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AP tsiprasQuesto articolo, scritto alla vigilia del referendum da un noto economista greco, e non pubblicato in italiano, è ancora molto utile per ricostruire gli errori fatti dal governo Tsipras, evitando reazioni isteriche basate sull’ipotesi di “tradimento”.

Prima di tutto “Syriza non ha intaccato la struttura profonda dello Stato che ha continuato ad essere gestita da funzionari obbedienti all’oligarchia e, come se non bastasse, Syriza li ha collocati in molte funzioni cruciali. Per esempio, Syriza non ha acquisito il controllo della banca centrale accettando, nominando persino, molti «uomini del sistema» alla direzione di banche commerciali e di altre imprese pubbliche cruciali. Syriza ha svuotato le casse dello Stato pagando stupidamente tutte le tranche del debito al FMI e ai creditori internazionali”.

Per sei mesi dopo la sua vittoria elettorale del 2015 il governo di Syriza ha negoziato con l’UE. In queste trattative Syriza si è confrontata con l’ostinata e crescente intransigenza dell’UE e delle istituzioni associate (BCE e FMI). Syriza ha molto presto accettato la logica e la struttura del programma della Troika, cioè del Programma di aggiustamento economico per la Grecia noto come Memorandum. Syriza ha semplicemente cercato di modificarlo per renderlo meno brutale (per esempio ritardando l’implementazione della riduzione delle pensioni e mascherando i tagli salariali, riducendo gli obiettivi di surplus primario e rendendo così la politica fiscale meno austera). Syriza ha anche richiesto una facilitazione nel servizio del debito (attraverso forme di ristrutturazione) e un aumento dei fondi per lo sviluppo (attraverso il fantasioso Piano Junker) con lo scopo di far ripartire la moribonda economia greca dopo 6 anni di austerità. Infine ha timidamente chiesto qualche impegno circa una futura riduzione del debito Greco. L’UE, una volta intuito lo spirito conciliatorio di Syriza e dato che l’intera partita si giocava sul suo terreno, ha cominciato a premere per ulteriori concessioni. Quanto più Syriza scivolava verso una capitolazione, tanto più l’UE pretendeva. Alla fine è risultato politicamente impossibile per Syriza accettare tutte le richieste europee, nonostante gli umilianti compromessi e il tradimento sfacciato del suo pur mediocre programma elettorale. Questo ha condotto alla rottura dei negoziati e alla convocazione da parte di Syriza di un referendum sulle richieste della Troika.
La rottura delle trattative prova oltre ogni dubbio la vera natura dell’UE: essa impone gli interessi e le prerogative dei poteri capitalistici dominanti in Europa. Essa impone le politiche di austerità sui popoli e sui paesi più deboli a beneficio dei profitti capitalistici.
Inoltre, la rottura delle trattative dimostra il carattere irrealistico del programma del governo di Syriza volto a un “compromesso decente” con l’UE che non fosse “né uno scontro né una capitolazione” e per “stare nell’Eurozona a ogni costo”. Se un paese vuol stare nell’Eurozona e nell’UE deve capitolare alle domande dei suoi poteri dominanti. Così, persino la proposta di 47 pagine di Syriza per una versione più moderata del programma di austerità della Troika è stata sdegnosamente rifiutato.
Il fallimento della strategia di Syriza e lo strisciante malcontento popolare per un ritorno delle politiche di austerità della Troika hanno obbligato il governo a respingere le domande della Troika e a metterle ai voti attraverso il referendum. Allo stesso tempo la leadership di Syriza ha sostenuto che nel caso di una vittoria dei NO essa proporrà nuove trattative all’UE.
Syriza ha fallito non solo strategicamente, ma anche tatticamente. Essa non ha intaccato la struttura profonda dello Stato che ha continuato ad essere gestita da funzionari obbedienti all’oligarchia e, come se non bastasse, Syriza li ha collocati in molte funzioni cruciali.
Per esempio, Syriza non ha acquisito il controllo della banca centrale accettando, nominando persino molti “uomini del sistema” alla direzione di banche commerciali e di altre imprese pubbliche cruciali. Syriza ha svuotato le casse dello Stato pagando stupidamente tutte le tranche del debito al FMI e ai creditori internazionali. Sicché, un volta indetto il referendum, l’UE in stretta cooperazione con la borghesia greca ha creato una condizione di asfissia per il settore bancario obbligando Syriza a imporre un severo controllo dei movimenti di capitale lo stesso giorno in cui si doveva pagare una massa enorme di pensionati greci (mal pagati e con a carico una grande fetta di popolazione). In tal modo un referendum che poteva diventare una facile vittoria dei NO alle domande della Troika si presenta ora con un esito incerto.
Per giunta la borghesia greca ha immediatamente creato un fronte unito (mettendo da parte le differenze politiche ed economiche), mobilizzato ogni mezzo disponibile (mass media, pressione dei manager sui dipendenti ecc.) e intraprendendo una campagna di disinformazione sfacciatamente terroristica e tendenziosa. Il suo scopo è di terrorizzare il resto della popolazione (e in particolare quei significativi segmenti della classe media che sono sopravvissuti alla crisi e non si sono proletarizzati) affermando che a meno che la Grecia si arrenda incondizionatamente alla UE, si scatenerà l’inferno
Di fronte a questo assalto Syriza ha oscillato per un lasso di tempo critico giocando (anche per pressioni al suo interno) con l’idea di cancellare il referendum offrendo ulteriori concessioni all’UE con quest’ultima che – avendo odorato il sangue – le ha respinte in maniera sprezzante. Solo a quel punto Syriza a cominciato a impegnarsi per vincere il referendum, ma rassicurando allo stesso tempo che un accordo sarebbe stato successivamente stipulato con la UE.
Nella rimanente parte dello spettro politico della sinistra greca solo le maggiori forze extra-parlamentari hanno raccolto la sfida e lottato con energia per un massiccio voto popolare per il NO all’UE. Il Partito Comunista, tradendo tutte le tradizioni comuniste della Grecia, ha suggerito di invalidare il volto, e questo significa un aiuto implicito alla campagna per il Si.
Il referendum di domenica è una battaglia cruciale. Ciò che è in ballo è se la barbara ristrutturazione dell’economia e della società greca continueranno o se un altro percorso verrà inaugurato.
Il conflitto che viene combattuto segue chiaramente line di classe. Questo è quasi evidente se ci si aggira nei sobborghi di Atene o nei posti di lavoro. Nei quartieri borghesi o fra le funzioni manageriali c’è una imprevista mobilitazione, persino di gente apolitica, in favore del Si. Dall’altra parte, invece, fra la classe lavoratrice e nei quartieri popolari c’è una evidente maggioranza di NO. La classe media tende a dividersi fra coloro che ancora godono di benessere e quelli che l’hanno perduto.
La prevalenza elettorale del Si, sia che Syriza rimanga al potere o meno, significherebbe che la Grecia si assimilerebbe vieppiù ai più poveri vicini balcanici (ulteriormente impoveriti dall’UE), concorrendo con loro in una gara al ribasso di chi realizza costi del lavoro e offre attività finanziarie più convenienti alla fine di ricevere una piccola ricompensa dai padroni dell’UE.
Una vittoria dei NO bloccherebbe questo destino. Essa si potrà realizzare solo attraverso una mobilitazione popolare di massa che esisteva prima che ogni cosa fosse erroneamente delegata a una vittoria elettorale di Syriza che si è rilevata deludente. Questo metterebbe anche in discussione il tentativo di Syriza, irrealistico e conservatore, di rinegoziare un nuovo memorandum. La vittoria del NO rafforzerebbe la fiducia popolare che l’UE e la borghesia greca non sono imbattibili e che un altro percorso fuori delle catene dell’UE è praticabile.
E’ responsabilità dei militanti della sinistra e delle forze più attive della classe lavoratrici prendere questa battaglia nelle loro mani.

* Stavros Mavroudeas è Professore di Economia politica presso l’Università di Macedonia (Grecia) ed è autore di numerosi contributi Postkeynesiani.