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mattbetrNei primi mesi del 2015 la commissione pianificazione ospedaliera (CPO) aveva, di fatto, smentito il Consiglio di Stato sui punti essenziali del messaggio con il quale esso aveva presentato (nel maggio 2014) il progetto di pianificazione ospedaliera.

Aveva infatti reso pubblico (e inviato al governo), quello che era stato definito un “Pre-rapporto” nel quale le proposte principali del messaggio governativo venivano di fatto bocciate senza appello: gli istituti di cura, la lista delle attribuzioni delle specialità e l’apertura al privato.
Se nella sostanza il rapporto sconfessava la proposta del governo, nella forma esso appariva molto più prudente. Il contenuto della presa di posizione della CPO avrebbe voluto, dal semplice punto della tradizionale tecnica parlamentare, che il messaggio fosse rinviato al governo. Invece si optava per una forma singolare di “pre-rapporto”, né carne né pesce nella sua forma, che contestava il contenuto della posizione governativa, non volendo tuttavia trarne le conseguenze politiche.
Le ragioni di questa posizione, le abbiamo a più riprese pubblicamente segnalate, sono evidenti a chiunque voglia seriamente ragionare ed erano attinenti al fatto che le elezioni cantonali erano imminenti. La critica del messaggio implicava, di fatto, l’intero governo che aveva, unanimemente, approvato il messaggio. La paura da parte di tutti i partiti di perdere consensi alle vicine elezioni cantonali era tanta.
Ora le elezioni sono alle spalle, si può gettare la maschera e cercare di forzare la mano nel tentativo di ridurre le cure sanitari, e creare le premesse per permettere al privato e alle sue logiche di profitto di guadagnare ulteriori posizioni in un settore ospedaliero nel quale ha già una rispettabile posizione di forza, unica nel contesto nazionale.
Ridurre l’offerta sanitaria in Ticino, tramite la chiusura degli ospedali di Acquarossa e Faido, e diminuire la qualità di questa offerta, sono scelte che si inseriscono nella logica della politica di taglio alla spesa e di austerità permanente che, di fatto, tutti i partiti politici hanno portato avanti o tollerato negli ultimi anni. Ed ora, con la nuova legislatura il livello dell’attacco aumenta. Il settore ospedaliero è il primo esempio, altri arriveranno nei prossimi mesi.
Dare in pasto al privato settore dell’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC) e gli ospedali pubblici si inserisce in una logica capitalista di privatizzazioni di settori pubblici, così come è già avvenuto per posta e telecomunicazioni, ferrovie ed energia. Il tutto con l’obiettivo di introdurre una logica di profitto tale da valorizzare adeguatamente e in modo concorrenziale rispetto ad altri settori il capitale che decidesse di entrarvi. Il settore ospedaliero, e quello sanitario più in generale, da questo punto di vista è estremamente interessante e nel futuro lo sarà ancora di più.
Come dicevamo le elezioni cantonali sono alle spalle e dunque l’attacco al settore ospedaliero pubblico può riprendere senza eccessive preoccupazioni. Il primo segnale in questa direzione lo ha dato il Consiglio di Stato, riconfermando, per la quarta volta in modo unanime, la sua proposta originale. E la CPO, nella sua stragrande maggioranza, ormai libera da preoccupazioni elettorali si sta adeguando, e con grande velocità, agli orientamenti del governo. Si tratta, per la sua maggioranza che spinge in questa direzione, di un cambiamento di posizione di 180 gradi rispetto a quanto scritto e sostenuto nel pre-rapporto del mese di febbraio 2015 ed in numerosi scritti e prese di posizione. Nulla di sorprendente, almeno per noi: avevamo fin dall’inizio subodorato una sorta di posizione strumentale dei rappresentanti dei partiti di governo presenti in questa commissione. Più che la protezione della medicina pubblica, degli ospedali pubblici, della difesa di Acquarossa o Faido, a costoro interessava la difesa dei loro interessi elettorali…
Vediamo più da vicino alcuni dei temi sui quali il governo mantiene la propria posizione e la CPO…si adegua.

 

Attribuzione delle specialità

L’attribuzione della specialità (dei mandati) è il “cuore” della pianificazione ospedaliera. Possiamo anzi dire che la pianificazione ospedaliera si risolve sostanzialmente in questa decisione. Essa prende la forma di un paio di articoli di legge ai quali è allegata una tabella nella quale sono indicate le varie specialità (125) erogate dagli ospedali ticinesi e la loro ripartizione per singolo ospedale. La pianificazione consiste di fatto nell’assegnazione ad ogni ospedale le diverse specialità. L’assegnazione di una specialità significa il riconoscimento del finanziamento parte delle casse malati e del cantone.
In base alla legge la ripartizione deve avvenire secondo una serie di criteri oggettivi, tra i quali la qualità delle prestazioni, l’economicità, la distribuzione equa sul territorio, favorendo una presa a carico capillare per le cure di base, il contributo alla formazione professionale del personale medico ed infermieristico, ecc.
Tutti coloro che si sono espressi sulla procedura d’attribuzione delle specialità hanno sollevato enormi dubbi che l’operazione sia avvenuta con dei criteri oggettivi. Al punto che la Commissione Pianificazione Ospedaliera nel suo pre-rapporto aveva di fatto rinviato al Consiglio di Stato la pianificazione con parole nette: ” La CPO non vuole mettersi a correggere singole attribuzioni in quanto non dispone delle competenze tecniche necessarie ma si deve limitare a rinviare la proposta al mittente, con l’indicazione che la definizione di dettaglio dei mandati deve essere discussa, e nel limite del possibile condivisa, con i responsabili medici settoriali e sgombrare cosi il campo in merito ai criteri decisionali adottati”: più chiaro di cosi! Si invitava quindi il governo a presentare una nuova attribuzione dei mandati entro la fine del 2015. In poche parole a rifare la pianificazione!
Nel frattempo la Commissione Pianificazione Ospedaliera come per incanto ha cambiato posizione e si appresta ad invitare il Gran Consiglio ad approvare l’attribuzione di mandati, con conseguenze sulla medicina pubblica gravi e forse irreversibili.

 

L’inizio della fine per l’ Ospedale San Giovanni

L’atteggiamento del Consiglio di Stato verso l’Ospedale San Giovanni è di un cinismo drammatico. Da una parte, nel messaggio sulla pianificazione, si definisce il San Giovanni ospedale di riferimento per il Sopraceneri. Dopo di che si propone di chiudere gli ospedali di Acquarossa e Faido che di fatto sono dei reparti di medicina del San Giovanni. Uno strano modo di potenziare un ospedale che, già oggi, soffre di carenza di posti letto in medicina (a volte pazienti di medicina finiscono in ostetricia o in altri reparti per mancanza di posto).
La prima immediata conseguenza di questa decisione sarà un ulteriore intasamento del reparto di medicina e del Pronto Soccorso. I letti di medicina verranno dimezzati, passando da 157 a 83 per il fabbisogno di oltre 80’000 persone residenti nella regione (Bellinzona, Tre Valli e Moesano). Il Pronto Soccorso del San Giovanni da parte sua, non avrà più le due valvole di sfogo di Acquarossa e Faido e verrà caricato di ulteriori 5000 pazienti annui.
L’Ospedale regionale di Bellinzona verrà inoltre privato di diverse specializzazioni svolte fino ad oggi che sono fondamentali per un ospedale che dovrebbe essere il riferimento per il Sopraceneri. Tra le altre la chirurgia della tiroide, la geriatria multidisciplinare complessa, l’ortopedia protesica, ecc.
Sappiamo che, per far avallare tutto questo, si è avanzata l’idea (con dichiarazioni dell’EOC e richiami da parte dello stesso governo) che Bellinzona verrebbe “ricompensata” ospitando l’ospedale pediatrico cantonale, diventando cioè punto di riferimento del Cantone in una serie di aspetti specialistici legati alla pediatria. Anche in questo senso andrebbero i recenti investimenti di ampliamento decretati dall’EOC.
Ma a nessuno sfugge il fatto che il prospettato centro madre-donna-bambino, che dovrebbe nascere nel Luganese dalla collaborazione tra lo stesso EOC e il gruppo Genolier, nell’ambito di quella collaborazione privato-pubblico sempre più spinta ed auspicata dallo stesso messaggio sulla pianificazione ospedaliera (e oggetto di proposte di modifica dalla legge sull’EOC), rappresenta a medio termine un pericolo reale per la esistenza di specializzazioni pediatriche distaccate a Bellinzona.

 

Pubblico e privato
Il messaggio del Consiglio di Stato sulla pianificazione ospedaliera accanto alla proposta degli istituti di cura e la ripartizione delle specializzazioni propone pure una modifica radicale della Legge sull’Ente Ospedaliero Cantonale ( EOC). Una modifica radicale che di fatto significa la fine della sanità pubblica nel Canton Ticino. Si propone di abolire la chiara indicazione di una presenza degli ospedali pubblici sul territorio cantonale: Mendrisio, Lugano, Locarno, Valle Maggia, Bellinzona, Acquarossa e Faido. Un’ulteriore conferma, se ancora fosse necessario, che gli ospedali di Acquarossa e Faido scompariranno. Accanto a ciò si vuole introdurre nella legge la possibilità per l’ente pubblico di costituire delle nuove società, con personalità giuridica autonoma, in compartecipazione con aziende private.
Tale modifica ha lo scopo di permettere di dare un quadro legislativo ai progetti che da alcuni anni la direzione dell’EOC, con la supervisione del Consiglio di Stato, sta sviluppando con il gruppo immobiliare-sanitario Genolier alfine di costituire una struttura sanitaria non più pubblica nell’ambito della pediatria ed ostetricia. Il progetto, sul quale si sono già fatti passi concreti nel lavoro di pianificazione, riguarda il centro madre-donna-bambino che dovrebbe sorgere a Sorengo di fianco alla clinica St.Anna. Analogo discorso nel Locarnese dove sono presenti un ospedale pubblico, La Carità, ed una clinica privata, la Santa Chiara. Tutti gli addetti ai lavori riconoscono che di fatto la Santa Chiara è in esubero. Ragionevolmente il Consiglio di Stato avrebbe dovuto proporre di non più inserire la Santa Chiara nella lista delle specializzazioni, escludendola cioè dalla pianificazione ospedaliera. Ed invece è avvenuto il contrario. Il Consiglio di Stato, concedendo sia alla Carità che alla Santa Chiara le stesse specializzazioni, obbliga l’ospedale pubblico a iniziare una trattativa per definire un ospedale unico regionale allo stesso livello. Una situazione paradossale che avvantaggia la clinica privata, la quale attualmente non svolge tutte le specializzazioni concesse e che non ha in nessun modo il livello di competenze e qualità della Carità.
Inoltre questa decisione di istituire delle personalità giuridiche “miste” affonda definitivamente l’idea di far rientrare il Cardiocentro sotto il cappello dell’EOC al momento della scadenza della concessione nel 2025.

Anche per l’Ospedale regionale di Mendrisio il destino appare segnato

Le modifiche alla legge sull’EOC ed i progetti privato-pubblico nel Luganese avranno delle chiare ripercussioni anche sull’Ospedale di Mendrisio. A termine i reparti d’ostetricia e di pediatria rischiano di essere messi in discussione e di essere trasferiti nella nuova struttura prevista nel Luganese. D’altronde non è lo stesso direttore dell’EOC che, da tempo, va ripetendo che nessun reparto di maternità con meno di 200 parti all’anno può essere giustificato e quindi “mantenuto”? Analoga sorte per il Pronto Soccorso. Una riflessione in questo senso è già stata oggetto di studio da parte della direzione dell’EOC. Grazie anche all’iniziativa popolare del MPS “Giù le Mani dagli Ospedali” per il momento il progetto è congelato ma è nella logica della politica dell’EOC andare in questa direzione. Se si possono chiudere i Pronto Soccorso di Acquarossa e Faido che distano da Bellinzona molto di più di quanto non disti Mendrisio da Lugano, perché non si può pensare di chiudere anche il Pronto Soccorso della Beata Vergine?

 

Istituti di cura

Uno dei temi di grande dibattito riguarda la creazione dei cosiddetti Istituiti di cura, strutture nelle quali i pazienti, superata la fase acuta del loro ricovero, sarebbero seguiti ancora per un certo tempo. Il governo, nel messaggio, propone una nuova legge che disciplini la creazione e il funzionamento degli istituti di cura.
Con questa proposta in realtà si vuole smembrare parte del settore ospedaliero. Secondo la visione del governo parte delle cure stazionarie erogate attualmente in alcuni ospedali (tra cui Acquarossa e Faido) o reparti ospedalieri non dovrebbero rientrare nell’ambito ospedaliero: da qui la constatazione che vi sarebbe un esubero di 250 letti. Questi ospedali (ed i loro Pronto Soccorso) dovrebbero venir chiusi e trasformati in istituti di cura con una dotazione di personale medico ed infermieristico molto più basso dell’attuale. Per rispondere alle critiche relative al fatto che in realtà oggi questi letti sono letti ospedalieri e quindi fanno parte della dotazione di letti acuti (come nel caso di Acquarossa e Faido), il governo ha cercato di far credere che nell’ambito degli istituti di cura sarebbe stato possibile offrire ancora le stesse prestazioni mediche che oggi offrono gli ospedali di Faido e Acquarossa attraverso i loro reparti di medicina e di pronto soccorso.
La critica frontale degli istituti di cura ha, fin dall’inizio, dominato i lavori della CPO. Tant’ê vero che a più riprese sono stati messi in luce gli aspetti poco chiari dal punto di vista legislativo di queste strutture, le difficoltà a combinare questi istituti con la presenza di un’assistenza come quella offerta dai reparti di medicina presenti a Faido e Acquarossa, la minore dotazione di medici e infermieri di queste strutture, la necessità che queste strutture continuassero ad essere sottoposte alla LaMal e quindi fossero finanziate dalle casse malati. In questo senso la CPO aveva avanzato una proposta alternativa, rientrante nell’ambito ospedaliero e definita con la formulazione “settore acuto di minor intensità (Letti AMI)”. A mente della CPO ogni futura struttura AMI avrebbe dovuto ricevere uno specifico mandato integrato nel contratto di prestazione dell’istituto ospedaliero nel quale sarebbe inserita.
Ora, sembra che tutta queste discussioni e contestazioni non ci siano mai state. Il governo ribadisca la sua posizione minimalista (di fatto ripropone, attraverso gli istituti di cura, una sorta di case anziani medicalizzate) e la stragrande maggioranza è pronta a seguire il governo nella riproposizione della sue tesi, accontentandosi di avallarne proposte e prospettive.
Questo orientamento della CPO si manifesta da un lato attraverso l’accettazione dell’idea di istituire comunque una specifica legge cantonale per le cure di bassa intensità, avallando così la tesi di fondo del governo che esse debbano essere separate dall’ambito ospedaliero; dall’altra parte, cercando di far credere alla popolazione ticinese che in questi istituti le cure medico ed infermieristiche sarebbero uguali a quelle oggi erogate ad Acquarossa e Faido. Un simile scenario darebbe al Consiglio di Stato la possibilità, appena la pressione pubblica sarà scemata, di ridurre ulteriormente la dotazione medico-infermierista.
Una cosa è però certa. Indipendentemente da come andrà a finire le casse malati utilizzeranno le argomentazioni del Consiglio di Stato – vale a dire che buona parte dei pazienti degenti ad Acquarossa e Faido non sono da considerare nell’ambito delle cure ospedaliere – per contestare il pagamento di prestazioni e fatture ospedaliere. Le conseguenze ricadranno ancora una volta sui cittadini-pazienti.

 

Pronto soccorso di Acquarossa e Faido

La conseguenza della chiusura degli ospedali di Acquarossa e Faido avrà come conseguenza la chiusura dei relativi Pronto soccorso. Dopo diverse arrampicate sugli specchi da parte del consigliere di stato Paolo Beltraminelli per cercare di convincere i ticinesi del contrario, negli ultimi mesi si è cercato di raffazzonare, senza però riuscirci, una soluzione alternativa. In corso d’opera la definizione di questa soluzione ha cambiato due volte di nome: in prima battuta Centro Medico d’Urgenza (CMU) e successivamente Centro di Primo Soccorso (CPS). Per evidenti e oggettive ragioni non vi sono alternative agli attuali Pronto Soccorso. La conclusione è dunque semplice: se i due ospedali verranno chiusi e trasformati in istituti di cura (o in strutture simili) la popolazione delle Tre Valli dovrà far capo al già intasato Pronto Soccorso di Bellinzona.
Anche in questo caso, sostenendo il governo, la CPO viene meno alla sua posizione precedente, che chiedeva comunque di riconsiderare la possibilità di mantenere dei raparti di medicina (e quindi una struttura ospedaliera) laddove si fosse dimostrata, come nel caso di Acquarossa, assolutamente necessaria a rispondere alle esigenze della popolazione e ben diversa dalle prestazioni che possono essere fornite da un istituto di cura né tantomeno alcuni letti “acuti” senza nessuna prospettiva seria di sopravvivenza a medio termine.

 

L’iniziativa “Giù le Mani dagli Ospedali”

In realtà il messaggio, in particolare con la ridefinizione del sistema ospedaliero cantonale, sviluppa una visione radicalmente diversa da quella proposta dall’iniziativa.
L’iniziativa popolare dell’MPS, pure oggetto di discussione della Commissione Pianificazione Ospedaliera, è oggi l’unico strumento a difesa della sanità pubblica. Non solo propone che gli ospedali regionali mantengano la propria forza, ma chiede che si caratterizzino anche in futuro per la permanenza di una medicina di prossimità fondata sulla presenza di una serie di reparti e prestazioni di base che gli ospedali dovranno fornire.
Inoltre l’iniziativa MPS, con la proposta di creare poliambulatori, sia negli ospedali regionali che in quelli di zona, risponde all’offensiva in atto ormai da tempo da parte della medicina privata su questo terreno. Dopo la felice esperienza di Chiasso, lo stesso gruppo privato annuncia un nuovo centro a Lugano (in collaborazione – per la risonanza magnetica – con l’EOC) ed a Bellinzona. Inoltre, di fronte allo smantellamento delle strutture sanitarie nelle Tre Valli, l’iniziativa MPS resta l’ultima possibilità di contrastare tale tendenza. Per tutte queste ragioni l’iniziativa “Giù le mani dagli ospedali” si configura come un vero e proprio controprogetto ad una pianificazione ospedaliera che vuole di fatto razionare strutture e prestazioni ospedaliere, ristrutturando e concentrando le strutture ospedaliere, aprendo ulteriormente al settore privato: il tutto nella prospettiva di contenere i costi ospedalieri sulle spalle della qualità e della quantità (aspetti intimamente legati) delle prestazioni offerte ai pazienti.