basa su considerazioni abbastanza semplici. Fissare un minimo salariale legale così basso significa di fatto stimolare l’inizio di una fase di discesa verso il basso dei salari effettivamente pagati sul mercato del lavoro. Certo, lo sappiamo anche noi, che per qualche migliaio di lavoratori questo limite potrebbe rappresentare un piccolo miglioramento; certo, lo sappiamo anche noi che questo minimo salariale potrebbe impedire il diffondersi di casi limite di salari di 1’500 o 2’000 franchi; ma tutto questo non ci può impedire di vedere che la dinamica salariale che mette in moto questa iniziativa, e che coinvolge tutto il sistema salariale, ha un segno inequivocabile di una spinta verso il basso, sul medio termine, di tutto il sistema salariale cantonale, sia nel settore privato che in quello pubblico.
Il problema è che, nel quadro giuridico attuale, questo salario minimo (che in realtà altro non è che una sorta di minimo sociale) non potrà nemmeno essere adeguato, pena la sua invalidazione. Accanto questo limite un contesto politico e sociale caratterizzato da altri due elementi. Da un lato la sempre più patente incapacità delle organizzazioni sindacali di rafforzare la loro presenza sindacale nelle aziende e sul territorio e la perdita di capacità contrattuale. Dall’altro l’offensiva padronale tesa a svuotare di importanza gli attuali contratti collettivi di lavoro, conservandoli come semplici strumenti di “gestione delle risorse umane”. Passando, se necessario, anche attraverso lo scioglimento di associazioni padronali: emblematica la vicenda del settore del granito in Ticino.
Naturalmente ci si può non credere. Lo si è già fatto quando, soli a sinistra, abbiamo spiegato in lungo e in largo che le misure di accompagnamento previste nell’ambito degli accordi bilaterali non servivano a nulla e che il dumping salariale, sul medio termine, si sarebbe affermato. Venimmo tacciati di fare comunella con la Lega e l’UDC (che si battevano, come noi sebbene da un posizione radicalmente diversa e per noi inaccettabile perché contrario al principio della libera circolazione); oggi i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Anche in questo caso vale la pena evitare le semplificazioni.
Quasi mai, nella lotta politica, il “male minore” è amico del bene, anzi!