Il 9 agosto 2014, Mike Brown è stato ucciso dall’agente di polizia di Ferguson (Stato del Missouri) Darren Wilson. Il suo corpo senza vita è stato lasciato scoperto quattro ore e mezzo, esposto al sole d’estate in strada potendo così essere visto dai giovani bambini e da chiunque passasse in quel quartiere con una popolazione a maggioranza nera. L’omicidio ha provocato proteste impetuose che si sono succedute nel corso di diverse giornate e nottate.
Nel corso dell’anno passato, molte cose sono cambiate – e non è cambiato nulla di essenziale. La ribellione di Ferguson non ha impedito l’estendersi della lista dei nomi delle persone uccise dalla polizia; al contrario, sembra che si allunghi incessantemente: Eric Garner, John Crawford, Akai Gurley, Tamir Rice, Tony Robins, Freddie Gray, Sandra Bland (ragazza di 28 anni, arrestata il 18 luglio per non aver acceso il suo lampeggiante; messa in prigione per aver rifiutato di ottemperare agli ordini illeciti di un poliziotto, ritrovata il 13 luglio impiccata in cella).
Ferguson, tuttavia, ha con forza consentito che l’attenzione del pubblico fosse portata su questi nomi. E gli avvenimenti succedutesi hanno segnalato al paese il fatto che i Neri, che soffrono nel XXI secolo a causa della violenza secolare razzista dell’America, non si sarebbero più fatti addolcire dalla presenza di qualche figura nera nei posti più alti – compresa la Casa Bianca.
Un anno fa, i sondaggi indicavano che la maggior parte dei Bianchi pensasse che il razzismo non fosse più un problema negli Stati Uniti. Un anno fa, i dirigenti del Black America consacrati dai media – dal presidente Obama al pastore Al Sharpton passando (sic!) attraverso l’attore Bill Cosby (attualmente oggetto di pesanti accuse per numerose aggressioni sessuali compiute nel corso degli anni) – erano principalmente uomini più anziani, la cui leadership consisteva in gran parte nel rimproverare i giovani Neri di non trarre alcun vantaggio da tutte quelle pretese possibilità che le generazioni precedenti avevano loro ottenuto.
Quando i giovani di Ferguson rifiutarono di rientrare a casa durante i giorni e le notti che seguirono all’assassinio di Mike Brown, le autorità furono a tal punto minacciate – non dalla violenza dei Neri, ma dalla loro resistenza – che attuarono un’occupazione militare della piccola città. Veniva spezzata l’illusione secondo la quale gli Stati Uniti siano una società “post-razziale” – che era evoluta rispetto al lontano passato dei brutti giorni delle ribellioni urbane (in particolare nel corso della seconda metà degli anni ’60).
La demolizione del mito è proseguita tre mesi più dardi quando i procuratori di Saint Louis e di New York – che ogni giorno sbattono in prigione molti neri senza alcuna prova1 – non riuscirono nemmeno a riunire un gran jury che mettesse sotto accusa Wilson o il poliziotto di New York che strangolò a morte Eric Garner persino dopo che un video di questo crimine fu visto in tutto il mondo da milioni di persone.
Nel corso delle settimane di fine novembre e inizio di dicembre (2014), lo spirito di Ferguson si espanse in tutto il paese. Proteste di collera bloccarono le strade, le autostrade e i ponti nelle piccole e grandi città. Per un istante, l’establishment politico si stupì dell’emergere di un nuovo movimento, osservandolo in silenzio mentre alcuni lavoratori neri del Congresso abbandonarono il lavoro per scendere davanti al Campidoglio gridando :” Hands up, don’t shoot! ( Mani in aria, non sparate!).
La morte di due poliziotti colpiti da proiettili a dicembre da un uomo nero solitario – che non era legato a nessun movimento politico, nonostante la diceria di alcuni media, offrì all’establishment la possibilità di riprendersi e di far crollare il movimento grazie ad un’ondata di sciovinismo, che traeva ispirazione alla “risposta” fornita dopo gli attentati dell’11 settembre lanciando la parola d’ordine “sosteniamo la polizia”. Ma tutti i nastri blu di questo mondo (il sostegno si sarebbe dovuto manifestare portando dei nastri blu, il colore dell’uniforme dei poliziotti) non potevano nascondere il fatto che la polizia continui ad uccidere delle persone – al ritmo pauroso di una persona ogni 8 ore a metà febbraio –non è quindi questione di tempo perché un’altra città esploda.
Quando ciò avvenne in aprile, dopo che alcuni poliziotti di Baltimora uccisono Freddie Gray dietro ad un furgone della polizia – poi dopo che reagirono alle pacifiche proteste provocando una sommossa tra i liceali che tentavano di rientrare a casa dopo la scuola, il movimento fece un passo in avanti. Così scrisse il Socialist Worker in quell’occasione:
“Baltimora è differente da Ferguson nel senso che si tratta di un centro urbano importante nel cuore del corridoio del Nord- est e ad un’ora di strada dalla capitale del paese. La città è diretta da un establishment politico nero ed è […] pienamente integrata nel paesaggio post-diritti civili – un paesaggio che comprende livelli massicci di segregazione, fortissime concentrazioni di povertà così come un’incredibile brutalità, tutto avviene parallelamente alla presenza di una nuova classe media e classe politica nera… Queste condizioni formano il quadro di fondo dell’omicidio di Freddie Gray. Esse costringeranno numerosi attivisti del movimento Black Lives Matter ad affrontare – così come Martin Luther e Malcolm X fecero in un’altra epoca – il rapporto incrociato tra razzismo e capitalismo!
Nel corso degli ultimi mesi, i casi di violenza razzista che hanno attirato maggiore attenzione si sono svolti nel cuore della reazione sudista: in Texas, dove un poliziotto ha aggredito alcuni giovani ragazze nere durante una festa in piscina “interrazziale” e dove Sandra Bland fu trovata morta in una cella tre giorni dopo aver fatto valore i suoi diritti quando un gendarme l’aveva malmenata; così come in Carolina del Sud, dove un suprematista bianco massacrò nove persone nella chiesa storia Emanuel African Methodist Episcopal Church di Charleston.
L’orrore di Charleston ha portato ad una storica vittoria- benché tardiva – ossia al ritiro della bandiera confederata dal Comune dello Stato – una vittoria che sarà sempre associata al coraggio di un giovane nero che si è arrampicato fino in cima all’asta per togliere il simbolo razzista.
Tuttavia, dopo Baltimora – e New York e Cleveland così come dappertutto – molte persone non pensano affatto che il razzismo sia soltanto un problema del Sud. Black Lives Matter ha, per riprendere il proverbio, modificato il discorso. È ancora ben lungi dal porre fine alla violenza razzista e alle discriminazioni. Ma siamo di fronte ad un inizio importante.
La resistenza coraggiosa di cui Ferguson è stata la testimonianza non è senza precedenti. Ci fu, infatti, una successione di avvenimenti di un certo rilievo simili a seguito dell’uccisione da parte della polizia di Manuel Diaz due anni fa ad Anheim ( Stato della California). Ma Fergussono è stato il catalizzatore che ha riunito una gran numero di forze e che ha determinato degli sviluppi politici:
Alcune reti di protesta locali, dirette da alcuni membri delle famiglie delle vittime della violenza poliziesca, come Jeralynn Blueford ad Oakland e Constance Malcolm a New York.
Un rifiuto crescenta della politica di “responsabilità personale” così come una comprension del razzismo strutturale che trae ispirazione dall’opera della giurista Michelle Alexander, The New Jim Crow così come da altre fonti.
Lo sviluppo, sulla scia delle proteste seguite all’assassinio di Trayvon Martin ad opera del “vigile” razzista George Zimmerman nel 2012, di nuove organizzazione come Dream Defenders, Black Youth Project 100 (BYP100), come come Million Hoodies ( riferimento al vestito col cappuccio che portava Trayvon Martin, adolescente di 17 anni, quando fu uscciso) così come lo hasthag #BlackLivesMatter.
BYP100 ha colto la svolta politica che prenderà piede nel corso dell’anno successivo in una dichiarazione pubblicata dopo la morte di Michael Brown:
” Al di là delle nostre frustrazioni e della nostra collera attuale, risuona la nostra memoria quando ci chiamano i nostri antenati. Noi riscatteremo le loro sofferenza tramite la nostra azione collettiva in vista della liberazione. Lo stoicismo (ossia il rischiamo a restare calmi), la politica della rispettabilità e di alcune misure frammentarie avanzate non funzianano”.
La dichiarazione era, in parte, una risposta all’orientamento politico di figure come quella di Al Sharpton, che ha avuto la faccia tosta di usare il suo elogio funebre nel corso del funerale di Brown per incolpare i neri che non cercano di emergere e che, al contrario, tengono “feste peccaminose nel ghetto” (ghetto pity parties).
Questo ricorso al capro espiatorio è stato popolare durante gli anni nei media dominanti così come alcuni agiati Afroamericani, ma non fu accolto per nulla a Ferguson, dove i contestatori fischiarono Sharpton e Jesse Jackson (pastore anche lui, figura del Partito democratico che era stato membro della Southern Christian Leadership Conference di Martin Luther King) in diversi momenti della rivolta.
Alla fine dell’anno, i contestatori di Ferguson si unirono ad un presidio convocato da Sharptin a Whashington; ma fu loro impedito di parlare perché non possedevano il permesso “VIP” richiesto.
Il confronto sulla scena pubblica, in dicembre, cristallizzò una diversità generazionale, tra una leadership nera di età più avanzata, principalmente di genere maschile, la cui strategia volta a conquistare qualche posto nella direzione del Partito democratico non ha prodotti granché, se non nulla, alla maggioranza degli Afroamericani, e un movimento in ascesa di giovani leader neri, tra le quali numerose donne e militanti Lgbt, che si basano su una tattica che prevede lo scontro diretto con la polizia e le autorità politiche.
Le questioni strategiche che puntanto al “dove andare a questo punto?” creano difficoltà, in particolare ad un nuovo movimento che si oppone al capitalismo e al razzismo in un momento in cui la classe lavoratrice nera – ancor di più della classe lavoratrice nel suo insieme – ha subito decenni di deindustrializzazione, di smantellamento dell’attività sindacale e di incarcerazione di massa.
Queste sconfitte hanno avuto egualmente un impatto sulla sinistra, che è dominata sul piano organizzativo da Ong che vivono di risorse finanziarie poco chiare e che sono fortemente influenzate politicamente da soggetti politici che non vanno in direzione di un movimento multirazziale cosciente diretto da giovani neri.
Si tratta di una debolezza reale a cui dovranno confrontarsi nel corso delle prossime settimane e mesi coloro che sono impegnati nell’opposizione al razzismo. Ma non devono oscurare l’importanza dell’ascesa del movimento Black Lives Mtter così come il suo impatto profondo sul paesaggio politico degli Stati Uniti nell’anno trascorso dopo l’assassinio di Mike Brown.
Nei prossimi anni, il movimento sarà posto di fronte alla minaccia di essere risucchiato nel vortice del Partito democratico durante la campagna presidenziale del 2016: lo stesso processo che ha trasformato alcuni combattenti per la liberazione dei neri delle generazioni passate in politicanti che le generazioni attuali rifiutano a ragione.
Il miglior modo di far fronte a tutte questioni è di porre lo sguardo rivolto allo spirito che si è manifestato nel cuore della rivolta di Ferguson: la determinazione degli oppositori al razzismo e all’ingiustizia nello sfidare la repressione, di esprimersi con forza – colto da una generazione assettata di cambiamento.
1. I neri rappresentano il 13% della popolazione degli Usa, ma il 37% dei 2,3 milioni di persone incarcerate in questo paese. La cosiddetta “guerra contro le droghe”, basata sulla persecuzione dei piccoli delinquenti – e la penalizzazione accresciuta della detenzione degli stupefacenti “dei poveri” come il crack ( a pari consumazione con altre droge, un bianco è generalmente condannato con una multa, un nero è sbattuto in galera), così come la criminalizzazione della povertà spiegano questo forme aumento della popolazione carceraria. Più ampiamente, siamo di fronte ad una macchina di “gestione della povertà” e di esclusione delle classe lavoratrici –in cui i neri e i latinos sono sovrarappresentati- di alcuni diritti politici e sociali, dal momento che alla popolazione carceraria occorre aggiungere 4,8 milioni di persone in libertà vigilata che sono private di alcuni diritti, che incontrano ulteriori difficoltà a trovare un alloggio od un lavoro e che subiscono controlli permanenti.