Il debito pubblico ha una doppia natura: gigantesco meccanismo di espropriazione in favore dei capitalisti e strumento di ricatto sui governi. Dalla crisi del 2008, il debito pubblico (quello degli Stati, degli organismi pubblici, delle collettività locali) si è gonfiato prodigiosamente: hanno dovuto salvare le banche e concedere ampi sgravi fiscali alle grandi imprese e ai redditi più elevati.
Il capitalismo neoliberale mette infatti in concorrenza, non solo i lavoratori dei differenti paesi (che sono sempre “troppo cari” per i padroni), ma anche i sistemi fiscali. C’è dunque una corsa al “meno fisco” in favore di quelli che possono delocalizzare i loro redditi e capitali dove le imposte sono più basse. Di cui le minori entrate fiscali, i deficit di bilancio e l’indebitamento…
Le persone che incrociamo sul lavoro o altrove hanno tendenza ad assimilare il debito pubblico ai loro debiti personali: se spendo e ho bisogno di un prestito è normale che poi lo debba restituire e al limite posso arrabbiarmi solo per il livello dei tassi di interesse. Non discuteremo qui del fatto se è normale che, per soddisfare un bisogno elementare come quello dell’alloggio, la scelta debba essere tra un affitto elevato o un indebitamento pluridecennale…
In realtà, il debito pubblico è un meccanismo permanente del capitalismo che Marx descriveva così a proposito della Francia del 1848: “Alla fine di ogni anno, un nuovo deficit. Ogni quattro o cinque anni, un nuovo prestito. Ebbene, ogni nuovo prestito forniva all’aristocrazia una nuova occasione per taglieggiare lo Stato, che, mantenuto artificialmente sul bordo della bancarotta, era obbligato a trattare con i banchieri nelle condizioni più sfavorevoli”.
Una sola soluzione, l’annullamento!
Queste caratteristiche, noi le vediamo all’opera per esempio con il debito greco, come è stato disseccato dal Comitato per la verità sul debito pubblico greco. Ma il debito pubblico non è solamente un meccanismo di estorsione, è anche un mezzo per condizionare le politiche degli Stati. Così nel 1869, il Primo ministro inglese Gladstone parla di “utilizzare la leva del prestito, al momento propizio, alfine di condurre la Grecia a prendere delle misure reali per una riduzione reale delle sue spese, fatto che gli aprirebbe la strada verso più rigore e credibilità”. Uno Stato indebitato che vuole condurre una politica che si smarca dalle proposte della finanza è richiamato all’ordine dai mercati finanziari e dalle agenzie di rating al loro servizio. E il tasso degli interessi che deve versare aumenta sempre di più.
Uno Stato che volesse mettere in pratica una politica favorevole ai lavoratori, alle classi popolari, è inevitabilmente confrontato al problema del debito. Bisogna utilizzare le risorse finanziarie disponibili per pagare il debito o per prendere le misure sociali necessarie? Un governo di questo tipo non avrebbe nessun motivo di assumersi il carico delle politiche passate al servizio di una minoranza sfruttatrice. Bisogna dunque smettere il pagare gli interessi e muoversi verso l’annullamento del debito (preservando i piccoli risparmiatori e i sistemi pensionistici) senza sottomettersi a dei negoziati con i creditori. Evidentemente, questi si difenderanno: bisognerà dunque privarli di ogni strumento d’offesa, socializzando il sistema bancario e controllandone i capitali. L’annullamento del debito non è dunque altro che una delle misure necessarie per fare dei passi avanti, verso una transizione sociale ed ecologica.