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immigrazione-kosCrisi greca e memorandum Ue.

Sotto gli occhi le ambiguità del trattato militare con Tel Aviv e la gestione della questione migranti.

In pochi mesi di governo — scri­veva il 22 ago­sto Angelo Mastran­drea in uno dei suoi pun­tuali e lucidi repor­tage– il cosid­detto modello Syriza, «esem­pio vin­cente di rico­stru­zione di una sini­stra dal basso si è sciolto come neve al sole». Pren­derne atto, con la sua stessa luci­dità, è forse abban­do­nare Atene al suo destino? Per­ché mai il nostro soste­gno alla Gre­cia dovrebbe coin­ci­dere con l’acritico con­senso verso la poli­tica e le scelte di Ale­xis Tsi­pras, che stanno con­tri­buendo a sgre­to­lare Syriza? Sarebbe forse da nemici del popolo greco mostrare qual­che atten­zione verso Unità Popo­lare e altri fer­menti a sini­stra, che con­ti­nuano a ren­dere inte­res­sante il caso greco?

Qui non entriamo nel merito della que­stione fon­da­men­tale: quale sia il prezzo, in ter­mini eco­no­mici e sociali, che la Gre­cia dovrà pagare per essere stata obbli­gata, con ricatti assai pesanti, a sot­to­scri­vere un Memo­ran­dum forse peg­giore dei pre­ce­denti. Vogliamo invece sof­fer­marci su due temi che, pur di gran peso, nell’attuale dibat­tito a sini­stra si tende a omet­tere o a smi­nuire: l’accoglienza dei pro­fu­ghi e l’accordo mili­tare siglato il 19 luglio tra il governo greco e quello israeliano.

Di que­sto secondo tema ci aveva infor­mato tem­pe­sti­va­mente Man­lio Dinucci, in un pezzo del 28 luglio per la sua rubrica set­ti­ma­nale “L’arte della guerra”. Nove giorni prima — ripor­tava Dinucci — a Tel Aviv, Panos Kam­me­nos, il mini­stro greco della Difesa (non­ché fon­da­tore e diri­gente di Anel, par­tito di destra), aveva incon­trato Moshe Ya’alon, il suo omo­logo israe­liano, per siglare, per conto del governo Tsi­pras, que­sto patto assai impe­gna­tivo, prin­ci­pal­mente in fun­zione anti-Iran.

Come rife­riva lo stesso giorno il set­ti­ma­nale Israël-Actualités, nel corso dell’incontro i due mini­stri ave­vano discusso anche di sicu­rezza marit­tima ed ener­ge­tica, e di coo­pe­ra­zione nell’ambito dell’industria militare.

È da notare che solo con gli Stati Uniti Israele aveva prima d’allora sti­pu­lato un accordo mili­tare di tal genere: un Sofa (Sta­tus of for­ces agree­ment), cioè un’intesa giu­ri­dica reci­proca che auto­rizza le forze armate dei due Paesi a sta­zio­nare nel ter­ri­to­rio dell’altro per scopi mili­tari. Cosa che è stata subito messa in pra­tica: impor­tanti eser­ci­ta­zioni aeree con­giunte, a par­tire dalla base mili­tare di Larissa, vicino al monte Olimpo, si sono svolte a luglio per due set­ti­mane, come infor­mava il 3 ago­sto un comu­ni­cato uffi­ciale delle forze aeree israeliane.

Non si com­prende per­ché, trat­tan­dosi dell’ex governo Tsi­pras, dovremmo essere indul­genti verso un patto mili­tare con Israele che cri­ti­che­remmo se fosse stato sti­pu­lato da chiun­que altro.

Quanto al secondo tema, basta ricor­dare i fatti recenti acca­duti nell’isola di Kos, ampia­mente docu­men­tati dai media: i due­mila pro­fu­ghi rin­chiusi nello sta­dio di cal­cio, tra­sfor­mato in un (inef­fi­ciente) cen­tro d’identificazione, lasciati quasi privi d’acqua, senz’ombra, ser­vizi igie­nici, assi­stenza medica e senza un piano per la distri­bu­zione del cibo; le vio­lenze delle forze spe­ciali che, spal­leg­giate da alcuni ener­gu­meni, hanno fatto ricorso a lacri­mo­geni, gas di estin­tori, bombe assor­danti con­tro que­sta folla inerme, com­po­sta in buona parte da donne e bambini.

Dopo la vit­to­ria elet­to­rale di Syriza, a sini­stra si è scritto, in modo una­nime e ripe­ti­tivo, che il segreto del suo suc­cesso risie­de­rebbe nel fatto d’aver pro­mosso e finan­ziato un sistema di mutua­li­smo e di auto-organizzazione dal basso, capace di com­pen­sare le man­che­vo­lezze dello Stato. Sarà lecito chie­dersi allora come mai que­sto sistema non sia inter­ve­nuto in tale occa­sione, in modo così effi­cace da bilan­ciare l’inadeguatezza e gli errori delle istituzioni.

Certo, la Gre­cia è tra­volta, e in un momento così arduo, da un’ondata di pro­fu­ghi senza pre­ce­denti. Certo, nel campo dell’accoglienza il governo Tsi­pras ha ere­di­tato l’inettitudine dei governi pre­ce­denti e l’assenza, anche in que­sto campo, dell’Unione Euro­pea. Certo, da alcuni giorni le isti­tu­zioni gre­che cer­cano di fron­teg­giare con meno vio­lenza e inef­fi­cienza i copiosi flussi quo­ti­diani di pro­fu­ghi, dopo essere state dura­mente richia­mate dall’Unhcr e cri­ti­cate da Ong auto­re­voli come Medici senza frontiere.

Ma per­ché mai non sarebbe lecito cri­ti­care metodi quali l’ammassamento coatto di pro­fu­ghi in uno sta­dio, se assai severi fummo verso un ana­logo caso nostrano? Allor­ché, ad ago­sto del 1991, nello Sta­dio della Vit­to­ria di Bari furono inter­nati migliaia di alba­nesi –dei ven­ti­mila sbar­cati dalla nave Vlora-, esa­ge­rando si evocò addi­rit­tura il Cile di Pino­chet: lo facemmo non solo noi, del movi­mento anti­raz­zi­sta, ma per­fino Bar­bara Palom­belli, dalle colonne dellaRepub­blica.

Ancor più inap­pro­priata sarebbe l’analogia col Cile nel caso della Gre­cia demo­cra­tica di oggi, che cerca di resi­stere, pur com­piendo errori, alla mici­diale tena­glia in cui è stretta dalla Tro­jka e da un’Unione Euro­pea sem­pre più mercantile.

La Gre­cia, dun­que, merita la nostra soli­da­rietà. Ma non tale non è quella che si basa sulla rimo­zione o la cen­sura di ogni ana­lisi com­plessa, di ogni approc­cio pro­ble­ma­tico: i soli che pos­sano met­terci al riparo da delu­sioni amare e repen­tine abiure; che pos­sano con­sen­tirci, ammesso che ne siamo capaci, di svol­gere qual­che ruolo di soste­gno poli­tico alle forze di sini­stra gre­che che cer­cano di con­tra­stare il mor­ti­fero dogma dell’austerità.