Nelle scorse settimane la riforma della previdenza (AVS e secondo pilastro) proposta dal ministro social-liberale Berset per conto del consiglio Federale è arrivata (ed è stata approvata) al Consiglio degli Stati. I risultati, come si suol dire, sono lì da vedere: aumento dell’età AVS a 65 anni per le donne e diminuzione del tasso di conversione del secondo pilastro.
Quale “contropartita” (le virgolette sono più che necessarie) un aumento delle rendite AVS di 70 franchi mensili (per le nuove rendite, val la pena ricordarlo) e alcune modifiche nel meccanismo contributivo (diminuzione della quota di coordinamento). Per garantire, come viene detto, la sicurezza del finanziamento dell’AVS, un aumento dei premi e della percentuale dell’IVA destinata all’AVS, etc.)
Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con il tema e si metta a fare qualche semplice calcolo non potrà non rendersi conto che il risultato dell’operazione è evidente: diminuzione delle rendite ed aumento dei contributi. Un bilancio tutt’altro che positivo, uno dei colpi più forti assestati al sistema previdenziale dopo l’introduzione del sistema dei tre pilastri, la più grave sconfitta storica dei salariati in questo paese; una sconfitta che continua a pesare e peserà non solo sulle condizioni pensionistiche dei salariati, ma sui meccanismi economici complessivi del paese, talmente è grande il peso dell’enorme massa di capitali del secondo pilastro.
Cosa succederà quando, tra qualche mese, il Consiglio Nazionale (CN) discuterà del progetto e delle modifiche apportate dal Consiglio degli Stati è difficile dirlo: appare tuttavia poco probabile che il CN faccia meglio. E questo anche alla luce del fatto che esso rischia di avere, come sembra si prospetti, una composizione politica ancora più a destra…
Il punto di partenza
Sono circa 1,5 milioni le persone che beneficiano in Svizzera di una rendita AVS. Di queste solo il 66.8% può completare questa rendita con una pensione del secondo pilastro, percentuale che scende addirittura al 57.7% tra le donne. Nei pensionati uomini tra 65 e 70 anni la somma mediana mensile (per 12 mesi) tra AVS e cassa pensione è di 4’375 franchi (ripartiti tra 1’800 franchi di AVS e 2’575 franchi cassa pensione). Somma che si riduce per le pensionate donne a soli 3’141 franchi (1’750 franchi AVS e 1’391 franchi cassa pensione). Già questi dati permettono di trarre alcune considerazioni generali. La prima è che ancora oggi il livello delle rendite pensionistiche in Svizzera è estremamente basso e non permette di garantire una vita dignitosa. La seconda è che ad oltre 30 anni dall’introduzione del secondo pilastro una parte considerevole di pensionati, uno su tre tra gli uomini e quasi una donna su due non beneficiano di una rendita erogata da una cassa pensione. La terza, che la differenza delle rendite percepite tra uomini e donne è di ben 1’234 franchi pari al 28%. L’AVS tende a ridurre le differenze di genere mentre il secondo pilastro le accentua. Nell’AVS la differenza è di solo 2.7% a fronte di una differenza nelle rendite di cassa pensione di ben il 45.9%. Questi dati dovrebbero portare alla conclusione che è l’AVS che dovrebbe essere potenziata e non il secondo pilastro.
Il progetto Berset
Nella sua proposta, che si configura come una vera e propria contro-riforma, Alain Berset propone peggioramenti dell’attuale sistema pensionistico su diversi aspetti.
Si comincia, come detto, con l’aumento dell’età di pensionamento delle donne a 65 anni. Naturalmente in nome di una certa concezione della parità tra uomo e donna. Non si tratta certo di una novità, poiché questa proposta era già stata avanzata in occasione della riforma dell’AVS caduta in votazione popolare nel 2004.Proposta già contenuta nelle linee direttive del governo federale presentate all’inizio della legislatura e approvate dal Parlamento nazionale. Un obiettivo poi che il governo federale persegue da tempo. Tutti ricordano che fu sotto l’egida dalla consigliera federale Ruth Dreifuss (“paladina” della causa delle donne) che fu aumentata l’età AVS delle donne da 62 a 64 anni.
Contemporaneamente si abbassano ulteriormente le rendite del secondo pilastro, riducendo il tasso di conversione dal 6.8 % al 6%. Il tasso di conversione è la percentuale utilizzata, nell’ambito del secondo pilastro, per trasformare l’avere di vecchiaia (quel che si risparmia, durante la vita lavorativa, in contributi versati dal datore e dal datore di lavoro aumentati dell’interesse annuale) in rendita annuale. Ad esempio, se l’avere di vecchia fosse di circa 400’000 franchi, avremmo (con l’attuale tasso di conversione del 6,8%) una rendita annuale di 27’200 fr. Se invece il tasso diverrà del 6%, lo stesso avere di vecchiaia darà diritto ad una rendita di vecchiaia di 24’000 fr. Annuali. Una diminuzione di 3’200 franchi annui, quasi 270 franchi mensili. Rapportata all’attuale rendita mediana, oggi di 2’575 franchi, questo significa una diminuzione a 2’272 franchi, con una diminuzione cioè di 303 franchi mensili. Per le donne il valore mediano passerà da 1’391 franchi a 1’227, con una riduzione di 164 franchi. Mensili. Sempre nell’ottica del risparmio si vuole poi ulteriormente inasprire il diritto alla rendita di vedovanza. In futuro solo le vedove con figli minorenni avranno diritto ad una rendita il cui ammontare verrebbe ridotto in tutti i casi del 20%.
Contrariamente ai toni euforici del Partito Socialista e dell’USS le decisioni adottate Consiglio agli Stati sono talmente negative da aver addirittura peggiorato la proposta formulata dal Consiglio federale, in particolare laddove il governo, preoccupato dell’esito di un possibile voto popolare, aveva previsto alcune misure che avrebbero in qualche modo dovuto contenere i peggioramenti. Così, il Consiglio degli Stati prevede di aumentare l’età AVS entro quattro anni e non sei come prevedeva il CF; stesso discorso per quanto riguarda il versamento unico nella cassa pensione. Un versamento previsto per tutte e tutti coloro che al momento dell’entrata in vigore delle modifiche di legge avrebbero avuto più di 40 anni. Ora il Consiglio agli Stati propone di alzare il limite a 50 anni. Nel concreto significa che le salariate ed i salariati tra 40 e 49 non riceveranno nessun versamento. Infine, ma non certo per importanza, la decisione degli Stati, contrariamente a quanto prevedeva il CF che voleva abolirne la deduzione, di mantenere la deduzione di questa quota di coordinamento (oggi fissata a 24’765 franchi), limitandosi a diminuirla a 21’150 franchi. L’abolizione della deduzione della quota di coordinamento potrebbe rappresentare, nel quadro dell’attuale sistema, comunque un miglioramento poiché amplierebbe il salario assicurato dal 2° pilastro. Infatti la deduzione della quota di coordinamento fa sì che oggi i primi 21’150 franchi di salario non siano assicurati (non sono cioè soggetti a premio). Soprattutto per i salari più bassi l’abolizione di questa deduzione sarebbe un passo in avanti importante.
Ma ci sono i 70 fr… e l’aumento dell’IVA
A suscitare un entusiasmo fuori posto di social-liberali e dirigenti sindacali, dopo le decisioni degli Stati, sono le due decisioni relative all’aumento delle rendite (70 fr.) e quello all’aumento dell’IVA dell’1,5% (1% verrà messo in vigore appena prenderà avvio la riforma).
Con queste due misure si vorrebbe vedere compensate da un lato le misure negative sulle rendite (in particolare la diminuzione del tasso di conversione), dall’altro garantire la solidità finanziaria dell’AVS “minacciata” (ormai da decenni è il caso di dire) dall’invecchiamento della popolazione.
Sul primo punto un semplice sguardo alle cifre che abbiamo indicato sopra, ci mostra come i 70 fr altro non siano che un modesto obolo che si vuol pagare per cercare di far passare la riforma. Anche con un aumento di 70 fr mensili della rendita AVS, siamo ben lontani dalle perdite che segneranno le rendite del 2° pilastro, pari al doppio o la triplo di questa cifra.
Sul secondo punto, ancora una volta, val la pena ricordare che saranno soprattutto i salariati, e coloro che hanno salari più modesti, a contribuire alla “solidità finanziaria” dell’AVS. Non è infatti più da dimostrare come l’IVA sia una tassa iniqua nella misura in cui va ad incidere sui salari più bassi.
In conclusione la riforma, così come si delinea dopo il passaggio agli Stati, può essere riassunta così: più contributi e minori prestazioni. Proprio di che essere fieri!