Il romanziere australiano di origine greca Christos Tsiolkas, è autore di cinque romanzi, tra i quali Lo Schiaffo (tradotto in italiano e pubblicato da Neri Pozza nel 2011). È nato nel 1965 a Melbourne. Ha scritto questo articolo per la rivista australiana The Monthly dopo una lunga conversazione telefonica con Yanis Varoufakis (https://www.themonthly.com.au/issue/2015/august/1438351200/christos-tsiolkas/greek-tragedy ).
Ricordiamo che Varoufakis è stato eletto deputato il 25 gennaio 2015 ad Atene su una lista di Syriza, senza essere iscritto a Syriza. È stato Ministro delle Finanze del governo di Alexis Tsipras e incaricato dei negoziati con le istanze europee, in altri termini i creditori. In aprile è stato sostituito a questo posto da Euclides Tsakalotos. Ha dato le dimissioni il 6 luglio 2015.
Tra il 2004 e il 2006, Varoufakis è stato consigliere di Giorgios Papandreou (PASOK), e ha fatto una critica severa di lui a posteriori. Prima era stato professore associato all’Università di Sydney tra il 1989 e il 2002, e aveva occupato altri incarichi universitari a Glasgow e Lovanio.
Questo articolo di Christos Tsiolkas riporta reazioni e giudizi di Varoufakis. Non si tratta quindi, qui, di fare un bilancio degli elementi del suo «piano di negoziati» anche solo perché il dossier non è ancora aperto. Tra l’altro, le parti che riguardano: chi costituiva, fin dall’inizio, il centro di gravità del governo Tsipras di cui lui era il Ministro delle Finanze; quale era la valutazione iniziale, fatta da Varoufakis, del rapporto di forze effettivo che avrebbe improntato i «negoziati» con la Troika, e quindi la strategia che ne sarebbe dovuta derivare dalla «parte greca»? Una strategia che non poteva essere separata da un orientamento tendente a una mobilitazione sociale e politica dei «sostenitori» del governo. Malgrado una caduta dal 2012, si era comunque manifestata spontaneamente una disponibilità popolare, nel corso dei due giorni successivi alla vittoria elettorale, poi durante la settimana precedente il voto del referendum del 5 luglio. Questo aspetto non costituisce un elemento di riflessione di Varoufakis, almeno nel testo reso pubblico. (Redazione di A l’encontre).
Melbourne, nella strada del mio studio, nella periferia nord, c’è un piccolo bar a lato di una tabaccheria. Tutti e due sono gestiti da australiani di origine greca.
La settimana precedente il voto del popolo greco sull’accettare o meno la nuova serie di misure di austerità pretese dalla Troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) per rendere disponibili fondi di «salvataggio», i proprietari dei negozi avevano incollato una serie di fogli A4 bianchi e neri su tutte le loro vetrine. Su ciascuno una parola in grassetto, una parola in greco: OXI – la parola greca per «no». La mattina del 6 luglio, mi sono svegliato prima dell’alba e ho acceso internet e la TV, ansioso e timoroso insieme per le notizie: il risultato avrebbe avuto conseguenze non solo per l’adesione della Grecia all’eurozona, ma anche per la stessa definizione di un’Europa unita.
Il risultato del referendum è stato un travolgente OXI.
Un’ora più tardi, sempre cercando di capire perché mi sentivo in preda a questa combinazione, questa mescolanza di paura, di tremore ed estasi, e mentre guardavo le immagini della folla esultante ad Atene, mi resi conto che stavo vivendo sensazioni che avevo quasi dimenticato potessero esistere: la speranza e l’ottimismo politici.
La nazione greca aveva respinto una logica economica quasi universale, quella che ha assolto il sistema finanziario, responsabile della più grande catastrofe economica dopo la Grande Depressione. Una logica che esigeva che la gente comune paghi per gli errori di calcolo dei mercati globali, una logica che ha cancellato i debiti delle banche, ma che non ha permesso una simile clemenza per gli effetti paralizzanti del debito sulle singole nazioni.
In una settimana la mia speranza e il mio ottimismo si erano dissipati. Questo governo di coalizione [Syriza ANEL] della Grecia, in carica da sei mesi, diretto dal partito di sinistra Syriza di Alex Tsipras, sembrava sul punto di accettare il piano di «salvataggio» che era stato respinto dal suo popolo.
Yanis Varoufakis è al telefono. Il carismatico ministro della Finanze della Grecia aveva dato le dimissioni dal suo posto immediatamente dopo il risultato del referendum. Varoufakis, un economista con un’ importante carriera accademica, possiede la doppia nazionalità, greca e australiana, dopo una lunga carriera all’Università di Sydney.
La sua condizione di estraneo al club politico dell’Unione Europea, il suo rifiuto di utilizzare un linguaggio tecnocratico o di conformarsi allo stile burocratico, erano un punto dolente costante nei negoziati con la Troika. Ma per molti aspetti, il risultato estremamente esplicito del referendum può essere considerato come una convalida delle sue tattiche e della sua rettitudine.
La prima cosa che gli chiedo è come si sentiva la notte del voto, e come si sente ora, una settimana dopo.
«Permettimi di descrivere il momento dopo l’annuncio dei risultati» [del 5 luglio] inizia. «Faccio una dichiarazione al ministero delle Finanze, poi vado nell’ufficio del Primo ministro, il Maximos [residenza ufficiale del Primo ministro greco] per incontrare Alexis Tsipras e il resto del ministero».
Ero esultante. Questo clamoroso, inatteso no – Oxi – era come un raggio di luce che penetra un’oscurità molto spessa e profonda. Ero incantato. Passeggiavo per gli uffici, eccitato e pieno di gioia, portando con me l’incredibile energia della gente di fuori. Avevano vinto la paura e con la loro vittoria sulla paura era come se fluttuassi nell’aria. Ma nel momento in cui sono entrato nel Maximos tutta questa sensazione è semplicemente svanita. Anche lì regnava un’atmosfera elettrica, ma con una carica negativa. Era come se la direzione fosse stata lasciata indietro dalla gente. E la sensazione che sentivo era il terrore: «Che cosa facciamo adesso?».
E la reazione di Tsipras?
Le parole di Varoufakis sono misurate. Insiste che il suo affetto e rispetto per il Primo ministro greco in difficoltà sono intatti. Ma nella sua risposta, tristezza e delusione sono evidenti.
«Potrei dire che era scoraggiato. Era una grande vittoria, che nel suo intimo gustava, ma che non poteva gestire.
Sapeva che il gabinetto non poteva gestirla. Era chiaro che nel governo c’erano elementi che lo mettevano sotto pressione. Già da qualche ora subiva pressioni da parte di figure eminenti del governo per trasformare il no in un sì, per capitolare».
Per lealtà a Tsipras, e per mantenere una promessa che ha fatto, Varoufakis non citerà nomi. Ma si spingerà fino a dire che in questo governo di una fragile coalizione ci sono eminenze grigie «che puntavano sul referendum come strategia di uscita, non come strategia di lotta».
«Quando mi sono reso conto di questo, gli ho fatto presente che aveva una scelta molto chiara: o utilizzare il 61 ,5% di no come una potente forza dinamica, o capitolare. E gli ho detto, prima di lasciargli il tempo di rispondere: “Se decidi per questa seconda scelta io mi metterò da parte. Darò le dimissioni se tu scegli la strategia di cedere. Me ne vado per non nuocerti, e sparirò nella notte».
Pur essendo cauto, Varoufakis precisa che l’uscita dall’eurozona era qualche cosa che né lui, né Tsipras né i loro colleghi con vedute simili avrebbero tollerato.
«Abbiamo sempre pensato che il progetto europeo, malgrado tutti i suoi difetti … sarebbe un’occasione per gli europei di riunirsi, che forse ci sarebbe una possibilità di sovvertire le intenzioni iniziali e di trasformarli in una specie di Stati Uniti d’Europa. E in questo quadro, mettere in atto una politica progressista di sinistra. Era la nostra mentalità, il modo come eravamo stati allevati, fin dalla più tenera età».
Questa mentalità contribuisce molto a capire il senso del compromesso deciso da Syriza dopo il referendum. Non è stata ipocrita nel suo impegno per l’Europa, malgrado tutti gli allarmismi dei media dominanti europei. Ma per Varoufakis, onorare questo impegno non poteva essere subordinato all’accettazione delle strangolanti condizioni legate a un alleggerimento del debito, e non era possibile che la continua devastazione sociale che ne sarebbe seguita potesse essere legittimata in nome dell’austerità.
Tsipras mi ha guardato e mi ha detto: «Tu sai che non ci concederanno mai un accordo, a te e a me. Vogliono sbarazzarsi di noi». «E poi mi ha detto la verità, che c’erano altri membri del governo che lo spingevano nella direzione della capitolazione. Era chiaramente depresso». Gli ho risposto: «Fa quello che ti sembra meglio in base alla scelta che hai fatto, e con la quale io sono in disaccordo, ma io non sono qui per nuocerti».
«Così sono tornato a casa. Erano le 4,30 del mattino. Ero smarrito, non personalmente, dare le dimissioni e lasciare il ministero mi era del tutto indifferente; in realtà era un grande sollievo. Sono dovuto restare seduto al tavolo dalle 4,30 alle 9 del mattino a definire i termini esatti delle mie dimissioni perché volevo, da una parte che fossero di sostegno ad Alexis e non lo danneggiassero, ma dall’altra dovevo indicare chiaramente perché me ne andavo, la ragione per la quale me ne andavo, che io non abbandonavo la nave. Era la nave che aveva abbandonato la rotta».
Chiedo a Varoufakis se c’erano membri dell’Eurogruppo, i 19 ministri delle Finanze dell’eurozona, che spingevano fortemente per un’uscita della Grecia.
La sua risposta è rapida e diretta: «Non l’Eurogruppo. Il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schäuble».
Voglio che sia chiaro su questo punto, perché la rappresentazione mediatica dominante della crisi in corso è quella di una battaglia tra i greci intransigenti e un’Europa disperata che cerca di tenere insieme l’eurozona. La realtà è molto più complessa. Mi sono chiesto se le condizioni di austerità impraticabili che la Troika ha preteso da questo nuovo governo greco di sinistra non suggerivano che, dietro le quinte, membri dell’Eurogruppo preparassero un’uscita della Grecia. Se questo era il caso, implicava malafede da parte di Schäuble?
Ancora una volta, la risposta di Varoufakis è immediata. «Non si trattava di malafede, era un piano molto preciso. Io lo chiamavo il piano Schäuble. Progettava un’uscita della Grecia come elemento del suo piano di ricostruzione dell’eurozona. Non è una teoria. La ragione per la quale lo dico è perché lui me lo ha detto così».
Cinque anni di austerità hanno visto l’economia greca contrarsi del 25%, e un greco su quattro diventare disoccupato, e un debito che, secondo quanto dicono economisti di destra e di sinistra, non può che comportare un aumento della devastazione economica e sociale. Mi sembra che ci sia un desiderio di punire la nazione greca per i difetti ben noti delle sue strutture politiche, per il suo clientelismo e i suoi servizi pubblici corrotti.
Ma per Varoufakis, la brutalità delle misure di austerità fa parte integrante di un gioco politico che la Commissione europea conduce per impaurire gli altri Stati membri.
«Questo è il modo per Schäuble di esigere concessioni dalla Francia e dall’Italia, questo è il gioco che c’è sempre stato. Il gioco è stato tra la Germania, la Francia e l’Italia, e la Grecia era – non tanto un capro espiatorio – noi abbiamo un’espressione in Grecia…»
Avevamo condotto l’intervista in inglese, ma nel momento della sua esitazione, l’ho incitato a parlare in greco. Lui risponde e, benché il tono di Varoufakis sia quello di un ateniese colto, che parla inglese con l’accento cosmopolita di uno che ha studiato nel Regno Unito e lavorato in Australia e negli Stati Uniti, per un momento sento la voce di mio padre, per un momento il rurale e l’urbano coincidono, il passato e il presente non sono che uno: «il fantino fa schioccare la frusta perché la mula la ascolti».
Poi ritorna il tono urbano. «Si tratta di una strategia molto chiara per influenzare Parigi e Roma, in particolare Parigi, il genere di concessioni per imporre una disciplina, il modello tedesco dell’eurozona».
Forse a causa di questo momento di dissonanza, il passaggio dall’inglese al greco, mi ricordo che non sono un partecipante disinteressato in questa intervista. Dal 2010, sono tornato nel paese dei miei genitori per cercare di dare un senso all’esperienza della famiglia e degli amici, di capire la paralisi economica, di essere testimone dei costi umani. Nessun australiano che condivide la mia eredità greca ignora gli effetti deleteri sul lungo termine di un corporativismo di Stato, del nepotismo e della corruzione in Grecia. Molti di noi hanno deplorato la mancanza di serie riforme nella politica greca molto prima che la nazione entrasse nella zona euro nel 2001.
Quali che siano le differenze ideologiche, quali che siano i compromessi e i limiti della realpolitik, i colleghi di Varoufakis, ministri dell’Eurogruppo, le persone della Troika con le quali stava nei negoziati, hanno capito l’ampiezza della crisi umanitaria del suo paese?
«Era una miscela di indifferenza e di egoismo. Devi capire, per qualcuno di loro il programma greco [di austerità] era l’opera della loro vita, il loro bambino. Era come il dott. Frankenstein: un mostro, ma era il tuo mostro. Era qualche cosa da cui dipendevano le loro carriere.
Ad esempio Poul Thomsen [danese, lavora all’FMI dal 1982], che ha diretto il programma greco a nome dell’FMI dal 2010 al 2014, è stato promosso [nel novembre 2014] sulla base di questo lavoro e oggi è diventato capo dell’FMI per l’Europa [Director of European Department].
Quando queste persone guardano gli effetti prodotti da quello che hanno fatto – la gente per le strade che mangia il contenuto dei cassonetti della spazzatura, lo straordinario tasso di disoccupazione – si scatena un processo normale di auto-razionalizzazione: cioè, o si dicono che questo doveva essere fatto, poiché non ci sono altri mezzi; o danno la colpa al governo greco che non ha attuato abbastanza le riforme».
Hanno veramente creduto che l’austerità era il solo modo di tenere la Grecia nell’eurozona?
« È una visione utilitarista molto cinica che per forgiare il futuro, si devono sacrificare le persone improduttive, buone a nulla. Ora, i più intelligenti – e ce ne sono pochissimi di più intelligenti – possono vedere che tutto questo è ciarpame. Possono vedere che il programma che hanno messo in atto si è rivelato catastrofico. Ma sono cinici. Pensano: “so da che lato il mio pane è imburrato”.
Curiosamente, il ministro delle Finanze tedesco è un uomo che capisce questo meglio di chiunque. In una pausa di una riunione gli ho chiesto: “Lei firmerebbe questo accordo”? E lui ha detto: “No, non vorrei. Non è buono per il vostro popolo.” Questo è l’elemento più frustrante. A livello personale, si può avere questa conversazione e umana, ma nelle riunioni è impossibile farla rivivere, è impossibile avere decisioni politiche basate sulla realtà umana. Il dibattito politico è strutturato in modo tale che la dimensione umana deve essere lasciata fuori della sala»
Varoufakis ha chiaramente fatto sapere che l’interesse e il carrierismo sono in gioco in questi negoziati. Ma se alti rappresentanti dello Stato prendono decisioni fondate su politiche alle quali non credono, non si tratta anche di viltà?
«Cercherò di rispondere nel modo più preciso possibile dicendo questo. Dei miei colleghi dell’Eurogruppo… – si corregge – « ex colleghi dell’Eurogruppo – io non sono più nell’Eurogruppo, grazie a Dio. È stato detto spesso che si giocava a 18 contro uno e che io ero solo. Non è vero, non è vero. Una piccolissima minoranza, condotta dal ministro tedesco delle Finanze, fingeva di credere che l’austerità che è stata imposta ai greci era la sola via di uscita, era la cosa migliore per i Greci, e che se solo fossimo stati capaci di riformarci seguendo lo schema e le linee di questa logica dell’austerità, noi saremmo stati meglio; se non uscivamo dai boschi [non eravamo riusciti a cavarcela] è perché siamo pigri, viviamo della bontà degli altri, ecc., ecc.. Ma erano una minoranza. C’erano altri due gruppi che erano più importanti.
Un gruppo era composto dai ministri delle Finanze che non credono in queste politiche, ma che in passato erano stati costretti a imporle al loro proprio popolo con importanti conseguenze molto nefaste. Ora, questo gruppo era terrorizzato dalla prospettiva che noi potessimo farcela e che essi dovessero rendere conto e rispondere alla loro propria popolazione: Perché erano stati vili fino a quel punto?
E c’era un terzo gruppo, che comprendeva la Francia e l’Italia. Sono paesi importanti, gli Stati di prima linea dell’Europa. Come la vedo io è che i loro ministri delle Finanze non credevano all’austerità, e neanche l’avevano messa in pratica seriamente.
Ma temevano che ad allearsi con noi, che rischiare di essere considerati favorevoli ai greci, li avrebbe portati a scontrarsi alla collera del gruppo tedesco e forse l’austerità sarebbe stata imposta anche a loro. Non vogliono essere visti come nostri sostenitori con il rischio di essere obbligati a subire le stesse indegnità».
Varoufakis elenca una lista precisa e convincente degli errori della zona euro, la follia della «creazione di una moneta unica che doveva essere diretta da una banca centrale che non aveva alcuno Stato per sostenerla, e degli Stati senza banca centrale per sostenerli».
« È stato come se noi avessimo tolto dall’eurozona gli ammortizzatori, e gli ammortizzatori sono la flessibilità dei tassi di cambio. Il momento in cui le banche hanno cessato di prestare a paesi come l’Irlanda o la Grecia, la bolla è scoppiata ….
Nei vecchi tempi, la dracma sarebbe stata svalutata e la situazione sarebbe stata corretta. Ma non c’è stata la dracma, e dunque abbiamo dovuto sostituire i prestiti effettuati dalle banche con prestiti dei contribuenti.»
C’è stato un orgoglio smisurato nella strutturazione dell’euro, un’euforia di corte vedute, avviata dalla fine della guerra fredda e la vittoria dell’ideologia neoliberista. Questi errori sono stati aggravati dal tradimento di tutte le aspirazioni comuni transeuropee, la nozione stessa di Europa che Varoufakis ha cercato di difendere.
Questo tradimento ha risvegliato vecchi stereotipi nazionalisti di un nord disciplinato e di un sud pigro, mettendo i contribuenti europei gli uni contro gli altri, distogliendo in tal modo l’attenzione dalle élite finanziarie responsabili di questa catastrofe.
Ma oltre a tutti gli errori dell’Europa, restano le deficienze nocive dello Stato greco. Molti tra noi che hanno sostenuto Syriza speravano che il nuovo governo sarebbe stato in grado di cominciare a smantellare il sistema corrotto di favoritismo, l’evasione fiscale generale e la venalità del settore pubblico. Come aveva scritto, Varoufakis ha evocato una «cleptocrazia», un potere del furto.
Quali sono stati gli ostacoli posti per affrontare la cleptocrazia?
«Enormi! Abbiamo dovuto fare fronte a una perversa alleanza di interessi egoistici e di pratiche oligarchiche, che io chiamo il triangolo del peccato nella Grecia.
Prima di tutto le banche, le banche in fallimento che sono tenute in vita dai contribuenti greci, ma senza che i contribuenti greci possano dire una parola sul loro funzionamento.
Poi i media di massa, in particolare i media elettronici e la stampa che erano in totale fallimento. Ma erano tutti controllati dalle banche che hanno usato i soldi del loro salvataggio per sostenere i giornali e i media elettronici per assicurarsi che i media possano essere in grado di compiere il loro sporco lavoro: la propaganda.
E in terzo luogo gli acquisti, gli approvvigionamenti del settore pubblico. Per darti un esempio, un’autostrada in Grecia costa … – si ferma, fa una correzione … In passato, il costo per chilometro era tre volte di più che in Germania o in Francia. Non è che le persone lavorassero meno duramente o che le imprese private fossero meno efficienti, erano pienamente efficienti. Se vuoi sapere il perché di un costo tanto elevato non hai che da guardare a nord di Atene, e osservare le ville dove vivono i proprietari di queste imprese».
Mi ricordo di essere andato una volta a passeggio per Kifisia, uno dei quartieri più ricchi di Atene, alla fine degli anni 1980. Le case di una ostentazione superba mi diedero uno choc.
«Che cosa fa quella gente?» chiesi a mia cugina. Lei, rassegnata, toccandosi la tasca posteriore, mi disse: «Noi paghiamo per loro».
Varoufakis continua. «Oltre a questo abbiamo avuto la troika, che era in combutta con questo triangolo».
Varoufakis sta forse sostenendo che la troika era ipocrita nelle sue relazioni con il governo greco nel corso degli ultimi cinque anni? Che il nuovo governo Tsipras è stato tenuto a norme diverse da quelle applicate alle coalizioni dirette dal PASOK o Nuova Democrazia?
«La troika ha contestato i governi precedenti del PASOK e di Nuova Democrazia. Lo ha fatto a più riprese. Ma neanche una volta lo ha minacciato di sospendere la liquidità perché i governi hanno mancato di tassare in misura sufficiente gli oligarchi, o perché avevano mancato di tassare i canali televisivi, o tralasciato di colpire i grandi evasori detentori di conti bancari in Svizzera.
La troika ha minacciato di ritirare la liquidità solo se le pensioni più basse del basso della scala delle pensioni non venivano ridotte e anche se non era ridotto il salario minimo. Ha minacciato i governi precedenti solo se avessero osato dare anche solo pochi soldi in più ai più poveri dei poveri dei greci.»
Mi prese una rabbia tale che lanciai un’oscenità. In parte, la rabbia proviene dal furore contro un paese che non è riuscito a ristrutturarsi. Detesto il settore pubblico sovrabbondante che rende il posto di lavoro dipendente da chi si è votato. Non voglio trovare scusanti all’evasione fiscale endemica praticata dalla popolazione greca. Sono anche avvilito quanto chiunque da un sistema pensionistico che si è costruito sul clientelismo. Riformare questi campi è necessario, indispensabile.
La rabbia nasce anche perché una mancanza di compassione, nata da 50 anni di corruzione sistematica, colpisce adesso coloro che in Grecia sono pure gli ultimi a poterla sopportare. Lo sento qui in Australia quando amici storcono la bocca in un pio sdegno per storie di evasori fiscali e di pensionati cinquantenni.
Durante gli ultimi cinque anni, la Grecia ha subito un’esperienza radicale che ha provocato il fallimento dell’economia. Non c’è nessuna rete di sicurezza sociale, la disoccupazione, il sottoimpiego senza remunerazione sono diventati la norma.
Le pensioni erano troppo generose. Ma certo! Riduciamole. Ma se non c’è nessun sussidio, nessun lavoro, che cosa volete che faccia un cinquantenne? Morire di fame? Vi assicuro che succede.
Varoufakis percepisce il mio furore. Dice tranquillamente: «La coscienza di classe della Troika è stata sbalorditiva. Il nostro apparato statale era stato contagiato dalla Troika, molto, molto pesantemente. Lascia che ti dia un esempio. C’è una cosa chiamata Fondo Ellenico di Stabilità Finanziaria, un’emanazione dello European Financial Stability Facility [EFSF]. Era un fondo che conteneva all’inizio €50 miliardi – quando ho assunto le mie funzioni, rimanevano €11 miliardi – allo scopo di ricapitalizzare le banche greche.
Sono soldi che i contribuenti della Grecia hanno preso in prestito allo scopo di rafforzare le banche. Non ho potuto scegliere il suo AD e non sono riuscito ad influenzare il modo in cui il Fondo conduce i propri affari nei confronti delle banche greche. Il popolo greco che mi ha eletto non ha nessun controllo sul modo in cui i soldi che avevano preso a prestito sarebbero stati usati.
A un certo punto scoprii che la legge che regolava lo EFSF mi permetteva un’unica prerogativa, fissare lo stipendio di quelle persone. Mi accorsi che gli stipendi di quei funzionari erano mostruosamente alti, secondo gli standard greci. In un paese con tanta fame, dove lo stipendio minimo è caduto a €520 mensili, queste persone guadagnavano €18.000 al mese. Quindi decisi, poiché ne avevo il potere, di esercitare questo potere. Ho usato una regola semplicissima. Pensioni e stipendi sono diminuiti in media del 40% dall’inizio della crisi. Ho emesso un’ordinanza ministeriale con la quale riducevo del 40% gli stipendi di questi funzionari. Ancora uno stipendio enorme, ancora uno stipendio enorme. Lo sai che cos’è successo? Ho ricevuto una lettera dalla Troika che diceva che la mia decisione era stata annullata perché spiegata in modo insufficiente.
Così in un paese dove la Troika insiste affinché le persone che ricevono una pensione di €300 mensili debbano vivere con €100, rifiutavano il mio diritto di esercitare una riduzione dei costi, la mia capacità in quanto Ministro delle Finanze di ridurre gli stipendi di questi individui».
Varoufakis, 54 anni, ha lasciato la Grecia dopo il liceo per studiare economia nel Regno Unito. Nel 1988 ha lasciato un posto a Cambridge per ricoprire un posto universitario all’Università di Sydney. Mi dice, sorridendo, che chi l’aveva assunto pensava di avere a che fare con uno di destra perché aveva usato la teoria dei giochi e la matematica nei suoi articoli pubblicati. «In realtà, la sinistra universitaria di Sydney temeva il mio arrivo.»
Sapendo che Varoufakis è vissuto per periodi nella diaspora greca nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Australia, e ha passato del tempo con questa generazione di immigrati che sono arrivati negli anni 1950-60, gli chiedo se pensa che durante i decenni di prosperità e integrazione nell’UE, i Greci si erano dimenticati il trauma dell’emigrazione.
«Certo! Durante il periodo nel quale sono andato in Australia e fino all’inizio della crisi, ogni Australiano di origine greca che ha visitato la Grecia provava un profondo senso di tradimento. I Greci erano quasi infastiditi dagli Australiani greci. Gli ricordavano un passato quando la Grecia era povera, quando la Grecia era l’Albania degli anni 1950».
Preciso che ricordo di essermi trovato in Grecia alla fine degli anni 1990 e di aver detto ai miei cugini: «Sono l’Albanese». Ero spaventato dal razzismo noncurante che mostravano contro i migranti dell’Europa orientale. Ricordo anche che i miei genitori e altri migranti della loro generazione era sempre contadini: il sale della terra, ovviamente, ma niente in comune con la nuova Europa cosmopolita.
Allora mi ero accorto che avevo una storia diversa da quella di quei Greci. La mia apparteneva a una storia di emigrazione, non all’Europa. Varoufakis concorda.
«Ma ora che i Greci hanno ricevuto questo schiaffo dalla storia, abbiamo realizzato che tutto ciò era soltanto una facciata, che siamo sempre una nazione di migranti, che non siamo mai stati veramente nella cittadinanza europea di prima classe.»
La nuova ondata di emigrazione greca è sicuramente iniziata. Sulla via principale, vicino a casa mia, c’è una ripresa della lingua greca. Hanno 20 anni ed alcuni 30 o 40: quelli abbastanza fortunati da essere nati qui, i cui genitori hanno ottenuto la cittadinanza australiana. Chiedo a Varoufakis di riflettere sulle somiglianze e le differenze tra le due ondate di immigrazione.
«Negli anni 1959 e 60, la Grecia ha perso molto del suo capitale umano, ma si trattava di manodopera non qualificata. Il grande investimento avvenuto in Grecia dagli anni 1950 è stato nell’istruzione. Siamo diventati una nazione supremamente istruita. Abbiamo fatto pochissimo invece nel settore pubblico e nel settore privato, neanche per l’ambiente che siamo riusciti a depauperare.
Ma per quanto concerne il capitale umano, ne abbiamo creato molto, e la tragedia della crisi attuale consiste nel fatto che lo esportiamo. I giovani, ben qualificati, la cui istruzione è stata pagata principalmente dallo Stato – anche dalle loro famiglie, ma principalmente dallo Stato – offrono adesso i propri servizi nel mondo intero, inclusa l’Australia.
E questa è una forma di perdita che semplicemente non può essere recuperata. I palazzi si possono ricostruire, le strade anche, ma una tale emorragia è irreversibile.»
In mattinata, dopo la mia intervista a Varoufakis, ricevo una chiamata terrorizzata da un’amica che vive ad Atene. Non è stata pagata da mesi e il marito è disoccupato. Sono terrorizzati per il futuro dei figli. Ambedue hanno lauree universitarie; lui ha studiato nel Regno Unito. La sua voce è sommessa, appannata dalla vergogna. Si scusa ancora e ancora… Mi chiede: «Per favore, per favore, è possibile trovare un lavoro in Australia? Sono atterrita da quanto succede qui, amico mio. Sono atterrita da quanto sta per succedere.»