Nel mese di aprile 2015, un soldato greco è comparso sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo per avere salvato la vita a molti rifugiati al largo di un’isola greca. Soprannominato «l’eroe greco della spiaggia», Antonis Deligiorgis era stato più modesto: «Veramente non ci ho pensato neanche un secondo, ho fatto quello che dovevo fare». Non è l’unico. Nelle isole greche di Leros e Lesvos, reti locali di residenti lavorano ventiquattro ore su ventiquattro per fornire cibo, abiti asciutti e riparo ai rifugiati nuovi arrivati.
L’umile compassione che dimostrano Antonis e gli isolani contrasta fortemente con la posizione della maggior parte dei governi, il cui principale obiettivo sembra essere di tenere rifugiati e migranti lontano dalle loro frontiere.
Di fronte alla peggiore crisi di rifugiati da decenni, i paesi ricchi chiudono le loro porte ai 19,5 milioni di rifugiati del mondo, spingendoli nelle grinfie di bande criminali che approfittano della loro disperazione. La causa del problema non sono gli scafisti, sono i governi che agiscono senza la elementare decenza umana che dimostrano tante persone come Antonis Deligiorgis.
Il 15 giugno 2015, Amnesty International ha dichiarato che la situazione dei rifugiati nel mondo non era stata così tragica dalla fine della Seconda Guerra mondiale, 70 anni fa. La crisi in Siria è la più grande catastrofe umanitaria del nostro tempo: quattro milioni di rifugiati lottano per sopravvivere nei paesi vicini, e 7,6 milioni di persone sono sfollate all’interno del paese. Altrettanto devastanti sono conflitti meno mediatizzati: tre milioni di rifugiati fuggono gli abusi ai diritti umani commessi nel Sud Sudan, in Nigeria, nel Burundi e in altre regioni dell’Africa sub sahariana.
Queste persone fanno quello che farebbe ognuno di noi se fosse preso nella trappola di una situazione insostenibile: fuggono. E per riuscirci sono pronti a tutto. A volte hanno solo più una cosa da perdere: la vita.
È shoccante vedere che i paesi più ricchi del globo danno solo un aiuto estremamente limitato a quanti cercano di fuggire dai paesi dove i loro diritti e la loro vita sono in pericolo. La comunità internazionale offre denaro, ma non in misura sufficiente per gestire questa crisi di un’ampiezza senza precedente. Ancora più importante, i paesi ricchi si mostrano avari quando si tratta di proporre ai rifugiati un nuovo inizio, nel quadro di un programma di reinsediamento.
Quindi, i paesi che si assumono la responsabilità di questa enorme crisi sono in generale i meno in grado di farlo: l’86% dei rifugiati del mondo vive in paesi detti in via di sviluppo. La Turchia, il Pakistan e il Libano accolgono più di un milione di rifugiati ciascuno. Il numero totale dei posti di reinsediamento destinati ai rifugiati venuti dalla Siria rappresenta poco più del 2% del numero di rifugiati che vivono nei vicini paesi di accoglienza. Nel 2013, meno di 15.000 rifugiati originari di tutto il continente africano sono stati reinsediati.
I programmi di reinsediamento dei paesi ricchi si dimostrano totalmente inadeguati. L’assenza di mezzi sicuri e legali per trovare rifugio uccide letteralmente le persone.
Ogni anno, migliaia di persone muoiono nel tentativo di cercare asilo. Muoiono di fame e di violenza, di annegamento, di disidratazione e di malattia.
Nell’aprile 2015, più di un migliaio sono morti in soli 10 giorni tentando di raggiungere l’Europa. A maggio 2015, migliaia di persone sono rimaste bloccate in mare su barche per settimane al largo della costa della Thailandia, della Malesia e dell’Indonesia, mentre questi paesi li respingevano in mare aperto o discutevano delle misure da prendere.
L’indignazione generale suscitata da questa terribile situazione ha costretto i governi ad agire, controvoglia.
La Malesia e l’Indonesia hanno infine annunciato che avrebbero permesso di sbarcare a 7000 persone che si trovavano ancora in mare, ma questa protezione temporanea sarà valevole solo se la comunità internazionale partecipa agli sforzi di rimpatrio o di reinsediamento.
Il dispiegamento di navi supplementari nel Mediterraneo da parte dei governi europei dà qualche risultato, poiché il numero di morti è nettamente diminuito da sei settimane. Ma per ridurre il numero di persone che rischiano la loro vita in mare nelle mani degli scafisti, bisogna che gli Stati dell’Unione Europea accettino di reinsediare un numero significativo di rifugiati e apprestino itinerari più sicuri a destinazione dell’Europa.
Rispetto alle lacune evidenti della risposta della comunità internazionale a questi tipi di tragedie, molti governi sembrano voler stornare l’attenzione dalle proprie manchevolezze facendo della crisi mondiale dei rifugiati una questione di tratta o di traffico di esseri umani. Hanno ragione ma non nel senso che intendono loro. Secondo i governi, il problema sarebbero i trafficanti e gli scafisti. In realtà, il traffico e la tratta di esseri umani sono la conseguenza, la causa principale è l’azione inadeguata dei governi.
Quando le persone sono disperate, niente può impedire loro di partire. I governi si assumono una responsabilità morale nell’impedire loro di utilizzare mezzi sicuri e legali, in tal modo costringendoli a fare ricorso ai servizi di scafisti o esponendoli allo sfruttamento da parte dei trafficanti.
Le azioni dei governi contrastano fortemente con il comportamento dei cittadini ordinari e delle comunità, che molto spesso trattano i nuovi arrivati con la dignità che tanto palesemente manca alle politiche ufficiali di molti governi. La migrazione è sempre stata parte della condizione umana. Impedire alle popolazioni di circolare, e punirle quando lo fanno, è vergognoso e votato al fallimento.
I governi devono porre fine alla loro congiura dell’indifferenza e affrontare la crisi mondiale dei rifugiati, cominciando a impegnarsi fermamente prima di tutto a salvare delle vite. Le richieste urgenti di finanziamento e reinsediamento sono ragionevoli e realizzabili. I rifugiati non hanno bisogno di eroismo, ma semplicemente di essere trattati con elementare decenza umana.