Mai, dalla Seconda Guerra Mondiale, gli spostamenti forzati di popolazione erano stati così ampi e mortiferi – così aleatori e pericolosi da imporre a così tanti bambini, donne e uomini delle condizioni d’esistenza così disumane, delle sofferenze così intollerabili. Un’autentica tragedia che mette a nudo la verità di un nuovo ordine internazionale istaurato dalla mondializzazione capitalistica, come testimonia la molteplicità e l’universalità crescente dei flussi migratori.
L’attenzione è oggi rivolta ai rifugiati di guerra provenienti dal Medio Oriente; ma ci sono anche altri conflitti militari, in particolare in Africa, con i loro cortei di popolazioni in fuga. Poco tempo fa, si parlava sulla stampa dei milioni di vittime climatiche in Asia. Nei 2010-11, secondo la Banca asiatica di sviluppo, più di 42 milioni di persone sono state spostate in Asia-Pacifico [1] . Questa cifra include le vittime di tempeste, inondazioni, di temperature estreme, di siccità e dell’elevazione del livello del mare. Alcuni sono tornati a casa loro. Molti sono diventati migranti, restando generalmente nel loro paese, ma anche attraversando le frontiere nazionali.
Quanto alle cosiddette “migrazioni economiche” contemporanee, sono altrettanto “forzate” (dunque politiche) dalla lacerazione del tessuto sociale sotto i colpi del neoliberalismo e della violenza dei regimi sostenuti dalle potenze occidentali.
Le migrazioni hanno una storia. Nel periodo precedente, abbiamo già vissuto una migrazione senza speranza, incarnata dall’insegnante filippina divenuta domestica in Italia, precaria e clandestina. Oggi viviamo al tempo delle migrazioni di sopravvivenza. Gli Europei non sono ancora a questo stadio, ma, segno dei tempi, in paesi come la Spagna o la Grecia degli autentici movimenti migratori sono di nuovo all’opera tanto l’avvenire della gioventù è oscuro. Non si era vista un situazione come questa da decenni.
I muri alle frontiere vengono costruiti su centinaia, migliaia di km e non solo in Europa. In Israele calpestando i diritti dei Palestinesi sulle loro terre. Negli Stati Uniti sulla frontiera con il Messico –questo Messico dove la decomposizione dello Stato, diventato narco-Stato, e la crescita inaudita di violenze, fino al femminicidio, contribuisce alla fuga delle popolazioni.
L’esplosione delle migrazioni ha dunque delle cause multiple: delle guerre senza fine, la crisi climatica, la lacerazione del tessuto sociale, la decomposizione degli Stati, lo scatenamento di violenze senza limiti; ma anche la distruzione dei suoli, il crollo della popolazione ittica, l’accaparramento delle terre contadine, la marginalizzazione dei poveri urbani, la spoliazione dei popoli a beneficio delle transnazionali…
Tutte queste cause particolari hanno un’origine comune: il modo di dominazione imposto dalla mondializzazione capitalista con come conseguenza una situazione inedita: lo stato permanente di disordine geopolitico e, eredità delle sconfitte passate, una lotta di classe a senso unico condotta in maniera feroce dal nucleo duro delle borghesie mondializzate. La contro-rivoluzione senza la rivoluzione ha spalancato le porte a ogni sorta di barbarie. Una competizione accesa tra vecchi e nuovi imperialismi, tra sotto-imperialismi e altre potenze regionali, come in Medio-Oriente l’Iran e l’Arabia Saudita. La guerra permanente come risposta all’instabilità.
I popoli pagano un prezzo terribilmente alto per questo disordine mondiale. In ritorno, la “crisi dei rifugiati” mette oggi a nudo il fallimento della costruzione europea [2]. Ieri, per mettere la Grecia sotto tutela, l’Eurogruppo (19 paesi sui 28 che costituiscono l’Unione) ha imposto la sua legge a spese delle istituzioni che sono al cuore dell’UE: la Commissione e il Consiglio. Oggi, sull’accoglienza dei Siriani in particolare, ognuno fa per sé. Non solo in Europa dell’Est, ma anche in Francia e Italia, delle frontiere nazionali vengono chiuse all’interno dello spazio di libera circolazione di Schengen. In certi paesi, dei vasti movimenti di solidarietà civile si sono mobilitati per accogliere i rifugiati –ad esempio in Germania [4]; in altri, la xenofobia e il razzismo avanzano a beneficio di un potere di estrema destra- in particolare in Ungheria.
L’UE esiste, ma l’integrazione europea ha fallito. Antidemocratico, il processo di costruzione dell’Unione non ha dato la vita a una cittadinanza europea. Si poteva sperare che un’identità di questo tipo, nascesse dal basso, nel quadro del Forum sociale europeo o delle Marce contro la disoccupazione e il precariato, ma questa dinamica si è inceppata.
Due progetti hanno fondato il processo di costruzione “dall’alto” dell’Unione. Quello del mercato unico, che rivela tutta la sua impotenza di fronte alla crisi. Quello dell’Europa potente capace di giocare le sue carte di fronte agli Stati Uniti e, oggi, la Cina; ma gli imperialismi europei hanno le armi spuntate. Gli eserciti francese e britannico sono sottoposti a degli importanti tagli di bilancio. La Germania, pilastro economico, resta un nano militare. Come brillare nell’arena internazionale quando non si è capaci di rispondere, alle proprie porte, alle sfide che lancia Putin?
Affrontare alla radice la “crisi migratoria” significa affrontare la mondializzazione capitalista. Affrontare alla radice la “crisi europea”, significa rifondare su altre basi una Europa aperta ai popoli dell’Est e del Sud, partendo dallo spazio mediterraneo. Questa prospettiva è essenziale per permettere un’azione nella durata e non innocente di fronte ai discorsi falsi dei nostri governanti; a cominciare dalle loro pretese umanitarie. Se da un lato la mobilitazione civile in Germania testimonia un autentico slancio umanitaria, d’altro canto il padronato tedesco porta uno sguardo cinico sulla situazione: giudicando troppo basso il tasso di disoccupazione e puntando sull’accoglienza di una manodopera sovente formata, ma disperata e pronta ad accettare ogni impiego.
Più che umanitaria, la risposta europea è spesso militare. In nome della lotta contro i passatori e invece di aprire dei corridoi migratori legali e sicuri, si autorizzano missioni armate contro le navi che li trasportano. Parigi utilizza la tragedia dei rifugiati per giustificare l’estensione della zona di intervento delle sue forze aeree dall’Irak alla Siria. In un numero crescente di paesi membri dell’UE, i soldati sono mobilitati accanto ai poliziotti per controllare le “popolazioni straniere”.
Questa tendenza di fondo la conosciamo bene in Francia dove i militari pattugliano contro la minaccia terrorista [4]. Per numerosi esperti, questa politica è molto costosa, inefficace e mobilita troppi mezzi allorché l’esercito è già impegnato in diversi teatri operativi in Medio Oriente e in Africa. Se viene mantenuta è perché rende più labile la frontiera tra situazione di guerra (compito dell’esercito) e situazione di pace (compiti di polizia), abituando la polizia a una sorta di stato d’eccezione permanente. La crisi dei rifugiati viene oggi strumentalizzata nella stessa prospettiva. Per difenderli meglio, avremmo bisogno di una ripresa dei movimenti antimilitaristi [5]; e di un’estensione della lotta contro la xenofobia, contro tutti i razzismi, allorché le destre estreme approfittano dei ripieghi identitari (in Francia il Front National) e dove le tendenze statali fascisteggianti si manifestano alle porte dell’Europa (Turchia) e anche all’interno (Ungheria). Logicamente, la brutalità distruttiva della mondializzazione capitalista crea le condizioni d’emergenza di nuovi fascismi.
La “crisi dei rifugiati” è dunque un ennesimo tragico risvolto della crisi globale indotta dalla mondializzazione capitalista. Deve comunque essere affrontata tenendo conto delle sue specificità, il che comporta importanti “aggiornamenti” da parte nostra. Nel periodo recente, abbiamo risposto sempre ai demagoghi xenofobi, cifre alla mano, che i flussi migratori (entrate-uscite), ad esempio in un paese come la Francia, restavano costanti. Non è evidentemente più il caso – a meno che la politica repressiva della “Fortezza Francese” condotta dal governo continui a svuotare di contenuto il diritto di asilo. Siamo confrontati a una crisi umanitaria di un’ampiezza eccezionale; ebbene, i “software” tradizionali della sinistra radicale non sono più adatti per una tale sfida solidale. Hanno per l’essenziale pensato che l’urgenza umanitaria era l’affare dei soli Stati o associazioni specializzate (Croce o Mezzaluna rosse). Ci sono fortunatamente delle eccezioni importanti come la mobilitazione notevole della coalizione Mihands a Mindanao, nel sud delle Filippine, dalla quale possiamo trarre molte lezioni [6].
Dobbiamo ripensare il rapporto tra politico e umanitario. In un passato già lontano, inviavamo aiuti medici ai Fronti di liberazione che avevano i loro propri servizi sanitari, efficaci e impiantati. Oggi, in grande maggioranza, le popolazioni dislocate sono anche prive di organizzazione –se non per delle reti informali per luogo d’origine e il ricorso a Internet o agli Smartphone per far circolare l’informazione.
La risposta alle crisi umanitarie si impone come un terreno essenziale per l’internazionalismo. La grande maggioranza dei rifugiati non si trova in Europa, ma nei paesi del Sud che non hanno né le infrastrutture e nemmeno le risorse dei paesi del Nord –allorché i governanti del Nord, dobbiamo ricordarlo, hanno la responsabilità più grande per l’attuale situazione. I “rifugiati interni” si trovano oggi nei loro propri paesi –o sono restati sul posto, come le vittime delle catastrofi climatiche che non sono riuscite a cercare rifugio altrove. Nessuna cifra ufficiale rende effettivamente conto dell’effettiva ampiezza del problema. Le solidarietà Nord-Sud devono organizzarsi e rinforzarsi in questo ambito in particolare.
[1] Asian Development Bank report :
http://www.adb.org/sites/default/files/publication/29662/addressing-climate-change-migration.pdf
[2] Etienne Balbar, ESSF (article 35897), Borderland Europe and the challenge of migration – On the relationship between European construction (or de-construction) and the new reality of human migration.
[3] Manuel Kellner, ESSF (article 35838), Elan de solidarité – Réfugiés, bienvenue ! Du nouveau en Allemagne….
Per un aggiornamento, vedi ESSF (article 36062), L’accueil des réfugiés en Allemagne : politique du gouvernement et polarisation au sein de la population.
[4] Franck Johannès, ESSF (article 35808), Confusion entre guerre et paix : Vigipirate, sa fonction sociale et le fantôme de la guerre d’Algérie.
[5] Nick Buxton, Ben Hayes, ESSF (article 35880), USA & beyond – Ten years on : Katrina, militarisation and climate change.
[6] Sally Rousset, ESSF (article 35362), La crise socio-écologique et les victimes climatiques : quelques leçons d’Asie.