Mi sono chiesto spesso come avrebbero reagito i mezzi di comunicazione di massa se si fosse presentato un disastro ecologico apocalittico. Immaginavo programmi di notizie brevi, che producessero resoconti sensazionali, pur omettendo di spiegare le ragioni di quel che stava accadendo o come si potessero bloccare disastri. Questi media avrebbero poi chiesto ai rispettivi giornalisti specializzati in campo finanziario come tali catastrofi si sarebbero ripercosse sugli andamenti delle azioni, per poi tornare a occuparsi di sport.
Come potete immaginare, non avevo un’illimitata fede nell’industria in cui lavoro. Quel che però non mi aspettavo è che avrebbero semplicemente ignorato un disastro.
Una grande superficie della terra è in preda al fuoco. Sembra possiate immaginare in che inferno sia costretto chi ci vive. L’aria è diventata color ocra. La visibilità in certe città si è ridotta a 30 metri. Si stanno evacuando i bambini (dopo due mesi) su navi da guerra; alcuni sono ormai morti soffocati. Le biodiversità vanno in fumo a un’indicibile velocità. Quasi sicuramente, si tratta della maggior catastrofe ecologica del XXI secolo, perlomeno finora. [Per una descrizione si veda: http://www.notre-planete.info/actualites/4347-Indonesie-incendies-forets-pollution-air].
E i media? Parlano di che cosa indossava la duchessa di Cambridge alla prima di James Bond [Kate Middleton], dell’idiozia del giorno di Donald Trump e di chi è stato eliminato nell’episodio di Halloween del tele-reality “Ballando con le stelle”.
Quale grande dibattito della settimana ha dominato le notizie in gran parte del mondo? Le salsicce. Sono veramente così nocive per la nostra salute? Quello di cui parlo io è un barbecue, che però è in azione su una scala ben diversa.
Il fuoco infuria su tutta la lunghezza dei 5000 km dell’Indonesia. È sicuramente, in base a una valutazione oggettiva, più importante di ogni altra cosa stia accadendo oggi. E non dovrebbe richiedere che a dirlo sia un cronista – che pubblica il suo trafiletto nelle pagine interne di un quotidiano – ma dovrebbe stare in prima pagina su tutti i giornali. È difficile trasmettere la dimensione di quell’inferno, ma ecco un paragone che potrebbe essere d’aiuto: quell’incendio sta attualmente producendo più diossido di carbonio dell’economia americana. E, in tre settimane, quegli incendi hanno emesso più CO2 delle emissioni della Germania in un anno.
Ma questo non coglie l’intera portata di quel che accade. Questa catastrofe non si può misurare soltanto con la concentrazione di CO2 ppm (parti per milione). Gli incendi distruggono tesori altrettanto preziosi e insostituibili delle vestigia archeologiche rase al suolo dallo Stato islamico (Daesh). Gli orangutanghi, i leopardi, gli orsi malesi (famosi per amare il miele), i gibboni [scimmie], i rinoceronti di Sumatra e la tigre di Sumatra, sono tra le specie minacciate di essere scacciate dalla loro area dalle fiamme. Ma ce ne sono altre, forse milioni, oltre a queste.
Una delle province divorate dall’incendio è la Papuasia occidentale, una regione che è stata arbitrariamente occupata dall’Indonesia dal 1963. Vi ho soggiornato quando avevo 24 anni, per condurre un’indagine su alcuni dei fattori che hanno portato a questa catastrofe. Allora, era un paradiso, ricco di specie in tutte le paludi e nella vallata. Chi sa quante ne sono scomparse nelle ultime settimane? Questa settimana mi sono immerso – ed ho pianto – nelle foto dei luoghi che amavo, ormai ridotti in cenere.
Le emissioni di gas non colgono neppure l’impatto sulle popolazioni di queste terre, Dopo l’ultimo grande incendio, nel 1997, in Indonesia sono morti 15.000 bambini sotto i tre anni a causa dell’inquinamento dell’aria. Ora – sembrerebbe – la situazione è peggiorata. Le mascherine distribuite per il paese sono inutili per proteggere chi vive immerso in una nebbia senza sole. I membri del parlamento a Kalimantan (la parte indonesiana del Borneo) hanno dovuto intervenire indossando le mascherine. La sala era talmente piena di bruma che devono aver stentato a riconoscersi tra loro.
Non bruciano solo gli alberi, anche la terra brucia. Gran parte della foresta affonda le sue radici nella torba. Quando il fuoco penetra nella terra si consuma in settimane, spesso mesi, liberando nuvole di metano, di monossido dei carbonio, di ozono e di gas rari quali il cianuro d’ammonio. Il fumo si estende su centinaia di chilometri e chilometri, provocando tensioni diplomatiche con i paesi vicini.
Perché succede tutto questo? Le foreste indonesiane sono state spezzettate da decenni da imprese forestali e agricole. Sono stati scavati canali nella torba per drenarla e asciugarla. Le imprese forestali si spostano e distruggono quel che resta della foresta per sviluppare monocolture di legno per ricavarne carta, segatura, o di palme per ricavarne olio. Il modo migliore per ripulire il terreno è bruciarlo [debbio]. Questo provoca catastrofi tutti gli anni. Ma in un anno in cui El Niño [corrente calda stagionale] raggiunge picchi estremi, abbiamo la combinazione perfetta per provocare catastrofi ambientali.
Il presidente Joko Widodo (in funzione dal 2014 e fin dal 2012 governatore di Giacarta] è – o vuol essere – un democratico [ha visitato, tardivamente, le province investite dal fuoco], ma presiede un paese in cui prosperano il fascismo [sulla scia del colpo di Stato e del massacro anticomunista del 1965] e la corruzione. Come si vede nel documentario di Joshua Oppenheimer, The Act of Killing [2012], i dirigenti degli squadroni della morte hanno partecipato all’assassinio di un milione di persone durante il terrore di Suharto negli anni Sessanta del secolo scorso, con l’approvazione dell’Occidente, e hanno poi prosperato grazie ad altre forme di criminalità organizzata, inclusa la deforestazione illegale.]
Sono sorretti da un’organizzazione paramilitare di 3 milioni di membri, il Pancasila Youth. Con le loro divise per camuffarsi di color arancione, berretti rossi, incontri sentimentali e musica all’acqua di rose, somigliano alla milizia fascista immaginata da J. G. Ballard [autore di fantascienza che presenta personaggi apparentemente normali che poi risultano ossessionati dalla violenza]. Su quel periodo non c’è mai stata una verità storica ufficiale, nessuna riconciliazione. Gli assassini di massa sono sempre trattati da eroi e celebrati in televisione. In certi posti, soprattutto nella Papuasia occidentale, le carneficine politiche continuano.
Chi commette crimini contro l’umanità non esita a commetterne contro la natura. Benché Joko Widodo sembra voglia fermare l’incendio, l’impatto del suo intervento è limitato. Gli indirizzi del suo governo sono contraddittori: vi si trovano nuove sovvenzioni per la produzione di olio di palma, una coltura che inevitabilmente provocherà in futuro ulteriori incendi. Alcune grandi imprese di monocoltura, sotto la pressione dei clienti [tra gli altri, produttori di mobili o di prodotti a base di olio di palma], hanno promesso di bloccare la distruzione della foresta tropicale. Gli esponenti del governo hanno reagito furibondi, avanzando l’argomento che tale restrizione avrebbe impedito lo sviluppo del paese. Che i fumi degli incendi soffochino e oscurino il paese, che questo sia già costato qualcosa come 30 miliardi, è forse ciò che si considera sviluppo?
I nostri strumenti di pressione sono deboli, ma ci sono cose che possiamo fare. Alcune imprese che utilizzano olio di palma hanno fatto tentativi visibili di riformare le proprie catene di rifornimento. Altre però sembrano procedere più lentamente e in modo opaco. Starbucks, PepsiCo e Kraft Heinz [fusione di Kraft Food ed Heinz] ne sono alcuni esempi. Allora perché non rifiutare di acquistarne i prodotti finché non si vedranno risultati concreti?
Lunedì 26 ottobre Widodo era a Washington per incontrare Barack Obama. Il comunicato ufficiale emanato «ha salutato i recenti interventi politici del presidente Widodo per prevenire e combattere gli incendi della foresta». Non si è accennato però all’apocalisse ecologica che era in atto mentre loro discutevano, e questo vuol dire che il contenuto del comunicato è una presa in giro.
I governi ignorano i problemi se i mezzi di comunicazione di massa li ignorano. E i media li ignorano perché… ebbene, qui c’è una domanda con un migliaio di possibili risposte, molte delle quali implicano la questione del potere. Ma una delle ragioni sta nel fallimento completo di prospettive interne a un’industria screditata dominata dai comunicati stampa delle imprese, le sessioni di foto manipolate e le pubblicità di moda, in cui tutti sembrano aspettarsi che da qualche parte qualcun altro prenda l’iniziativa. I mezzi di comunicazione di fatto prendono la non-decisione collettiva di trattare questa catastrofe come un non-problema, e tutti noi facciamo finta che non sia successo niente.
Al prossimo vertice di dicembre a Parigi sul clima (COP21), i mezzi di comunicazione di massa, intrappolati nella bolla della diplomazia intergovernativa astratta e il dramma costruito, copriranno i negoziati senza quasi riferirsi a quel che accade altrove. I negoziati si sposteranno su un terreno sul quale noi non abbiamo alcuna presa decisionale. E quando la crisi si sposta, riprenderà il silenzio. C’è un’altra industria che serva [come la stampa] così male i propri clienti?
*George Monbiot è autore di numerosi libri, fra cui: The Age of Consent, Flamingo, 2003; Heat: How We Can Stop the Planet Burning,Penguin, 2007; Captive State: The Corporate Takeover of Britain, Pan Books, 2001.