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ajames-galbraithL’economista è rimasto ad Atene da febbraio a luglio per lavorare a fianco del governo. Racconta i dibattiti su un’eventuale uscita dall’euro. «Abbiamo esagerato le difficoltà. Per la prossima volta sapremo come fare» dice.

Due parole gli vengono spontaneamente per riassumere la situazione attuale della Grecia dopo il nuovo piano di austerità.

Due parole delle quali l’economista americano James Galbraith assume la violenza, per spiegare, questo venerdì 16 ottobre, all’istituto Veblen, davanti ai suoi colleghi francesi, l’ampiezza del disastro greco: colonizzazione e liquidazione.«È a questo che assistiamo oggi. Una perdita di indipendenza totale e una liquidazione dello Stato greco. La Grecia non è più un paese indipendente. Il governo ha perso ogni margine di manovra. Gli è proibito di introdurre la minima legge senza l’accordo preventivo dei suoi creditori», dice l’economista americano.

Mentre il Parlamento greco ha appena adottato la prima raffica di riforme imposte nel quadro del nuovo piano europeo di luglio, James Galbraith spiega il retro dello scenario. «Questi 48 progetti di legge prioritari sono scritti sotto dettatura a Bruxelles e poi tradotti in greco» dice. «Non sono riforme per migliorare le condizioni economiche della Grecia. Sono riforme costruite dalle lobby», prosegue.

Secondo lui, ciascuno vuole la sua parte. Le date di freschezza del latte sono state allungate da 3 a 7 giorni affinché le imprese olandesi possano esportare il loro latte. I grandi gruppi farmaceutici si sono accordati per essere avvantaggiati rispetto all’industria locale, invocando una concorrenza, di fatto «manipolata attraverso paradisi fiscali e prezzi di trasferimento». E le privatizzazioni sono concepite per «creare dei monopoli privati per le imprese straniere» sui beni più interessanti, sull’esempio dell’aeroporto di Atene, acquistato dal gruppo tedesco BTP Hochtief.

La constatazione presentata da James Galbraith è tanto più dura in quanto egli ha lavorato per sei mesi per evitare di arrivare a questo punto, per tentare di trovare altre vie. Da febbraio a luglio, l’economista americano ha abbandonato i suoi corsi all’Università di Austin (Texas) per venire ad Atene, a fianco del «suo amico» Yanis Varoufakis, allora ministro delle finanze. Insieme, i due economisti, che sono molto vicini, hanno cercato di concepire altri schemi, immaginare soluzioni di compromesso, studiare, nel massimo segreto, un piano B di uscita dall’euro, eventualmente.

Ma alla fine, niente è andato come previsto. Non c’era molta ingenuità da parte loro nel sottovalutare il rapporto di forze europeo? «Fin dall’inizio non ci facevamo nessuna illusione. Sapevamo che se non ottenevamo un risultato nel breve termine la situazione sarebbe diventata sempre più difficile. Lo Stato greco aveva solo più 3,5 miliardi di riserve», racconta. Molto presto è stato chiaro per loro che non c’era niente da attendersi dai ministri delle finanze, dalle riunioni dell’eurogruppo. «Sono meschini, conservatori», dice. Manca poco che Galbraith pronunci la parola miserabili, talmente è stato deluso nel vedere l’incompetenza economica di questi responsabili presi, secondo lui, tra le loro elezioni (Spagna, Portogallo, Irlanda) e l’ideologia (Slovacchia, Lituania, Finlandia)

«Che si poteva fare per migliorare la situazione in Grecia? Questo non gli interessava. Erano discussioni a vuoto. Bisognava cambiare livello. Concentrarsi sulla cancelliera tedesca Angela Merkel e ottenere una decisione politica con l’appoggio degli Stati Uniti. Obama ha chiamato Angela Merkel. Ma la decisione politica sperata non è venuta», dice.

Ma perché, hanno insistito vari economisti francesi nella discussione, non aver preso, fin dall’arrivo al potere, la decisione di instaurare un controllo dei capitali, per creare un rapporto di forze, per rendere possibile un piano B, se necessario? «C’era una ragione politica per non farlo. Alexis Tsipras considerava che questo primo passo era irreversibile verso l’uscita dall’euro. E poi, si temeva la reazione popolare. Avevamo torto. La popolazione era pronta, come si è constatato al momento della chiusura delle banche e dell’instaurazione del controllo dei capitali a fine giugno. I greci avevano preso le loro precauzioni», sottolinea.

Incaricato di lavorare con quattro o cinque persone all’elaborazione di un piano B, James Galbraith racconta quanto la cosa sia stata complessa. Dovevano riunirsi nel massimo segreto, senza alcun aiuto dall’apparato dello Stato, dalla Banca centrale di Grecia, affinché niente trapelasse all’esterno. «Non si poteva discuterne pubblicamente. I rischi di destabilizzazione erano troppo grandi». Molto presto si sono trovati a valutare da soli problemi molto materiali. In caso di uscita dall’euro, la Grecia aveva abbastanza petrolio? C’era abbastanza insulina negli ospedali? Come fare con i pensionati che ritirano il totale della pensione nei primi giorni del mese?

La questione monetaria, dei mezzi per assicurare la liquidità dell’economia, era al centro delle loro preoccupazioni. Perché senza Banca centrale autonoma, senza riserve, senza moneta indipendente, tutto diventa un rompicapo. «Se ci fosse una possibilità di uscita dall’euro fatta in maniera collaborativa, se i paesi avessero diritto di effettuare una deroga con il sostegno della Banca centrale europea, si potrebbe fare», spiega.

A maggio, racconta l’economista, hanno discusso la possibilità di tentare un approccio con il ministro tedesco delle finanze, Wolfgfang Schäuble, per studiare le modalità di una transizione monetaria. «Ma Alexis Tsipras ha detto di no. Temeva che la cosa trapelasse. Nella sua cerchia, erano comunque convinti fin dall’inizio, che era impossibile», racconta.

«Abbiamo esagerato le difficoltà dell’uscita dall’euro. Oggi credo che si sarebbe potuto mantenere un sistema di pagamento senza cambiare i codici. Con il controllo dei capitali è già fatto. Per la prossima volta, ora sappiamo come fare», dice James Galbraith.

Perché ci sarà una prossima volta, James Galbraith ne è convinto, in Irlanda, in Portogallo, in Grecia o altrove. «Ero molto attaccato al progetto europeo. Ora lo sono molto meno. Un sistema che non ammette discussione, che è categoricamente opposto a ogni governo di sinistra, che è categoricamente impegnato nella destabilizzazione, non è possibile. Che significa un’Europa che ha per programma di tagliare le pensioni dei più vulnerabili, di ridurre a zero la sindacalizzazione, di liberalizzare il mercato del lavoro fino renderlo informale?», dice. Prima di predire: «La prossima volta che viene eletto un governo di sinistra, si presenterà subito con un piano B in tasca».

Ritornando sul referendum di luglio, James Galbraith conferma che Syriza si aspettava di perderlo. «Pensavano che il sì avrebbe vinto e anzi lo speravano», dice. Ha vinto il no, seguito la settimana dopo da una «capitolazione», sono parole sue, e un nuovo piano di austerità. Per James Galbraith, il fallimento di questo nuovo piano è già scritto. Anche se l’aumento delle tasse permette di aumentare le entrate dello Stato per qualche mese, le misure richieste porteranno, secondo lui, a una nuova diminuzione dell’attività, a una nuova recessione.

«Alexis Tsipras ha fatto di tutto per mantenere il potere» constata. «Dispone di un Parlamento stabile. Ha potuto scegliere i propri candidati. Ha emarginato l’opposizione di sinistra e ha un partner che non chiede niente. Può restare per quattro anni». «Ma il governo potrà ottenere i risultati richiesti dai creditori? Certo, il Parlamento accetterà tutto quello che viene richiesto. Ma i magistrati, la polizia, la popolazione faranno quanto gli si richiede?» si interroga James Galbraith. «Per il popolo greco questo contratto è illegittimo. Gli è stato imposto con la coercizione. Mi stupirebbe che non ci sia resistenza passiva, e anche attiva, della popolazione. La piazza c’è sempre».