Un denso fascicolo di Limes fa il punto sulla crisi dell’Europa di fronte alla Grecia, con alcuni articoli utili e una pesante lacuna: quasi tutti gli articoli di autori greci sono moderati o conservatori, probabilmente grazie al coordinatore greco, Dimitri Deliolanes, di cui ho già parlato per i pessimi articoli sul Manifesto.
Va detto che il suo articolo di apertura (Tsipras l’europeista immaginario) è meno fazioso nei confronti delle opposizioni interne a Syriza di quelli apparsi sul “quotidiano comunista” italiano, probabilmente perché la redazione di LIMES aveva commissionato un articolo più informativo e fattuale, che ricostruisce soprattutto le responsabilità dei governi che avevano voluto l’entrata nell’Eurozona. Ma a parte il frequente esorcismo nei confronti di chi “vorrebbe un partito del 4%”, Deliolanes ha la responsabilità di aver scelto come collaboratori vari esponenti dei vecchi partiti, soprattutto del Pasok, censurando totalmente la sinistra di Syriza, ridotta a una variante del KKE da cui Lafazanis e altri esponenti provenivano (in genere molti anni fa). Unica personalità del governo di cui si riporta un discorso è il ministro degli Esteri Nikos Kotzias, certo lontanissimo dalla sinistra interna di Syriza, dove è approdato dopo vari passaggi, dal KKE al Pasok. Naturalmente il testo di Kotzias è utile e andrebbe fatto leggere ai tanti adoratori dell’esistente che giustificano tutte le scelte di Tsipras e dei suoi fedeli incondizionati: oltre alle faziosità antimacedoni (a partire dal rifiuto di chiamare la Macedonia col suo nome, usando sempre la sigla burocratica “Fyrom”) che hanno caratterizzato la politica dei suoi predecessori, è utile conoscere direttamente dal responsabile della politica internazionale della Grecia che questa sta “facendo tutto il possibile per promuovere la sicurezza e la stabilità nel Mediterraneo orientale”, e che per questo sta “attivando un’asse di cooperazione Grecia-Cipro-Egitto, ma anche Grecia-Cipro-Israele”. Non c’è male come programma per un governo “progressista”! Ma su questo vedi anche: http://anticapitalista.org/2015/07/30/il-patto-militare-grecia-israele/
D’altra parte in questo discorso di Kotzias (tenuto a Oxford il 10 giugno) sembrano svanite le sue precedenti illusioni sui BRICS e sulla Russia (si parla dell’Ucraina ma solo per ricordare che nella zona di Mariupol ci sono più di 150.000 ucraini di origine greca, che rendono quella regione “cruciale per la politica estera greca”, mentre si insiste su “azioni congiunte sui temi della sicurezza e della stabilità” che sarebbero state proposte a Italia e Turchia, nel quadro di “una politica di sostegno alla Palestina”. Sappiamo bene quanto assurda sia la fiducia in un ruolo positivo dell’Italia in quell’area, come era già evidente prima del vergognoso viaggio di Renzi, ma anche la Turchia (pur dopo l’incidente del Mavi Marmara che ha fatto interrompere per qualche tempo le idilliache relazioni con Israele), non sembra proprio un punto di riferimento affidabile. Eppure il discorso di Kotzias si chiude con la dichiarazione che la Turchia, “il nostro grande vicino orientale”, è un paese “che nel bene e nel male ha molto in comune con noi, dal punto di vista storico e culturale”. Kotzias ricorda di aver detto, in una recente visita ad Ankara, che “Allah ci ha messo nello stesso posto e pertanto dobbiamo imparare a convivere, creando le condizioni per una proficua collaborazione”. Pensava al nuovo Hub petrolifero agganciato al Turkish Stream?
Panaghiotis Ifestos, professore di Relazioni internazionali – Studi strategici all’università del Pireo, fa invece una predica alla “maggior parte dei membri del governo Tsipras”, che hanno il difetto di non essere “mai stati al potere in passato”. Va detto che per questo esponente del peggior sciovinismo greco, gli stessi partiti di opposizione, anche se con esperienza governativa decennale, non sarebbero abbastanza “schierati in modo chiaro a difesa degli interessi nazionali di fronte alla minaccia turca”. L’articolo prosegue con toni bellicisti (“mentre le nostre Forze Armate possono difendere la patria sia in caso di minacce a bassa identità sia in caso di guerra, soffriamo a livello di leadership politica”) e anche con alcune dichiarazioni da miles gloriosus (“Uno dei motivi per cui la Turchia bluffa con minacce di bassa intensità è che sa di non avere i requisiti per scontrarsi con la Grecia”). Questo professore sarà forse vicino ad AnEl? Comunque il suo intervento rivela un altro dei problemi con cui Tsipras si è dovuto confrontare, evitando perfino di nominare la riduzione delle spese militari…
Ma prima di lasciare la politica estera, vale la pena di segnalare un altro articolo di un giornalista greco, Michail Ignatiou, corrispondente da Washington per vari media greci e ciprioti, che fornisce un altro elemento sottovalutato in genere nel dibattito italiano: la disponibilità statunitense a frenare l’intransigenza dei vertici europei nei confronti della Grecia si è scontrata subito con la preoccupazione di Washington che la Grecia potesse incrinare il fronte delle sanzioni alla Russia (qualsiasi passo in questa direzione, ha detto brutalmente Kerry a Kotzias durante la sua visita a Washington in aprile, sarà considerato un “atto ostile”). Ma al tempo stesso diverse dichiarazioni dello stesso Obama e anche del FMI, in cui il peso del maggiore azionista è decisivo, avevano fatto sperare in un intervento concreto a sostegno dei greci, e fatto nascere stupide voci giornalistiche su uno “Tsipras cavallo di Troia” di Obama. In realtà è bastato un semplice gesto umanitario preso da Tsipras, (secondo Ignatiou “a causa delle pressioni esercitate dei gruppi più duri della sinistra all’interno di Syriza”, in realtà in risposta a uno sciopero della fame di 48 giorni di un piccolo nucleo di prigionieri politici) a determinare un irrigidimento degli Stati Uniti, con una dura nota di protesta in particolare per la scarcerazione di Savvas Xiros, cieco e invalido al 98% e detenuto da più di 13 anni, ma definito da Obama “un pericoloso terrorista”. È stato liberato grazie a una legge che permette ai condannati all’ergastolo che hanno scontato 10 anni e sono invalidi per oltre l’80%, di terminare la pena ai domiciliari, muniti di un braccialetto elettronico. Nel quadro del pacchetto per chiudere definitivamente una stagione del terrorismo ormai molto lontana, c’era anche l’abolizione delle prigioni di tipo C, carceri speciali di massima sicurezza destinate a prigionieri politici che si ribellano. Non sono state accettate invece altre richieste poste dai prigionieri come l’abolizione delle leggi anti-terrorismo, art 187 e 187 A, che gli eletti di Syriza avevano peraltro denunciato mentre venivano approvate all’inizio degli anni 2000… Comunque il pacchetto era sufficiente per “giustificare” l’irrigidimento degli Stati Uniti, non per convincere i presunti anarchici a smettere di lanciare molotov e petardi in mezzo a pacifici ortei di protesta…
Un editorialista di To Vima, Anghelos A. Athanasopoulos, ha commentato ironicamente l’isolamento internazionale del governo Tsipras in un articolo dal titolo significativo: Nessuno ci vuole. Dopo aver registrato un passaggio dall’antiamericanismo della seconda metà del XX secolo all’antigermanismo, aumentato fortemente negli ultimi anni, soprattutto dopo il 2009, quando il ruolo della Germania, già notevole in precedenza ma poco visibile, è diventato determinante e non poteva più rimanere nell’ombra, Athanasopoulos entra nel vivo della questione delle relazioni con la Russia, su cui non solo il ministro Kotzias aveva puntato invano. “Il governo Tsipras ha provato a sfruttare il desiderio di Mosca di aggirare l’Ucraina per rifornire di gas l’Europa, cercando di entrare nel nuovo progetto del Turkish Stream. La mossa ha infastidito molto gli alleati occidentali. (…) In ogni caso, smentendo le ripetute e ventilate ipotesi di fornire assistenza finanziaria o fondi di investimento «liberi» alla Grecia, il Cremlino ha deluso alcuni ambienti di Syriza. Ha inoltre indicato che la Russia è conscia dell’importanza dei confini geopolitici e non ha intenzione di danneggiare in modo permanente le sue relazioni con la Germania e con gli Stati Uniti. Mosca vuole Atene dentro l’UE, piuttosto che fuori, per mantenerne intatta la funzione di destabilizzazione”.
Un analogo ragionamento vale per la Cina (con cui non pesano neppure i legami storici, culturali, religiosi, più volte evocati per quanto riguarda la Russia). E più ancora della Russia la Cina si è defilata: “in fondo, l’obiettivo strategico cinese in Grecia è limitato al rafforzamento della presenza della Cosco al Pireo per costruirvi un centro logistico. Al massimo potrebbe partecipare alla privatizzazione e all’ammodernamento della rete ferroviaria, funzionale a un più rapido trasferimento dei prodotti cinesi in Europa centrale attraverso i Balcani”. Ma, soprattutto, sa bene che “una possibile uscita della Grecia dall’Eurozona ridurrebbe drammaticamente la sua importanza all’interno dei piani per la via della seta”.
Meritano una segnalazione ancora due articoli. Il primo è di un giornalista greco, Stavros Lygheròs, e ha come titolo Il prezzo della vittoria di Pirro, ma non si riferisce solo al successo poco prevedibile di Syriza nel referendum, ma anche alle conseguenze non positive della successiva umiliazione imposta a Tsipras. Nei confronti del premier, Lygheròs non è tenero, e ne sottolinea più volte l’ingenuità e l’incapacità di interpretare le mosse degli avversari. Ma, dopo aver descritto senza reticenze il comportamento feroce della BCE e delle altre istituzioni europee, conclude che “gli ultimi sviluppi hanno reso palese che nell’Eurozona il principio basilare della sovranità popolare è stato in gran parte cancellato. Il modo in cui viene affrontata la questione greca non solo è in contraddizione con lo spirito originario dell’unificazione europea, ma proietta anche un’ombra negativa sull’UE e sull’euro”. È in questo senso, aggiunge Lygheròs, che “l’accordo umiliante imposto dall’Europa a Tsipras è una vittoria di Pirro. Con la pistola puntata alla tempia, la Grecia è stata costretta a sottoscrivere la propria condanna a una lenta morte economica”.
Lygheròs è convinto che “la brutalità coercitiva di Merkel e Schäuble” abbia già provocato un’ondata di reazioni in tutto il Vecchio continente e non solo. “L’immagine pubblica della Germania ha subito un danno irreparabile, circostanza che inevitabilmente provocherà un grande danno politico e che renderà molto difficile il tentativo di consolidarne il ruolo di nazione egemone in Europa”. Speriamo sia così, ma i miei dubbi vengono dagli effetti sedativi degli stupidi sostenitori di Tsipras che ne ripetono i farfugliamenti e la minimizzazione della violenza subita, e secondo una vecchissima pratica dei riformisti in difficoltà presentano ogni arretramento come un successo.
Comunque questa tesi della “vittoria di Pirro” è condivisa dall’editoriale, che sottolinea anche il “dilettantismo di Tsipras”, ma che, confortato anche dal secondo articolo che segnalavo positivamente, una simpatica ricostruzione del “lungo debito greco” fatta da due giovani ricercatori, Alessandro Albanese Ginammi e Giampaolo Conte, osserva che “mai nella storia un grande debito sovrano è stato totalmente restituito”.
Gran parte dell’editoriale è dedicato a denunciare contraddizioni, incoerenze, violazioni delle stesse norme europee, da parte della Germania, considerando sciagurata la tentazione di arrivare con un Grexit o in altro modo a un “Neuro”, cioè un euro del Nord. Cose da finire alla neuro, commenta, tanto più perché, “quanto all’affidabilità fiscale, la Germania ha già fatto bancarotta quattro volte. Il suo miracolo economico deve molto al taglio del debito postbellico ottenuto nel 1953. La sua crescita dopo l’annessione della Germania Est nel 1990 ha goduto della indiretta ma congrua partecipazione europea al colossale trasferimento di capitali verso i nuovi Länder, tuttora in corso. (…) Infine, da quando esiste l’euro, Berlino non è mai stata sanzionata malgrado abbia violato almeno sei volte le regole di austerità da essa stessa reclamate – tra cui lo stesso patto di stabilità – e abbia spesso ecceduto il limite del 60% fissato dai trattati per il rapporto debito/PIL (oggi è al 74%). Per tacere del formidabile surplus della bilancia commerciale, squilibrio macroeconomico incompatibile con i trattati.”
Ci sarebbero non pochi altri spunti da riprendere, compreso le interviste ben condotte a personalità che hanno qualche ragione di risentimento nei confronti dei protagonisti di questa vicenda greca: ad esempio Lorenzo Bini Smaghi, già membro del comitato esecutivo della BCE fino all’arrivo di Mario Draghi, ed Enrico Letta. E c’è ancora molto altro, non tutto condivisibile, tutto però utile alla comprensione della Grecia e soprattutto dell’Europa e della sua crisi.