Tempo di lettura: 7 minuti

brc3a9sil-mst-photographieJoão Pedro Stedile è il dirigente storico del Movimento dei lavoratori rurali senza terra (MST). All’inizio dei quest’anno, la sua “opposizione” al governo di Dilma Rousseff consiste nel denunciare «l’infiltrazione capitalistica» nel governo da parte dell’ex proprietario di Bradesco Asset Management, Joaquim Levy, nominato ministro delle Finanze da Dilma Rousseff.

Questa scelta di Dilma e dei suoi alleati – per non dire di coloro che ne garantiscono la posizione – era coerente con un indirizzo di austerità e di controllo “disciplinare” della forza lavoro (si veda al riguardo l’importante articolo del 10 luglio 2015, su questo stesso sito, sull’abbassamento dell’età penale da 18 a 16 anni). Dopo una campagna elettorale polarizzata – con a fronte il candidato Aécio Neves, del Partito socialdemocratico brasiliano (PSDB) – Dilma ha applicato, per l’essenziale, il programma del suo concorrente.

Al termine del primo semestre di quest’anno, il presidente della Camera dei deputati, Eduardo Cunha, del PMDB (Partito del movimento democratico brasiliano), ha annunciato che avrebbe chiesto al Congresso del suo partito, di rompere con il governo di Dilma. C’è, in questo, una singolare manifestazione di un sistema presidenziale che non riesce ad avere la maggioranza parlamentare se non grazie all’organizzazione di alleanze, che poi vanno ricompensate. In altri termini, remunerate con posti, partecipazione a operazioni di privatizzazioni e agli appalti, e così via. Senza contare che settori regionali, politico-religiosi (evangelici, ad esempio) bussano tutti alla porta. Nell’attuale contesto, il carattere reazionario ostentato da Eduardo Cunha è un aspetto del gioco di ricatti/ricompense. Si apre dunque un periodo di “minacce” politiche circa la redistribuzione dei benefici che possono riceve il PMDB (e soci), un partito che articola da tempo la propria politica intorno all’asse presidenziale e ai vantaggi che ne ricava. Il tutto, in un quadro in cui il ciclone della corruzione mina il sistema politico-istituzionale.

Lo sbocco dipenderà dalla valutazione che esprimeranno i settori dominanti del capitalismo brasiliano sul giovamento o meno di spingere oltre la campagna per cacciare Dilma. Per il momento, ritengono vantaggioso lasciare le cose come stanno. Quanto all’emergere di un polo politico e sociale di massa – in grado di affrontare una mobilitazione delle dimensioni di quella del giugno 2013 – non sembra ancora inserita in agenda, malgrado iniziative settoriali significative (Conlutas, Movimento dei senzatetto…). Viceversa, l’organizzazione delle Olimpiadi estive di Rio de Janeiro (agosto 2016) si annuncia con la grancassa: 67.000 persone sono già state estromesse dalle rispettive abitazioni.

Nell’intervista [qui riportata solo in parte] a Brasile de Fato (molto vicino al MST), in piena crisi economica e politica; João Pedro Stedile deve convenire che «la riforma agraria non è avanzata di un passo nella costruzione di un programma alternativo». Nella parte non tradotta di questa intervista, egli rileva che «la riforma agraria è paralizzata», come elemento della «mancanza di un progetto per il paese» e del blocco del bilancio.

Insiste sull’assenza di sostegni, sia in termini di alloggi («mancano» 100.000 case) sia di assistenza tecnica. Ma, soprattutto, pone l’accento sulla necessità di un nuovo paradigma di riforma agraria, la cosiddetta «riforma agraria popolare», che vada oltre la «trasformazione democratica dell’accesso alla terra» e che «dia la priorità alla produzione di alimenti sani per la popolazione», cosa che implica una nuova base tecnologica per un’«agricoltura ecologica». Tuttavia, senza i restanti settori sociali, «il MST, da solo, non può fare passi avanti».[Redazione di A l’encontre]

 

Brasil de Fato: Come vede lo scenario politico brasiliano?

João Pedro Stedile: Il Brasile sta attraversando un periodo storico assai difficile e complicato. Nel dibattito che abbiamo avuto nel quadro delle riunioni plenarie con i movimenti popolari, riteniamo di stare attraversando tre gravissime crisi.

La prima è quella economica, con la paralisi dell’economia, il mancato sviluppo dell’industria, segnali di disoccupazione e caduta dei redditi dei lavoratori.

La seconda è la crisi sociale, con problemi che non smettono di aumentare, specie nelle grandi città: in particolare, la mancanza di alloggi e trasporto pubblico, l’aumento della violenza contro i giovani nelle periferie, e le migliaia di giovani che non riescono ad accedere all’università. Gli 8 milioni di giovani che si sono iscritti all’ENEM (Esame nazionale di scuola media, tappa obbligata per l’ingresso nelle università pubbliche brasiliane), ad esempio, si sono disputati soltanto 1,6 milioni di posti. E dove vanno a finire quelli che non sono riusciti a entrare?

La terza crisi è la grave crisi politica e istituzionale, generata dal fatto che la popolazione ormai non riconosce più la legittimità e la “leadership” dei politici eletti. Lo si deve al sistema elettorale, che permette alle aziende di finanziare i propri candidati. Per darvene un’idea: le 12 maggiori imprese, da sole, hanno eletto il 70% del parlamento. Questo ha generato l’ipocrisia degli eletti e un’insormontabile distorsione politica. Ciò si riflette nelle leggi adottate dal parlamento e nelle idee che i parlamentari sostengono, idee che non hanno più nulla a che vedere con gli elettori. Ad esempio: nella società brasiliana abbiamo il 51% di donne. Si è presentato un progetto che andava nel senso di garantire un 30% di rappresentanza femminile, ma lo hanno bloccato. E adesso, riusciremo almeno a conservare l’attuale 9%?

 

Che ne pensa delle proposte di superamento di questo scenario che predominano attualmente nel dibattito ufficiale?

Le classi dominanti, quelle che detengono il potere economico nella nostra società, sono abbastanza intelligenti. Non per nulla governano da 500 anni. Esse hanno percepito la gravità della crisi e perciò hanno abbandonato il patto di alleanze di classe stretto con i lavoratori. Questo patto è rappresentato dall’elezione di Lula e di Dilma,che ha avuto come risultato il programma “neo-sviluppista”.

Il “neosviluppismo”, come programma governativo, è ormai esaurito. I settori della borghesia che ne facevano parte e ne beneficiavano sono usciti di scena e scommettono ora su un programma diverso. Il programma di questo settore per uscire dalla crisi è sostanzialmente questo: si sostiene il ridimensionamento dello Stato al minimo (ricorrendo a “mascherature” quali il taglio dei ministeri); meno intervento statale nell’economia ed eliminazione dei diritti legati al lavoro, con l’obiettivo della riduzione del costo della manodopera e la ricerca di elevati saggi di profitto nella prospettiva di un’accresciuta competitività sul mercato mondiale. Un elemento essenziale è inoltre il riallineamento agli Stati Uniti dell’economia e della politica estera. Per questo criticano le politiche dei BRICS [acronimo inventato nel 2001 dalla banca Goldman Sachs per indicare Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica], dell’UNASUR [Unione delle nazioni sudamericane], e del Mercosur [Mercato comune del Sud, creato nel 1991], sostenendo apertamente il ritorno dell’ALCA [zona di libero scambio che comprende i 34 paesi delle Americhe ad eccezione di Cuba].

È il programma della classe dominante per uscire dalla crisi, che altro non è se non il ritorno al neoliberismo. E per raggiungere quegli obiettivi, essa muove i propri operatori politici negli spazi in cui detiene una totale egemonia, come avviene per il Congresso nazionale [parlamento], il Potere giudiziario e i mezzi di comunicazione di massa borghesi. Questi tre poteri stanno agendo, in maniera stabile e articolata tra loro, per l’attuazione di un tale programma. E il partito ideologico che articola questa unità tra i tre spazi è il canale televisivo Globo.

 

Il governo ha preso varie iniziative di politica economica, ha dettato misure provvisorie e proceduto al riassetto del bilancio. Come vedono i movimenti queste iniziative?

Secondo noi, il governo di Dilma non ha colto la natura della crisi attuale, né quel che sta accadendo nella società brasiliana, e neppure la disputa ideologica che ha avuto luogo al secondo turno elettorale: uno scontro di classe molto impressionante.

Il governo ha sbagliato a mettere in piedi un ministero particolarmente dipendente [quello delle Finanze, con J. Levy] dai partiti conservatori, i cui membri arrivano addirittura a votare contro il governo in parlamento. Finisce per essere schizofrenia. Si tratta forse del peggior ministero che abbiamo avuto dopo la Nuova Repubblica. Sta riducendo la crisi a un problema di passivo di bilancio. In realtà, il passivo non è altro che la conseguenza della crisi. Come ha ben detto il professor Luiz Gonzaga Belluzzo: «il motore dell’economia si è spento e il governo si preoccupa della carrozzeria e della verniciatura».

Per incredibile che possa sembrare, tutte le iniziative palliative e le iniziative prese dal governo non solo non risolvono la crisi di cui abbiamo detto, ma tendono ad aggravarla. Esse infatti si fermano alla parvenza dei problemi, senza ricercarne le cause. Peggio ancora, molte delle misure, specie quelle economiche, vanno nel senso del programma della borghesia, sopprimono cioè i diritti dei lavoratori. Accrescere il saggio di profitto è tutto quel che vuole il settore egemone dei capitalisti: guadagnare soldi, la rendita finanziaria e la speculazione. Se il governo non cambia direzione, se non cambia la sua politica economica e non prende iniziative che introducano nella società il dibattito sulla necessità di una profonda riforma politica, continuerà allora a precipitare nell’impopolarità e nell’incapacità di uscire dalla crisi.

 

In una congiuntura così complessa, esistono rischi di colpo di Stato?

Le classi dominanti, i capitalisti, gli imprenditori e la destra in quanto campo ideologico sono molto diversificati in una società così complessa com’è la nostra. Benché Globo tenti di fornire loro un’unità, non riescono ad arrivare al consenso sul modo di vedere i problemi e sulle proposte che consentano di uscire dalla crisi.

È vero che esistono alcuni settori più radicali della destra che vogliono un colpo, un impeachment, magari per via parlamentare. Credo tuttavia che una simile crisi istituzionale non interessi i settori imprenditoriali. Quel che vogliono questi è che il governo sostenga il loro programma. Nient’altro. Per altro verso, gli stessi motivi che consentirebbero di aprire una procedura di impeachment contro Dilma varrebbero anche per governatori quali Gerald Alckimin (PSDB, governatore di São Paulo), Beto Richa (PSD, governatore del Paraná), ecc., e questo comporterebbe il caos generalizzato.

Credo, purtroppo, che il governo sia caduto in questa trappola. E pur avendo fatto proprio il programma della classe dominante, non riesce a risolvere i tre ordini di crisi. Per questo ci troviamo in una fase di confusione, che non si risolverà a breve termine.

 

Quale è allora la proposta dei movimenti popolari di fronte a una simile situazione?

Sul versante dei movimenti popolari, la situazione è non meno complessa. I movimenti e le forze popolari, che comprendono tutte le forme organizzative – partiti, sindacati, movimenti sociali, movimenti ecclesiali di base – non sono stati in grado di organizzare una piattaforma comune, un programma unitario di uscita dalla crisi.

In teoria, abbiamo determinate idee generali, ad esempio siamo convinti che potremo uscire dalla crisi economica soltanto se il governo abbandona l’avanzo primario nel bilancio e, invece di pagare 280 miliardi di riais di interessi, investe queste risorse pubbliche nell’industria, per creare posti di lavoro, nel settore pubblico, per migliorare il trasporto, l’alloggio e l’istruzione.

Rispetto alla crisi politica, la supereremo solamente se procediamo a una profonda riforma politica. Sono idee generali, su riforme strutturali indispensabili. È vero però che occorre assolutamente costruire un programma che unifichi tutti i settori sociali e metta insieme le iniziative di mobilitazione di massa.

Per il momento, si mobilitano solo alcuni settori organizzati di classe operaia. Il popolo, in generale, tace e segue ansioso in televisione le notizie sulla crisi e sull’assenza di alternative.

Da un lato, c’è il popolo che vede tutti i giorni la borghesia prendere iniziative contro di lui e un governo che si dimostra inerte e incapace. E, sul nostro versante, non riusciamo a raggiungere questa massa con le nostre proposte, soprattutto perché i mezzi di comunicazione di massa sono controllati dalla borghesia. (…)