Atene: a pochi giorni dal voto (1)
Venerdì 18 settembre
«Se io ripenso a quella piazza, a quella tenda, com’era piena solo otto mesi fa», dice Nicoletta Dosio, esponente no Tav che, dalla Val di Susa, è venuta in Grecia per la terza volta in pochi mesi.
Stavolta è qui nella delegazione scaturita dall’appello No memorandum che, dall’Italia, ha raccolto in pochissimi giorni alcune centinaia di firme contro il memorandum e in solidarietà con Unità popolare. Ripensa al tendone di Syriza dalle parti di Akademia, la piazza dell’Univeristà. A gennaio era gremito di persone, ieri c’erano solo poche persone e lo schermo che rimandava il discorso di Tsipras alla Ert, la tv pubblica. Non si respira la stessa speranza ad Atene della vigilia della prima vittoria elettorale di Syriza, e nemmeno quello della notte del 5 luglio scorso quando il 62% dei greci votò contro il memorandum per vedersi gelare solo otto giorni dopo dall’arrivo del III memorandum.
Da allora le cose in Grecia sono rotolate ad alta velocità, Syriza è scoppiata: da una parte i sostenitori di Tsipras, dall’altra la sinistra interna (la Piattaforma di Sinistra più il Red network) che avrebbe dato vita a Unità popolare. La maggioranza del gruppo parlamentare con Tsipras e il memorandum, la maggioranza del comitato centrale e dell’organizzazione giovanile contro il ritorno della Troika e l’abbandono del programma di Salonicco. «Nel corpo militante, un terzo sta con Tsipras, un altro 30% con Lae (Laiki Enotita, Unità popolare) e altrettanti sono tornati a casa», spiega Vangelis Andoniu, della segreteria provvisoria della formazione guidata da un ex ministro di Tsipras, Panagiotis Lafazanis.
Vangelis, sulla sessantina, piccolo imprenditore edile, è stato membro del comitato centrale di Syriza. Ora partecipa alla campagna elettorale dal gazebo centrale dove si distribuiscono bandiere e altri materiali. Perché in molti rivoteranno Syriza? «Perché ancora il memorandum non si vede», dice Vangelis. Spiega che Tsipras ha voluto bruciare le tappe per arrivare alle urne col vento in poppa dei sondaggi, per provare a tarpare le ali alla sinistra ribelle (a cui ha negato perfino il diritto a un congresso) ma, soprattutto, prima che si iniziassero a sentire gli effetti del III memorandum, ossia la somma dei primi due più altre clausole capestro di autentica macelleria sociale. Missione riuscita solo in parte visto che, proprio il giorno delle urne, fra 72 ore, caleranno sulla Capitale contadini da ogni campagna della Grecia per contestare il memorandum.
Passa la troupe di una piccola tv locale, nessuno se la fila. Tutti continuano a fare quello che stavano facendo.
Settembre è il mese tradizionale delle prime manifestazioni sondacali ma quest’anno le elezioni hanno rubato la scena anche alle proteste dei lavoratori. D’altra parte la disoccupazione di massa ha fatto crollare il tasso di sindacalizzazione, soprattutto nel settore privato». Sembra che non si tocchi mai il fondo: anche nel turismo, ci viene raccontato, le condizioni di lavoro sono peggiori di prima della crisi che in quel settore non dovrebbe far sentire i suoi effetti. «Ci vorrebbe un grande dicembre», dice ricordando le manifestazioni e gli scioperi del 2008, all’alba di questa crisi infinita.
Akademia è un crogiolo di folla, turisti, ateniesi, studenti, che passano veloci e distratti accanto ai gazebi. «La gente adesso è davvero delusa e impaurita».
La tentazione all’astensionismo, l’indecisione, sono evidenti allo sguardo prima ancora che alle rilevazioni dei sondaggisti. E poi c’è l’incognita dei giovani che, ai sondaggisti, nemmeno rispondono. «Ma lo stesso era successo col referendum – continua Vangelis – che sembrava impossibile capire cosa avrebbero votato». La forbice di Lae sta fra il 3 e l’8%, gli indecisi sono l’ago di questa bilancia e in parecchi pensano che si possa dare una seconda chance al giovane leader per molti versi “pasokizzato” anche se stasera, in grande spolvero, e con lo spagnolo Iglesias al fianco, fornirà di certo un gran saggio della sua capacità retorica.
«Ma dopo sarà durissima – avverte Vangelis – i primi tagli alle pensioni ci sono già stati e l’Iva è schizzata al 23% anche nelle isole che prima pagavano solo il 12%. Ed è solo l’inizio. Dopo ottobre inizierà la sarabanda dei pignoramenti delle case. La nuova legge prevede che avvengano senza nemmeno passare per il tribunale. Basterà non pagare una rata del mutuo. Anche per la prima casa». Una legge che non era riuscita a Nuova democrazia, il partito conservatore, testa a testa nei sondaggi, ma che Syriza è riuscita a promulgare in poche settimane ad agosto. Va veloce la trattativa per svendere a un soggetto tedesco tutti gli aeroporti periferici e anche il presidente della Taiped, l’agenzia per le privatizzazioni (la Taiped, oggetto di un’incursione da parte degli anarchici solo quattro giorni fa), incalza il governo, forte dell’accordo con l’Europa, perché si velocizzi l’iter delle dismissioni del patrimonio pubblico sopravvissuto ai governi di Pasok e Nd. «Tutti ci chiediamo il perché Tsipras l’abbia fatto», va avanti Vangelis incalzato dalle domande di Nicoletta Dosio. Ora pare sia sparito anche l’argomento principe di Syriza, «la pistola alla tempia». Ora Tsipras sembra difendere quell’accordo per tranquillizzare gli interlocutori
Lae si propone di rappresentare quella maggioranza di lavoratori greci che ha votato No, l’Oxi, contro il paradosso, il miraggio ottico, di un parlamento che sembrerà ribaltare quel risultato. Su un manifesto di Lae i faccioni dei leader del Sì spiega che l’hanno voluto insieme e insieme lo applicheranno e domanda al lettore: «Li lascerai fare?». Anche i Comitati per il No, che avrebbero dovuto sedimentare i contenuti del referendum, si sono sciolti o meglio, non sono mai nati per colpa del precipitare degli eventi. «Questa tornata elettorale è proprio micidiale», commenta Nicoletta Dosio che è molto interessata a capire le dinamiche del movimento che, in Calcidica, si oppone alle devastazioni da parte delle industri minerarie. La legge, voluta da Lafazanis quand’era ministro, non è mai stata applicata fino a queste ultime settimane quando è stata rispolverata in chiave puramente elettorale: «I comitati pensano che Syriza abbia tradito il movimento», spiega Vangelis.
«Il No vincerà, to Oxi tha nikeseis», si legge su un altro manifesto di Lae che spicca sui muri di Atene. Tutti si aspettano un governo di coalizione con Syriza e Pasok o To Potami ma nessuno scommette sulla sua durata perché il memorandum è insostenibile e allora la carta sarà quella di una grosse koalition. Intanto, al gazebo, arriva una signora che scoppia a piangere mentre chiede di fare qualcosa per un ragazzo, probabilmente un tossicodipendente, che ha visto buttato in terra sul vialone.
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Per spiegare la delusione va capito quello che Yorgos ci presenta come «lo stato profondo greco, il parakratos» che i sette mesi del governo Tsipras non sembrano aver smosso: gli apparati giudiziari, la polizia, la burocrazia. Per esempio nella vicenda dei rifugiati. Gli spiega Nicoletta di quanto siamo stati colpiti in Italia per quei migranti rinchiusi nello stadio di Kos come si stesse nel Cile di Pinochet. «Bisogna ragionare isola per isola – spiega – perché l’accoglienza dei migranti dipende anche dai sindaci o dalle dimensioni di un’isola. In questi giorni il governo ha deciso di raccoglierli con delle navi che attraversano l’Egeo e li portano al Pireo da dove, in pullman, si andrà verso il confine con la Macedonia, verso il Nord Europa. Per questo le reti antirazziste chiedono con forza che venga smantellato il muro che divide Grecia e Turchia così che possano arrivare finalmente via terra senza pericolose crociere nell’Egeo.
Yorgos, un ingegnere in pensione, attivo in Dytkio e nella Lega internazionale per i diritti dei popoli, ci riceve in un caffé di fronte alla sede di Dytkio, una rete sociale che potrebbe somigliare ai nostri Cobas. Quartiere di Exarkia, impasto di movida e ribellione, sede di collettivi e crocevia di giovani e giovanissimi. In un vicino parco, in agosto, era spuntata una tendopoli di 3-400 persone presa in carico, in modo del tutto spontaneo, da un’assemblea eterogenea che ha fornito due pasti al giorno e preparato il tè ogni mattina finché non è stata pronta una struttura ufficiale per questi transitanti. «La questione dei rifugiati ci ha fatto scoprire un inaspettato senso di solidarietà molecolare e diffuso ostacolato, a volte, dai poteri locali», conclude Giorgio.
Poche ore dopo il nostro colloquio, il quartiere sarebbe stato teatro di scontri notturni tra poliziotti in tenuta antisommossa, alcuni a bordo di scooter che scorrazzavano nei vicoli, e gli anarchici che vogliono ricordare l’anniversario dell’omicidio di Pavlos Fyssas, noto cantante rap accoltellato da membri di Alba dorata. Oggi pomeriggio, in periferia ci sarà una manifestazione a cui parteciperà anche Lae.
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Da Exarkia ad Alexandras sono pochi passi ma è come varcare il confine invisibile tra centro e periferia. Nelle aiuole di un vialone a quattro corsie si tiene dopo il tramonto una manifestazione di Unità Popolare con decine di persone. Era annunciata la presenza di Zoe Kostantopoulou, ex presidente della Vouli, il parlamento greco, ma parlerà Maria Pollari di Dea (la sinistra internazionalista dei lavoratori del Red Network), a cui Tsipras, optando per il collegio di Atene, ha negato il seggio in Parlamento. Con lei Panagiotis Sotiris, che da Antarsya è passato a Unità Popolare, e Magna Papadimitrias, attrice piuttosto conosciuta, da sempre attiva a sinistra e residente nel quartiere.
La campagna elettorale di Lae è tutta giocata sull’Oxi, sulla breccia che il referendum ha aperto per la democrazia, i diritti sociali, la solidarietà. «Davvero non c’è alternativa?», si chiede Pollari spiegando – a chi si adagia sul “Tina”, there is no alternative – che è una questione di dignità, che non ci sono strade a senso unico, che altrimenti il futuro comune sarà fatto di referendum, emigrazione per i più giovani, e precarietà. «Un altro mondo che si chiama socialismo è possibile». E sarà fuori dall’eurozona, altra pietra miliare del programma di Lae, il ritorno alla dracma per rilanciare nel breve e medio periodo un tessuto produttivo desertificato dall’euro. E’ come se ci fosse tutto il peso della Grexit, in questo momento, senza nessuno dei suoi benefici.
«L’Euro non è solo una moneta ma un programma politico che inibisce politiche popolari», ricorda Maria Pollari. Sovvertire il memorandum, non pagare la maggior parte del debito così da dirottare le risorse su questioni più utili a tutti: ecco il piano alfa che nessuno ha voluto prendere in considerazione. «Le lotte torneranno sulla scena e non è vero che non abbiamo prodotto nulla: il ciclo di scioperi e manifestazioni tra il 2008 e il 2012 ha prodotto la radicalizzazione necessaria », ricorda la dirigente di Dea. I media, e lo stesso Tsipras, stanno mettendo in scena il duello all’ultima scheda fra Syriza e Nd ma il vincitore sarà il ceto politico che ha voluto il memorandum. La questione, perciò, sarà la presenza di un’opposizione in Parlamento, un «fronte popolare – dirà la Papadimitrias – contro la tempesta sistemica utile – a differenza dell’ipersettario Kke – per un eventuale nuovo ciclo di lotte e, comunque, per contrastare la depressione da memorandum che non è solo un commissariamento dei governi ma anche uno strumento efficace per alzare i margini di profitto di quell’esigua minoranza che paga salari sempre più bassi, usufruisce di detassazioni, sta per arraffare patrimonio pubblico dismesso e sta per pretendere una nuova ondata di licenziamenti di massa nel settore pubblico, uno dei 223 requisiti dell’accordo.
Anche perché di cose buone prodotte dal primo governo di sinistra dell’Eurozona non c’è quasi traccia: non sono tornati i contratti collettivi, cancellati dagli altri memorandum, non ci sono misure concrete contro la corruzione e, ha ricordato Pollari, già il lunedì successivo alla vittoria referendaria, sono iniziate le larghe intese sotto i buoni auspici del nuovo presidente della repubblica, il numero due di Nuova democrazia. Forse il maggior torto di Syriza è stato quello di non aver creduto alla voglia di lottare dei greci.
Cronaca da Atene (2)
Sabato 19 Settembre
La Grecia resta un laboratorio politico – per questo ci sono in questi giorni militanti da mezzo mondo a seguire la campagna elettorale – ma il memorandum firmato dal governo di Syriza rischia di azzerare il sedimentato di un formidabile ciclo di lotte. E’ evidente la necessità del conflitto per trasformare i processi ma la delusione è fortissima. Il memorandum è un mostro insaziabile, un pozzo senza fondo, e la stabilità politica resta un miraggio.
La sede di Dea, sinistra internazionalista dei lavoratori, organizzazione molto vicina a Sinistra anticapitalista, si trova dalle parti di Attiki, il quartiere dove ha preso corpo, prima per i migranti, poi per moltissimi greci, l’incubo di Alba dorata, partito nazista che potrebbe essere la terza forza della politica ellenica. Dalla crisi si può uscire con le lotte o con la guerra dei penultimi contro gli ultimi.
La delegazione italiana no memorandum è lì per incontrare Sotiris Martalis, uno dei responsabili delle relazioni internazionali di Dea. Ci ringrazia per la solidarietà espressa dalle centinaia di firme e da un appello che è stato subito tradotto in greco. Martalis ci chiede se è vero quanto dice Avgi, l’organo ufficiale di Syriza, che Rifondazione starebbe tutta con Tsipras.
.In realtà nella base di quel partito, ci sono compagne e compagni che hanno manifestato apertamente le divergenze dall’acritico sostegno al “ragazzo”, com’era chiamato Tsipras dai greci al tempo della luna di miele. Decine di dirigenti intermedi hanno firmato l’appello lanciato da questo sito e altri hanno dei maldipancia che, prima o poi, potrebbero esprimersi nero su bianco nel partito e nell’Altra Europa, ex soggetto unitario che pare destinato a traghettarsi nel “nuovo che avanza” di Civati, Vendola e Fassina.
Martalis ascolta le ragioni del movimento No Tav, così come le racconta con passione Nicoletta Dosio, e, a sua volta ripercorre le tappe della deriva di Syriza a partire dal congresso che Tsipras ha evitato come la peste per bruciare le tappe verso il ritorno anticipato alle urne. Un po’ per evitare che il dissenso a sinistra mettesse radici, un po’ per anticipare gli effetti del memorandum. Così da sfruttare in pieno il voto di chi ritiene che sia possibile una “gestione di sinistra” del memorandum.
Agli italiani, chi brandisce la minaccia di un possibile ritorno di Nea Dimikratia ricorda molto l’espediente retorico di chi paventava il ritorno di Berlusconi se non avesse vinto la logica del voto utile. «Proletari senza rivoluzione», commenta Nicoletta Dosio, della delegazione no memorandum, considerando con amarezza che ancora una volta bisogna accantonare «il grande sogno» per abbracciare il «meno peggio». Per lei vale quello che recitava uno striscione durante il primo corteo contro il nuovo memorandum: “H elpida fegeui, erxontai oi agines”, la speranza fugge, tornano le lotte.
C’è stata una settimana di intensa battaglia nei circoli prima dell’ufficializzazione della scissione e, alla fine, s’è dato vita a Unità Popolare, Laiki Enotita, Lae. «Una questione di differenze politiche evidenti e una questione di democrazia – spiega Martalis – magari la scissione fosse stata preparata con cura, come ci viene rimproverato dalla versione ufficiale di Syriza. Tsipras ha voluto giocare d’anticipo».
«In Brasile dopo la svolta di Lula ci sono voluti due anni perché prendesse corpo un altro soggetto politico fuori dal Pt, in Italia lo sapete bene cosa sia successo dopo le piroette di Bertinotti. Tsipras puntava alla nostra sparizione dalla rappresentanza, punta a un'”italianizzazione della sinistra”». E’ così che in Grecia sintetizzano la vicenda della diaspora di Rifondazione. Tsipras ha mostrato la stessa mancata cura di quella relazione che chiamiamo partito: il 60% dei rappresentanti regionali, la maggioranza della gioventù, tre ministri, la presidente del parlamento, la maggioranza del comitato centrale s’erano pronunciati contro la linea dell’abbandono dell’Oxi ma “il ragazzo” è andato avanti come una ruspa.
Qualcuno, al contrario, pensa che la mutazione genetica sia iniziata da lontano, all’indomani del successo alle europee. La mutazione la possiamo chiamare “pasokizzazione” – Martalis approva – perché fu all’epoca che qualcuno, nel gruppo di Dragasakis (moderatissimo e molto influente su Tsipras) teorizzò l’idea che ormai, a sinistra, più di così non si potesse sfondare, così si sarebbe dovuto andare a pescare altrove. Martalis fa i nomi, nomi controversi di personaggi legati alle stagioni oscure della socialdemocrazia che sarebbero finiti a rimpinguare le liste di Syriza per le politiche e le amministrative. Un nome per tutti, quello dell’ex viceministro della Sanità del governo Papandreu che firmò la legge che spediva in galera i sieropositivi. Era la fine degli anni 80. Ora è un candidato di Syriza a Salonicco. Con buona pace di quel che resta della Brigata Kalimera che anche stavolta ha fatto di tutto per entrare nel cono di luce proiettato dal giovane leader greco e dal suo omologo spagnolo di Podemos, Pablo Iglesias che ieri erano assieme al palco di chiusura della campagna elettorale. Con loro anche Kammenos, leader di Anel, partito di destra dei “Greci indipendenti” a cui Tsipras ha voluto offrire l’assist della sua ribalta nella speranza che anche stavolta superino lo sbarramento del 3% per entrare in Parlamento. Ad Anel erano stati affidati i ministeri chiave di Polizia e della Difesa e forse ci sarà una relazione tra questo e il fatto che le famigerate squadre di polizia continuino a scorrazzare a piedi e in motorino per manganellare ragazzini vestiti di nero nelle notti di Exarkia oppure nelle strade del Pireo, come ieri pomeriggio che in cinquemila erano andati a manifestare nell’anniversario dell’omicidio di Pavlos Fissas, in arte Killah P, popolarissimo cantante rap, antifascista, ucciso da una squadraccia di centauri di Alba dorata. Ieri proprio, il conducator dei nazi, Michaliolakis, ha ammesso in un’intervista la responsabilità politica del gesto. La madre del cantante lo ha maledetto e gli ha risposto con un verso di suo figlio: «Figurati se ho paura».
Attorno al cippo che ricorda il cantante ci sono lumini, birre, un piatto di penne al pomodoro e qualche fiore. Unità popolare è in coda al corteo con un uno spezzone di 4-500 persone, soprattutto giovanissimi. Più avanti, nell’indifferenza o nell’irritazione degli abitanti del quartiere a ridosso della Capitale, gruppi di tute nere ripetono la lugubre liturgia dei cassonetti ribaltati, delle vetrine spaccate, dei rifiuti dati alle fiamme.
Così Lae, nata dal nulla, sembra già un piccolo successo, una prospettiva per le lotte che, grazie all’invasione nella scena pubblica dell’ennesima campagna elettorale, scontano un’empasse che potrebbe sbloccarsi già la settimana successiva alle elezioni. Solo nei boschi e nelle montagne della Calcidica resiste e si fa sentire il movimento popolare che si oppone alle devastazioni dell’industria mineraria, qualcuno li ha chiamati i No Tav greci, Nicoletta chiede continuamente di loro. Il memorandum incombe, così spiegano tutti gli interlocutori di questo nostro viaggio, che siano ancora dentro o già fuori da Syriza.
Lae non sarà una seconda Syriza, sarà un fronte e i dettagli sarà possibile discuterli solo dopo le elezioni. Il cartello guidato da Panagiotis Lafazanis è composto da due soggetti centrifugati da Syriza (la piattaforma di sinistra e il Red Network di cui fa parte Dea), due gruppi che stavano in Antarsya (Aran e Aras) più altre 13 organizzazioni. Una delle differenze interne, ci viene spiegato, è sulla questione della moneta. Per Dea, uscire o restare nell’euro sarà la conseguenza di misure sociali che vengono prima: il blocco delle privatizzazioni, delle tasse sui ceti meno abbienti, della maggior parte del debito. Dea è stata più chiara di altri soggetti a rifiutare l’idea di sciogliersi nel momento in cui Syriza, da coalizione, ha voluto trasformarsi in partito. I suoi rappresentanti in Parlamento sono stati gli unici a non votare per il nuovo presidente della Repubblica, pezzo grosso di Nuova democrazia, e a rifiutare la cooptazione in posti chiave dell’Amministrazione. Ora si ricomincia da capo ma senza aver perso pezzi nella diaspora di Syriza. Si ricomincia dall’Oxi, anche se gli stessi comitati del No che avrebbero dovuto organizzare la resistenza sono stati bruciati sul tempo dall’indizione delle elezioni. Anche se si fa strada l’idea che Tsipras avrebbe preferito che avessero vinto i Sì così da essere legittimato a imporre un altro memorandum. Il 26 giugno, in un proclama, ha scritto che avrebbe rispettato qualunque cosa avessero votato i greci. Un po’ bislacco per uno che aveva stravinto sulla base di un preciso programma antiausterity.
La mutazione di Syriza Ogm è un rompicapo che nutre lo psicodramma collettivo di un popolo di sinistra costretto ad agire o ad assistere alla scissione di un partito largo che aveva sollevato moltissime speranze anche al di là dell’Egeo e dello Ionio. Chi ha governato Syriza non ne ha avuto cura, il comitato centrale è stato convocato rarissimamente e l’integrità del partito è stata sacrificata al moloch delle larghe intese per gestire il memorandum. Dentro quel partito non è raro trovare chi è perfettamente consapevole di quello che è accaduto ma che, per cultura politica e per ragioni legate alla vicenda storica della sinistra greca, non ha voluto seguire gli “scissionisti”. Il gruppo dei 53, in larga parte, è quel che resta della sinistra interna: «Se proprio dovremo uscire lo faremo tutti insieme – ci viene detto – ci sono compagni che non possono essere lasciati soli». Le dinamiche sono molteplici e complesse. Un esempio: che succederà alla rete di ambulatori autogestiti (Solidarity for all, una sorta di partito sociale) che era finanziata col 30% dello stipendio dei parlamentari di Syriza ma dove parecchi dei volontari che la animano sono apertamente contrari al nuovo corso?
La discussione prosegue fuori da sedi ormai irrespirabili, coinvolge gli ambiti della convivialità. Dopo il corteo antifascista al Pireo ci si incontra con qualcuno che è voluto andare ad assistere alla kermesse finale di Tsipras a piazza Syntagma, ci sono anche compagni del Kke. La scena finale di questo diario è ambientata nel giardino di una casa occupata da 30 in Patissia. C’è una festa per sostenere le spese mediche di una compagna ammalata. Il tavolino all’ombra di una magnolia secolare è cosparso di bottiglie. Intorno a noi ci sono tutte le nostre “guide indiane” di questi giorni, compagne e compagni generosissimi, al di là della loro collocazione. Si balla al ritmo di musiche popolari struggenti, «come un blues», ci viene spiegato.
Una di loro, ancora in Syriza, dice: «E’ meglio che il memorandum venga gestito da noi». Un altro le risponde: «Ma se sei tu a mettere la corda al posto del boia, diventi boia».
Domani si vota.
Dal “nostro corrispondente ad Atene”… (3)
Domenica 20 Settembre
“Il cuore batte a sinistra” titola “Il Giornale dei Redattori” (Efmeridi ton sintakton), esperienza di giornalismo nata dall’autogestione di chi era stato licenziato da Elefterotipia, testata vicina alla sinistra. Ma a sfogliare il numero di ieri, sabato, si trovavano paginate per quasi tutti, Pasok e Kke compresi, eccetto che per Lae, Unità popolare, coalizione di forze provenienti da Syriza (tra cui la Dea), da Antarsya e altre ancora che non avevano mai preso parte a cartelli elettorali.
Nessuna menzione neppure per l’endorsement di Varoufakis in favore di Nadia Valavani, la sua vice ai tempi in cui era ministro dell’Economia, e che si candida, appunto per Laiki Enotita, Unità popolare. Sembra passato un secolo anziché 75 giorni, da quando il docente universitario ha lasciato la compagine di governo, per la velocità che Tsipras ha impresso alla vicenda greca per impedire alla sua sinistra di mettere radici più di tanto e andare alle urne prima che il memorandum targato Syriza inizi ad avvelenare la vita dei greci.
Il comizio finale dell’ex premier tiene banco nei commenti del giorno dopo ma ci si chiede anche se quello di Varoufakis sia un assist oppure un boomerang.
L’ex ministro sembra parecchio popolare, uno che quando andava a teatro si alzavano tutti a tributargli un applauso. Ma è gente coi soldi quella che può permettersi un biglietto di questi tempi, così dice qualcuno stigmatizzando il profilo un po’ troppo mondano del personaggio. La discussione si svolge in un caffé di Exarchia, quartiere popolare e studentesco a ridosso del Politecnico, frequentatissimo da militanti dell’estrema sinistra. Tra loro, gli animatori della delegazione italiana dell’appello No Memorandum, guidata da Nicoletta Dosio, NoTav della ValSusa, a cui s’è aggiunta Eliana Como della Fiom, venuta a incontrare i sindacati conflittuali greci.
Dalle discussioni continuano a trapelare frammenti della vita quotidiana al tempo della crisi: due settimane fa sono bruciati vivi tre pazienti del principale ospedale psichiatrico dell’Attica. Le indagini sono faticosissime ma stanno facendo venire fuori con forza le carenze della sanità pubblica squassata dai precedenti memorandum, personale insufficiente, misure antincendio inadeguate, servizi in balìa dei tagli. Si reagisce come si può. Ci sono i famosi ambulatori autogestiti che, dopo la vittoria di Syriza, a gennaio, si sono messi in rete (Solidarity for all) e ora sono in rotta di collisione con il partito che guidava il governo ma che li finanziava col 30% dello stipendio dei suoi parlamentari. Non tutti hanno devoluto quella cifra ma ora si aggiungono le ricadute della scissione che complicano la vita di queste strutture di mutualismo.
C’è chi lascia Atene per tornare in campagna dove, almeno, può contare sull’economia di sussistenza delle zone rurali. Qualcun altro, invece, si è inventata la cucina sociale: ogni giorno in un posto diverso, i cittadini portano gli ingredienti, loro cucinano e si mangia tutti insieme in parchi, centri sociali. «E anche a Lesbo dove preparano mille porzioni a volta», spiega Eleni Papageorgiu, giovane ottica e responsabile della Ksm, la scuola domenicale dei migranti, un progetto di Kar, Deporta il razzismo, l’intervento antirazzista dei compagni di Dea, la sinistra internazionalista dei lavoratori.
Eleni ci spiega la condizione dei transitanti e il lavoro politico per costruire solidarietà e arginare il razzismo. Il telefono le squilla in continuazione e lei risponde a chi si offre di dare una mano dopo aver letto una delle trenta pagine fb con le quali Ksm e Kar comunicano sui social network. «E’ tutta gente che non conosciamo, che vediamo per la prima volta quando viene a sistemare con noi il magazzino dove confluiscono gli aiuti donati da altri cittadini». Da lì è partito un Tir diretto alle isole ed Eleni ci mostra con comprensibile orgoglio la foto del bisonte della strada. «Il processo è duplice: la società, con l’avanzare della crisi, è più razzista e spaventata, i media conducono campagne di intimidazione ma, dall’altro lato, i settori sociali antirazzisti e solidali si organizzano sempre di più». La scuola domenicale, che funziona da 12 anni, ha visto raddoppiare i volontari che insegnano greco, inglese e tedesco ai migranti e li aiutano a sbrigare le pratiche e altre questioni legali.
Eleni racconta un fenomeno che si potrebbe definire “solidarietà selettiva”: «C’è, ad esempio, chi viene a portarci cibo e vestiti e, nel nostro magazzino incontra bambini rom che vengono a cercare aiuto a loro volta. In parecchi si stupiscono e si arrabbiano, “ma come? noi li abbiamo portati per i profughi e voi li date agli zingari?”». Ma poi succede anche che nei sobborghi siano gli amministratori locali a opporsi alla deportazione degli insediamenti di popolazione rom. Come a Chalandri, uno dei comuni della cintura dove governa Syriza.
Prima delle elezioni, il 12 e il 16, anche Atene ha visto grandi manifestazioni di piazza legate alla vertenza degli “uomini scalzi”. Il governo ha aperto tre strutture per i transitanti (quei migranti che cercano di non farsi identificare, come previsto dal trattato di Dublino, perché cercano asilo altrove) nel Nord del paese e intorno ad Atene però, irrazionalmente, continua a identificarli tutti anche se poi li lascia passare.
Nella capitale, chi, tra i profughi afgani, non ha soldi si concentra ogni giorno in Piazza Victoria, e piazza Omonia è il punto d’incontro per chi è scappato dalla Siria. Assieme all’Italia, la Grecia è la porta d’ingresso per chi fugge dal Medio Oriente. Da Lesbo, Kos, Leros, Kalimnis la costa turca sembra quasi di toccarla. Soprattutto da Lesbo dove, una volta sbarcati, i profughi devono percorrere molti chilometri prima di arrivare a un centro abitato.
Il governo Tsipras, almeno, ha abolito la norma che equiparava agli scafisti chiunque dava un passaggio a questa povera gente. Così adesso è possibile che tutta quella strada possano farla nelle macchine dei volontari. «Ma la polizia continua a fare problemi a chi scappa e a chi porta solidarietà», continua Eleni. Nessuna traccia della promessa elettorale di sciogliere almeno i Mat, le squadre più feroci di poliziotti picchiatori.
La polizia non è stata intaccata dalla breve stagione della sinistra al governo e i giornali di oggi riportano la notizia dell’irruzione dei robocop ellenici in case private di Keratsini, a caccia di manifestanti nel sobborgo del Pireo dove si teneva la commemorazione di Pavlos Fyssas, il cantante rap ucciso da sgherri di Alba Dorata. La notte prima, i Mat erano entrati in azione anche a Exarchia contro giovanissimi anarchici sospettati di aver preso parte a un’azione dimostrativa contro la locale caserma della polizia. Video e foto documentano visi sfigurati di ragazzini. La versione ufficiale è piuttosto grottesca: “tafferugli corpo a corpo dopo l’arresto”.
Ad Atene e nelle isole, Alba dorata prova a soffiare sul fuoco ma abitanti e rifugiati hanno lo stesso programma: fare in modo che quella gente possa transitare al più presto verso Nord.
Anche il movimento antirazzista, specularmente a quanto avviene a sinistra, è piuttosto frammentato e litigioso ma la richiesta è quella di guastare la festa agli scafisti abbattendo il muro che separa il confine di terra con la Turchia.
Eleni ci conferma che i sindaci hanno molta responsabilità sulla qualità dell’accoglienza nelle isole. Come a Kos dove, oltre a concentrarli in uno stadio, come Pinochet, il sindaco di Nuova democrazia ha anche sigillato i bagni pubblici. Lesbo, governata dal Kke, è l’isola più vicina e più toccata dall’emergenza. Un mese fa c’erano 17mila profughi, ora – grazie alla semplificazione delle pratiche e alle condizioni del mare più difficili – quel numero è diminuito ma è tutt’altro che finito l’intreccio tra crisi umanitaria frutto della guerra e crisi umanitaria determinata dai memorandum, il nome della guerra ai poveri nell’Europa della Troika.
Fra poche ore ogni greco, ogni soggetto politico e sociale, farà i conti con gli scenari disegnati dai risultati elettorali.