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bailoutIn attesa di pubblicare delle analisi provenienti dalla Grecia sul voto di ieri e sugli sviluppi della situazione pubblichiamo questa lucida analisi scritta da Martine Orange due giorni prima del voto referendario, che presenta senza reticenze gli enormi problemi che il governo di Syriza dovrà affrontare, anche alla luce di analoghe esperienze di Cipro e altri paesi.

 

È un paese isolato, al collasso economico, in fallimento finanziario che si pronuncerà domenica 5 luglio sul suo futuro. Da lunedì 29 giugno, le banche sono chiuse ed è stato istituito un controllo dei capitali. Martedì 30 giugno, la Grecia non ha onorato il rimborso di 1,6 miliardi di euro al FMI e può essere considerata come insolvente. Finora, nessun paese occidentale era stato insolvente verso il FMI. La distruzione dell’economia è paragonabile a quella di un paese in stato di guerra.
Nell’indire il referendum, Tsipras non aveva come solo obiettivo politico di ottenere, come spera, una posizione più forte di fronte ai responsabili europei. Con le spalle al muro, doveva anche arrestare la macchina infernale lanciata contro la Grecia, imporre il bilancio dei piani di salvataggio della Grecia orchestrati dall’Unione europea, il FMI e la BCE da sei anni. Ma forse è già troppo tardi.
Di fronte a questa catastrofe – purtroppo annunciata da lunga data – le diverse istituzioni hanno per ora la sola preoccupazione di scaricare le loro responsabilità. Il ministro tedesco delle finanze, Wolfgang Schäuble, grande istigatore di questa politica, ha dato il tono: è tutta colpa di Syriza e del primo ministro greco Alexis Tsipras. «La Grecia è in una situazione difficile, ma semplicemente a causa delle azioni del governo greco. Accusare gli altri può forse essere utile in Grecia, ma non ha niente a che vedere con la realtà. Nessun altro è da biasimare per questa situazione» ha dichiarato mercoledì al Bundestag. Tutti gli altri responsabili hanno seguito le sue orme, denunciando il dilettantismo e il ricatto del governo greco, mai però i propri errori. Tutti sono sospesi al risultato del referendum che sperano, senza neanche nasconderlo, segnerà la sconfitta di Syriza e l’arrivo di un governo più «responsabile».
Qualunque sia il risultato del referendum, i responsabili europei si troveranno di fronte una situazione più critica di quanto credevano, e che hanno in gran parte provocato. Infatti, il degrado dell’economia ha forse raggiunto un punto di rottura. La sospensione del versamento degli «aiuti» dal luglio 2014 – ossia molto prima dell’elezione di Syriza –, l’intransigenza dei creditori rispetto a qualsiasi riconsiderazione del debito greco, i piani di salvataggio proposti, gli uni più irrealistici degli altri, la decisione della BCE a febbraio di privare le banche greche degli sportelli regolari del sistema monetario europeo, poi quella di congelare i fondi di liquidità d’urgenza alle banche, hanno creato una reazione economica a catena difficilmente controllabile. Oggi il paese è sull’orlo dell’esplosione economica.
I responsabili greci ed europei mantengono un mutismo assoluto sul tema. Tuttavia, il primo scossone potrebbe già prodursi martedì 7 luglio. Le banche greche potranno riaprire, o no, dopo il referendum? La loro chiusura era diventata inevitabile la settimana scorsa, dopo la decisione, molto politica, della BCE di congelare i fondi di liquidità d’urgenza (ELA–Emergency Liquidity Assistance). «Non è facile riaprire le banche dopo che le si è chiuse» aveva allora avvertito il governatore della banca di Cipro. Parla con conoscenza di causa. Le banche cipriote erano rimaste chiuse per oltre due mesi, dopo la decisione di chiuderle nell’aprile 2013. E sono occorsi più di diciotto mesi per ritrovare un funzionamento press’a poco normale, e l’abolizione del controllo dei capitali.
In Grecia, la situazione è mille volte più grave. Da mesi, le autorità monetarie mantengono la finzione di un sistema monetario greco ancora stabile. Nei fatti, è totalmente crollato. La situazione è ulteriormente peggiorata dopo che la BCE ha chiuso l’accesso agli sportelli normali per rifinanziarsi nel febbraio 2015. Da allora le banche dipendono soltanto dai fondi di liquidità d’urgenza, molto più cari, quando devono fare fronte a massicci ritiri di depositi. In alcune settimane, l’assistenza è passata da 50 a 89 miliardi di euro. Nell’ultima riunione domenica scorsa, le banche greche chiedevano 6 miliardi di euro di liquidità supplementari quando la BCE ha detto no.
Malgrado le restrizioni imposte ai ritiri (60 euro per volta), sembra che le banche greche abbiano quasi esaurito tutte le loro riserve in una settimana. Secondo le cifre che circolano, avrebbero ancora al massimo un miliardo di euro di liquidità. «Le liquidità sono garantite fino a lunedì, dopo dipenderà dalla decisione della BCE» ha dichiarato Louka Katseli [1] dirigente della Banca nazionale di Grecia [una delle quattro banche sistemiche della Grecia, con Alpha Bank, Eurobank, Piraeus Bank].
«Non vedo come le banche possano riaprire martedì» ha avvertito un responsabile della Barclays. Un’analisi condivisa da altri analisti bancari e di fondi d’investimento. «Chiunque pensi che le banche riapriranno da martedì è un dolce sognatore. Il denaro non durerebbe un’ora» ha dichiarato Constantine Michalos, responsabile della camera di commercio greca. Il fenomeno è stato documentato a più riprese: alla riapertura delle banche, i titolari di depositi si precipitano a ritirare i loro fondi disponibili.
Crisi di liquidità
I primi effetti della chiusura delle banche, del controllo dei capitali e dell’esclusione di fatto della Grecia dal sistema monetario europeo, cominciano a farsi sentire. Le imprese hanno grandissime difficoltà a rifornirsi all’estero o a farsi pagare le esportazioni. Alcuni commercianti dicono che non vedono più un cliente. Il denaro manca ovunque. Comincia a levarsi lo spettro della crisi di liquidità, come in Argentina. A questo punto non si osa nemmeno immaginare gli effetti su una economia in totale depressione, se la situazione si prolungasse. E rischia di prolungarsi, quali che siano i risultati del voto di domenica.
I responsabili europei si cullano nell’illusione che tutto rientrerà rapidamente nell’ordine se la Grecia vota sì e Syriza lascia il governo. Errore! Poiché anche se la BCE è disposta a fornire nuova liquidità al sistema bancario greco, non potrà non domandare una ulteriore svalutazione dei titoli dati in garanzia dalle banche greche. La questione, sollevata dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, era già al centro delle discussioni dei dirigenti della BCE da vari mesi. La svalutazione sembra ormai inevitabile, tenendo conto della situazione economica: il FMI ha dichiarato ufficialmente la Grecia in insolvenza.
L’importanza della svalutazione [dei titoli greci depositati presso la BCE come collaterali], se la BCE accetta di continuare a sostenere le banche greche, sarà un tema altamente politico. Ma, qualunque sia la cifra, rischia di creare gravi tensioni nel sistema bancario. Le banche rischiano di non avere il volume sufficiente di titoli da depositare in garanzia per ottenere le stesse quantità di liquidità, e potrebbero trovarsi prese nella trappola del razionamento. Assieme all’economia greca.
Aldilà della crisi di liquidità, è una crisi di solvibilità che minaccia l’insieme del sistema bancario greco. Da mesi, le autorità prudenziali [sorveglianza delle attività bancarie]. fanno come se non esistesse alcun problema, come se i loro propri fondi, costituiti in maggioranza da titoli obbligazionari greci, di Stato o di grandi imprese, avessero lo stesso valore di prima. Di fatto, aspettavano un accordo europeo che permettesse loro di sbloccare un fondo di riserva di 10 miliardi di euro destinati alla ricapitalizzazione del sistema bancario greco. Accordo che non è mai venuto.
Oggi, tale finzione non può più essere prolungata. La Grecia è stata insolvente. Per ora, questo riguarda solo i crediti del FMI. Ma il Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF), principale creditore della Grecia, presenta una nuova minaccia. Venerdì 3 luglio ha dichiarato che si riserva di reclamare il rimborso anticipato di 130,9 miliardi di euro da Atene, tenuto conto del non pagamento al FMI. Significa precipitare immediatamente la Grecia nell’abisso.
Anche se la Grecia dice sì e ottiene il sostegno dell’Europa, come fanno intravedere i responsabili dell’UE, anche se si trova rapidamente un accordo europeo, anche se i fondi di riserva sono versati d’urgenza, tutto ciò rischia di non bastare a coprire il fallimento dello Stato e in contraccolpo delle banche. O inversamente, tanto i due sono legati. Una prospettiva che sembra essere integrata in numerosi scenari bancari. A questo punto il governo, di qualunque colore, non avrà altra scelta che nazionalizzare l’insieme delle banche, di prelevare dai depositi per tentare di rimpinguare le casse.
E poi? Il seguito dipenderà dalle scelte del governo greco e dalle reazioni dell’Unione europea, del FMI, della BCE. La loro gestione della vicenda greca è stata disastrosa fin dall’inizio, il disastro è così grande, il loro rifiuto di accettare qualsiasi responsabilità nel disastro è talmente esecrabile, il loro dogmatismo così rigido,che ogni pronostico è impossibile.
Giovedì 2 luglio, il FMI ha pubblicato ufficialmente un nuovo studio sulla situazione greca. Che cosa dice? Che il debito è insostenibile. L’istituzione stima che la Grecia ha bisogno di un terzo piano di salvataggio che le dia immediatamente 10 miliardi di euro nei prossimi mesi e altri 50 miliardi in tre anni. In cambio delle riforme, propone una ristrutturazione del debito, con un periodo di respiro di 20 anni, e rinviando la fine dei pagamenti al 2055. Il piano assomiglia – è persino più radicale – a quello proposto per settimane dall’«energumeno» Yanis Varoufakis ai responsabili europei.[2]
Perché il FMI ha tardato tanto a riconoscere pubblicamente quanto decine di economisti non hanno smesso di ripetere almeno dal 2012? Perché Christine Lagarde ha preferito adottare un atteggiamento politico intransigente piuttosto che seguire i consigli dei suoi servizi? Bisognava aspettare che l’economia greca fosse totalmente affondata? Checché ne dica, l’Europa rischia di pagare caro questa messa in ginocchio. Ha già dilapidato una grande parte del suo capitale morale.

[1] Louka Katseli è stata ministro del PASOK dall’ottobre 2009 al settembre 2010, alla testa del Ministero dell’economia, della competitività e della marina. È stata a lungo consigliera di Papandreu per l’economia. È stata espulsa dal PASOK per avere votato contro la politica di austerità. Ha quindi fondato una micro formazione (Accordo sociale) che ha sostenuto Tsipras. Sabato 4 luglio ha dichiarato alla rete Mega TV che «le decisioni della BCE lunedì mattina (6 luglio) determineranno il quadro nel quale funzioneranno le banche, e le liquidità disponibili martedì mattina determineranno i limiti dei prelievi». Louka Katseli ha anche denunciato la campagna propagandistica fatta dal Financial Times (FT) di sabato 4 luglio. Il FT annunciava un «taglio» del 30% su tutti i depositi di più di 8.000 euro, mentre le regole bancarie dell’UE assicurano la garanzia dei depositi fino a 100.000 euro. Questa misura era presentata dal FT come un’imposta unica per ricapitalizzare le banche! Il FT non ha condotto la stessa campagna per una ricapitalizzazione delle banche fatta con un’imposta sulle grandi fortune che hanno fatto uscire da anni miliardi di euro su consiglio, tra gli altri, delle banche greche. La campagna di propaganda in Grecia ha anche avuto un’intensità notevole in questo periodo. Ad esempio, una statistica indica che il 29 giugno, il tempo dedicato alla manifestazione a favore del No dalle catene delle TV private è stato di 8 minuti, contro 47 minuti per la manifestazione a favore del Sì del 30 giugno. (Redazione A l’Encontre)
[2] In seguito al rapporto del FMI, Alexis Tsipras si è augurato «una svalutazione del 30% del debito greco e un periodo di grazia di 20 anni » per assicurare «la sostenibilità del debito » del suo paese. Nel suo rapporto del 2 luglio, il FMI evoca la possibilità di una cancellazione del debito nella misura del 30% per raggiungere gli obiettivi fissati nel 2012 dal secondo piano di salvataggio (124% del PIL nel 2020 contro 176% oggi). A. Tsipras si rammarica che la posizione del Fondo «non sia mai stata presentata dai creditori durante i cinque mesi di negoziato» .(Redazione A l’Encontre)