Quello che sta accadendo in Grecia in queste settimane è un passaggio storico cruciale per lo sviluppo della lotta di classe in Europa ed avrà conseguenze drammatiche sulla vita dei lavoratori e delle lavoratrici, una accelerazione della Storia che ha posto le forze della sinistra di classe di fronte a decisioni fondamentali per il futuro.
Il governo di Tsipras, come è noto, dopo aver chiamato i cittadini il 5 luglio ad una consultazione popolare che ha respinto con il 62% dei NO un’ipotesi di accordo con le istituzioni europee sfavorevole ai greci, ha fatto approvare in parlamento lo scorso 11 luglio una proposta di accordo che ricalcava sostanzialmente quella bocciata dalla consultazione popolare. Il 13 luglio l’Eurogruppo non ha accettato questa proposta ed ha messo il governo greco con le spalle al muro, ponendo come sola alternativa ad una uscita “concordata” della Grecia dall’Euro, l’accettazione di un Memorandum ancora più duro dei due precedenti sotto i governi di Samaras e Papademos. Il terzo Memorandum accettato da Tsipras impone infatti alla Grecia una serie di condizioni stringenti da attuare in pochi giorni come precondizione necessaria alla ripresa dei negoziati con l’Eurogruppo. Queste misure fanno tabula rasa dei diritti che sono sopravvissuti ai primi due Memorandum, impongono il taglio delle pensioni, l’aumento della tassazione indiretta con ovvi effetti regressivi, un pesante programma di privatizzazioni, agevolano i licenziamenti collettivi e gli sfratti per morosità, impongono una controriforma della contrattazione. Come se non bastasse, le clausole di salvaguardia impongono il taglio lineare automatico della spesa pubblica in caso di sforamento dagli obiettivi di avanzo primario del bilancio. Tutto ciò si abbatterà su un’economia già fortemente in crisi, con un tasso di disoccupazione ufficiale di circa il 26%.
E’ chiaro che un passaggio di questo tipo avrà delle implicazioni drammatiche sulla credibilità della sinistra greca ed europea. La linea politica di Tsipras e del gruppo dirigente ristretto di Syriza si è dimostrata fallimentare di fronte alla violenza dell’attacco del capitalismo europeo. Tsipras pensava – e continua colpevolmente ad alimentare queste illusioni al di là di ogni evidenza – che fosse possibile torcere la linea di austerità adottata dai principali governi europei così come dalle istituzioni internazionali e ottenere, forte del consenso popolare in Grecia, sconti o dilazioni sul pagamento del debito pubblico. Questo avrebbe aperto la possibilità di adottare politiche espansive che, favorendo la ripresa della crescita economica in Grecia, avrebbero finito con l’appianare i conti pubblici. Insomma una linea di politica economica keynesiana, che però non ha fatto i conti con la volontà ferrea delle istituzioni europee di andare fino in fondo con l’attacco ai diritti e ai salari dei lavoratori in Europa, cominciando proprio a strangolare economicamente il Paese dove era stato democraticamente eletto un governo espressione di rivendicazioni sociali avanzate.
Di fronte alla scelta politica cruciale se contrapporsi frontalmente alle compatibilità imposte dal capitalismo europeo, Tsipras che non aveva un “piano B” rispetto alla sua linea riformista, è stato costretto a dichiarare la sconfitta del programma di Salonicco con cui Syriza si era presentata ed aveva vinto le elezioni di gennaio.
Per fortuna, Syriza non è solo Tsipras e la sua cerchia ristretta. Già dopo i risultati del referendum, la proposta di negoziazione di Tsipras è stata contrastata all’interno di Syriza, con le due parlamentari di Dea e del Red Network che hanno votato contro e altri 30 che hanno espresso in vario modo la loro contrarietà alla linea del Presidente del consiglio. Dopo l’accettazione del diktat dell’Eurogruppo, il dissenso in Syriza è cresciuto anche oltre i confini della Piattaforma di sinistra (che prima di queste ultime vicende pesava per circa il 30% dell’organizzazione). La maggioranza dei membri del comitato centrale di Syriza (109 su 201) ha firmato una dichiarazione in cui chiedevano ai parlamentari di non votare le misure del terzo Memorandum. Questo appello si è scontrato con la volontà di Tsipras di rendersi affidabile agli occhi delle istituzioni europee, che ha quindi minacciato il gruppo parlamentare di sanzioni disciplinari in caso di voto contrario. Alla fine il 15 luglio sono stati 32 i Parlamentari che hanno votato No al Memorandum, mentre fuori dal Parlamento, in piazza Syntagma, si svolgeva la manifestazione convocata dalla sinistra di Syriza, da Antarsya, dal sindacato dei dipendenti pubblici che aveva anche indetto uno sciopero contro il Memorandum. Il 22 luglio, in occasione della votazione del secondo pacchetto di misure previste dall’accordo, sono stati 31 i Parlamentari di Syriza che hanno votato contro, uno in meno visto il cambiamento di atteggiamento di Varoufakis, che ha deciso di votare a favore pur non condividendo il merito dei provvedimenti.
Tsipras, pressato dalla richiesta firmata dalla maggioranza dei suoi componenti, ha dovuto convocare il comitato centrale per il 30 luglio (ne daremo conto nei prossimi giorni sul sito), ma non è intenzionato a fare il congresso di Syriza prima che tutte le misure chieste dall’Eurogruppo saranno passate, grazie anche ai voti dei partiti dell’austerità, cioè il Pasok e Nea Democratia.
La spaccatura in Syriza è netta. Le decisioni di Tsipras hanno portato ad una prima vittoria fondamentale del fronte internazionale dei creditori: quella di mettere in crisi l’esperienza più avanzata di lotta all’austerità in Europa. Non diamo per conclusa l’esperienza straordinaria di Syriza solo grazie alla sinistra che ne difende la radicalità e la credibilità di fronte alla classe lavoratrice.
In questo momento l’unica speranza di una ripresa delle lotte contro l’austerità va riposta nella possibilità che le posizioni della Piattaforma di sinistra risultino egemoni nel corpo militante di Syriza, tra gli attivisti sindacali e più in generale che si riesca a costruire un fronte di lotta con il resto della sinistra greca, in primo luogo con i militanti di Antarsya e del KKE, anche se le direzioni di queste formazioni hanno tenuto – e per quanto riguarda il KKE, continuano tuttora a mantenere – posizioni settarie ed autoreferenziali.
In questo senso ci sono già stati dei segnali positivi come la dichiarazione dell’organizzazione giovanile di Syriza contro il terzo Memorandum, le molte prese di posizione delle strutture locali di Syriza: in primo luogo quelle delle due città più grandi, Atene e Salonicco, seguite da altre 10 province greche. Anche la corrente sindacale dei militanti di Syriza, Meta, si è schierata contro l’accordo, sostenendo lo sciopero dei dipendenti pubblici. Per ora lo sciopero ha avuto una scarsa adesione, ma la protesta è destinata a montare man mano che le misure previste dal Memorandum esplicheranno i loro effetti.
Di fronte a questo scenario, molti dei dirigenti della sinistra italiana sono immediatamente accorsi a difendere la linea riformista fallimentare di Alexis Tsipras, con argomentazioni confusionarie e controproducenti per lo stesso sviluppo della sinistra a sinistra del PD in Italia. Il primo a dare la solidarietà a Tsipras è stato Paolo Ferrero, sostenendo che l’accordo raggiunto con l’Eurogruppo è la fotografia dei rapporti di forza tra le classi in Europa. Tsipras non avrebbe potuto fare diversamente e la sinistra in Europa dovrebbe, secondo il segretario di Rifondazione, rimboccarsi le maniche per cambiare i rapporti di forza anziché criticare il presidente greco. Il problema è proprio che oggi, dopo la scelta operata dal governo greco, i rapporti di forza sono ancora peggiorati, sia in Grecia che in Europa. E se non si poteva fare altrimenti, che senso aveva il referendum che pure il Prc aveva sostenuto e che senso ha il programma politico di Syriza con cui sono state vinte le elezioni in gennaio? L’argomento del “there is no alternative”, di solito usato dalle classi dominanti, potrebbe portarci ancora più lontano nel senso di impotenza e di avvilimento contro un avversario che si presenta come imbattibile. Su questa linea avvilente il Prc è allineato con il Pcf francese e con la Die Linke in Germania, che ha votato contro le misure imposte alla Grecia nel Parlamento tedesco, appoggiando Tsipras che ha imposto quelle stesse misure al Parlamento greco… Un solo punto dell’argomentazione di Ferrero è condivisibile: dovremmo fare in Italia e in Europa quello che Syriza ha fatto in Grecia, cioè il conflitto e l’opposizione sociale e politica contro l’austerità. Ma su questo punto le responsabilità degli apologeti di Tsipras in Italia sono grandi, e ci torneremo oltre.
Alfonso Gianni sul Manifesto prova a scendere nel merito delle alternative possibili, presentando come unica alternativa in campo quella proposta dal ministro delle finanze tedesco Schäuble, cioè di una uscita concordata e temporanea della Grecia dall’Euro, con il rientro una volta aggiustati i conti pubblici. Ovviamente questa non era l’unica alternativa possibile, contrariamente a quanto vuol far credere Gianni per difendere Tsipras. Nel dibattito interno a Syriza c’è chi non si illude sulle possibilità di “concordare” con l’Eurogruppo e i creditori le condizioni per il risanamento delle finanze greche. Qualsiasi condizione – Euro o non Euro – adottata per venire incontro alle esigenze dei creditori sarebbe disastrosa per la classe lavoratrice greca. E questo è il limite anche del “piano B” di Varoufakis non accettato dal governo greco che gli ha imposto le dimissioni subito dopo il referendum. Varoufakis giustamente pensava ad una alternativa nel caso in cui le trattative si fossero arenate, come poi è successo, sui diktat dei creditori, per poter meglio contrattare le condizioni di un accordo. Tuttavia il suo piano sarebbe stato spiazzato dalla proposta tedesca di un Grexit temporaneo, rendendo superflua l’adozione di una moneta parallela. L’orizzonte di Varoufakis era comunque lo stesso di Tsipras, cioè quello di raggiungere il miglior accordo possibile con i creditori, magari per prendere tempo, come ha spiegato lo stesso ex ministro delle finanze dopo il suo voto favorevole al secondo pacchetto di misure.
Stefano Fassina è stato l’unico che abbia avuto il coraggio di criticare l’operato di Tsipras da sinistra in Italia, ma da una prospettiva comunque riformista e destinata a fallire. Fassina riporta infatti il centro del dibattito sulla falsa alternativa Euro/No Euro, come se in base allo strumento monetario adottato si potessero decidere le sorti della lotta di classe. Certo che in questa situazione la permanenza della Grecia nell’area Euro comporta lo strangolamento della sua economia nazionale e soprattutto della classe lavoratrice. Ma il Grexit di per sé non risolverebbe i problemi dei lavoratori, se non accompagnato da una serie di misure drastiche che mettano in discussione l’economia capitalistica di mercato. Misure che Fassina è ben lungi dal proporre, facendo assomigliare la sua proposta a quella dello stesso Schäuble. Sull’incapacità di mettere in discussione l’ordine costituito Fassina, ex sottosegretario all’economia del governo Letta, è perfettamente allineato ai suoi alleati della “Syriza italiana”.
La posizione espressa dall’Altra Europa è paradossale: si esprime apprezzamento ad Alexis Tsipras “per aver mostrato a tutto il mondo la vera natura di questa Europa” e per non aver fatto precipitare la Grecia e l’Europa in una crisi finanziaria senza precedenti. Queste parole dovranno suonare confortanti per i lavoratori, i pensionati ed i disoccupati greci, che si vedranno calare addosso un terzo Memorandum peggiore dei precedenti ma utile a far scoprire al gruppo dirigente dell’Altra Europa in Italia la feroce natura di classe delle istituzioni dell’UE. Contemporaneamente il comunicato dell’Altra Europa chiama alla mobilitazione con “bombing telematico” e boicottaggio per far sentire “al popolo tedesco (sic!) e a quelli che vi si accodano tutta l’indignazione del popolo europeo”. Pur di non mettere in luce le contraddizioni tra le classi sociali in Europa, si usa un linguaggio razzista e si incita al nazionalismo contro il popolo tedesco. In un altro articolo sul sito di AE, Roberto Musacchio punta il dito sul pericolo della Germania riunificata per l’Europa, ignorando il ruolo attivo che è stato giocato nell’imposizione delle politiche di austerità dal governo francese, da quello spagnolo, da quello italiano ecc. Quando è previsto un boicottaggio dei prodotti francesi, italiani, spagnoli ecc.? Dovremo forse lasciarci morire di fame per mostrare a Musacchio quanto era sporca e cattiva l’Europa? Non c’era da aspettarsi di meglio, d’altronde il gruppo dirigente dell’Altra Europa è ormai orientato a far confluire quella esperienza nel calderone della “Syriza italiana” insieme ai fuoriusciti del PD ed a SEL.
Ovviamente a Sel non sarà parso vero di poter finalmente vedere costruito in Europa quel “ponte tra Schulz e Tsipras” che Vendola auspicava nelle ultime elezioni europee (ricordiamo che Sel aderisce al Partito Socialista Europeo insieme al PD ed a Schulz che ne è il leader). Ed infatti anche Fratoianni ha ribadito lo scorso 13 luglio il proprio appoggio a Tsipras.
Lo stesso ha fatto Civati, riprendendo la posizione di Pablo Iglesias di Podemos e attaccando chi pensa ad una rottura con l’Unione Europea (Fassina?) in nome della costruzione di una alternativa al PSE, ma con i socialisti francesi! Allora perché non con Renzi, che in Europa ha sostenuto la stessa posizione di Hollande?
L’attacco più violento ed esplicito alla sinistra di Syriza è stato portato da Rossana Rossanda sul sito di Sbilanciamoci. La fondatrice del Manifesto addossa la responsabilità della divisione di Syriza alla Piattaforma di Sinistra che non ha votato le misure concordate con l’Eurogruppo: “è sempre da sinistra che le sinistre devono aspettarsi il peggio”. Sembra una citazione di Stalin, ma invece a scriverlo è proprio la Rossanda. Devono aver pensato le stesse cose i dirigenti del Pci quando hanno espulso il gruppo del manifesto nel 1969 perché, giustamente, si era schierato contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia.
La sinistra riformista in Italia sta dimostrando la sua continuità con la parte peggiore della storia del movimento operaio nel dopoguerra e con gli errori del Pci prima e di Rifondazione poi, che hanno portato la sinistra a schierarsi per il mantenimento dell’ordine costituito in tutti i momenti cruciali della storia italiana: dalla svolta di Salerno nel 1944 con cui Togliatti ha disinnescato la carica rivoluzionaria della Resistenza, al compromesso storico di Berlinguer che ha chiuso politicamente il ’68, fino ad arrivare alla liquidazione del movimento altermondialista e dell’esperienza stessa di Rifondazione Comunista con la partecipazione al governo Prodi, che venne difeso da Bertinotti (fino alla morte, è proprio il caso di dire) arrivando ad espellere Turigliatto, che era indisponibile a votare i finanziamenti alle missioni militari e le misure di precarizzazione del lavoro contenute nel “pacchetto welfare”.
La crisi greca è oggi un banco di prova degli orientamenti politici, teorici e strategici delle diverse forze politiche della sinistra ed in particolare segna la divaricazione tra le forze riformiste nelle loro diverse varianti e le forze anticapitaliste rivoluzionarie.
Come può essere credibile il progetto politico della cd. “Syriza italiana” nel costruire un’alternativa alle politiche di austerità in Italia se oggi si schiera contro le forze sociali e politiche che continuano a lottare in Grecia dopo il fallimento della linea di Tsipras? Come potranno combattere contro le privatizzazioni di Renzi in Italia, quando invece sostengono un accordo che prevede in Grecia una privatizzazione massiccia di quel che resta del settore pubblico?
Se la lotta della classe lavoratrice greca è rimasta isolata è anche responsabilità di quegli stessi dirigenti della sinistra italiana, molto impegnati a ragionare su cartelli elettorali per riacquisire un qualche ruolo subalterno nelle istituzioni, ma assenti nella costruzione della mobilitazione sociale negli ultimi mesi. Nessuno di loro è intervenuto sulla decisione della maggioranza della Cgil (e della Fiom) di chiudere la battaglia contro il Jobs Act dopo lo sciopero generale di dicembre, lasciando passare un provvedimento che peserà per gli anni futuri come un macigno sullo sviluppo della lotta di classe in Italia. Hanno lasciato che la lotta degli insegnanti contro l’aziendalizzazione della scuola rimanesse isolata e quindi indebolita, invece di lavorare per costruire un movimento di massa contro il governo Renzi.
La solidarietà con i lavoratori greci non si può fare solo a parole o con qualche sfilata ogni tanto, e tanto meno costruendo il mito del leader salvifico proprio quando questi prende posizioni di compromesso con le forze capitalistiche europee.
Per parte nostra ci schieriamo decisamente con la sinistra di Syriza, che sta cercando di ricomporre il fronte del No referendario, di chi continua a pensare dentro e fuori Syriza, tra i militanti sindacali, che No significa No, che la rottura con le politiche di austerità sia il mandato da rispettare che è stato consegnato dalla vittoria di Syriza prima nelle elezioni politiche del 25 gennaio e poi con il referendum del 5 luglio. Questo mandato va rispettato anche a costo della rottura delle compatibilità economiche e finanziarie europee: “più nessun sacrificio in nome dell’Euro”.
La Piattaforma di Sinistra ha tenuto una grande assemblea lunedì scorso (27 luglio) ad Atene cui hanno partecipato oltre duemila militanti, tra cui vari dirigenti di Antarsya, il partigiano greco Manolis Glezos e l’ex ministro dell’energia Panagiotis Lafazanis. In quella occasione è stato presentato un programma politico alternativo di uscita dalla crisi greca, attraverso una serie di misure radicali d’emergenza sociale ed economica: il rifiuto del pagamento del debito, il controllo dei movimenti di capitale, la nazionalizzazione del sistema bancario sotto il controllo sociale, controllo pubblico delle imprese e delle infrastrutture strategiche, a partire dai porti del Pireo e di Salonicco, degli aeroporti regionali e del settore energetico, trasparenza del controllo sui mezzi di comunicazione, redistribuzione della ricchezza a danno dei grandi profitti, e infine l’uscita unilaterale dall’Euro e avvio di una strategia di sostituzione delle importazioni. Un programma di rottura con il capitalismo greco ed europeo, con i ricatti dei creditori e gli attacchi sempre più violenti contro il patrimonio pubblico, i beni comuni, i salari e le pensioni contenuti nel terzo Memorandum accettato da Tsipras. Un programma che non rinuncia a costruire una lotta internazionalista per un’Europa socialista, ma che ne mette le basi dimostrando che è possibile un’alternativa all’austerità. Questo programma è l’alternativa alla disillusione e alla rassegnazione della classe lavoratrice. E’ nello spirito di questa lotta che ribadiamo la necessità della costruzione di una sinistra anticapitalista in Europa, alternativa ovviamente alle destre nazionaliste e xenofobe, alle socialdemocrazie che gestiscono l’austerità, ma anche alla sinistra riformista succube della socialdemocrazia e che non è in grado o non vuole proporre un’alternativa socialista di uscita dalla crisi europea.