Come è noto nelle recenti elezioni politiche portoghesi la destra ha mantenuto il primo posto (anche grazie alla lista unica presentata dalle formazioni che l’hanno tradizionalmente espressa (PSD e CDS), ma, a causa del rifiuto massiccio della sua politica di brutale austerità, ha perso quasi un milione di voti, un terzo dell’elettorato, passando dal 51 al 38%.
Il partito socialista (PS) ha guadagnato circa 200.000 voti passando dal 28 al 32 %. Ma è in particolare con il voto all’ “estrema” sinistra e in particolare al Bloco de Esquerda che si è espresso il rifiuto politico e sociale per la destra: il Partittìo comunista (PCP-CDU) ha mantenuto i suoi 440.000 voti (con un lievissimo aumento percentuale dovuto alla crescita dell’astensione), ma il Bloco de esquerda è cresciuto di 260.000 voti passando dal 5 al 10%.
Un milione di voti si è riversato sulle due liste (BE e PCP-CDU) esplicitamente antiausterità, chiedendo una svolta politica.
Questo risultato ha avuto l’effetto immediato di impedire un nuovo governo di destra, nonostante gli auspici della troika e del presidente della repubblica Anibal Cavao Silva. Ma ha anche dissuaso gran parte del gruppo dirigente del PS (salvo una piccola minoranza “irriducibile”) dal cadere nell’abbraccio delle “larghe intese” proposte dalla destra e sostenute da tutti i “poteri forti”. Il gruppo dirigente del PS portoghese, dopo una complessa discussione, ha deciso di respingere le proposte della destra e del presidente della repubblica. Ha scelto di evitare quella che nel suo dibattito è stata esplicitamente evocata come la “pasokizzazione”.
Cosicché tra il PS e il BE si è stipulato un “Accordo per fermare l’impoverimento” (successivamente allargato al PCP-CDU), accordo che, preso atto della “natura diversa dei programmi dei due partiti e delle differenti analisi su aspetti strutturali della situazione del paese”, cerchi di andare nella direzione delle “legittime aspirazioni del popolo portoghese di veder recuperati i propri livelli di reddito, restituiti i diritti sottratti, assicurate migliori condizioni di vita”. I terreni che l’accordo indica per l’azione politica futura sono: “il rovesciamento delle politiche di impoverimento della destra, la difesa delle funzioni sociali dello stato, dei servizi pubblici, della previdenza sociale, della scuola e della sanità, promuovendo una lotta contro la povertà e le diseguaglianze economiche, una politica economica per la crescita e l’occupazione, per l’aumento del reddito delle famiglie e per gli investimenti, di lotta contro la precarietà, di rilancio degli investimenti nella scuola, nella cultura e nella ricerca, una politica che restituisca alla società portoghese la fiducia e la speranza nel futuro, che valorizzi la partecipazione dei cittadini”.
Naturalmente, l’adesione a questo accordo non modifica in nulla la natura socialliberista del PS di Antonio Costa, né tantomeno farà desistere le istituzioni europee e la borghesia portoghese (che nel corso degli ultimi 4 anni del governo di destra ha conosciuto il massimo arricchimento relativo tra le borghesie europee) dal lavorare con tutti i mezzi per riportare Lisbona all’ordine e, perciò, ci affida, dopo la Grecia e la sua vicenda, un altro paese europeo da seguire con attenzione. Pubblichiamo qua sotto l’articolo di Francisco Louça, economista, militante della IV Internazionale, fondatore e membro della direzione del Bloco de Esquerda (BE), di cui è stato coordinatore dal 2005 al 2012, deputato e candidato alle elezioni presidenziali del 2006. (red.)
Un accordo tra il PS e il Blocco di Sinistra (BE), e un accordo tra il PS e il Partito comunista permettono di rovesciare, il 10 novembre, il governo di destra.
Alla fine della settimana scorsa è stato concluso un accordo tra il Partito socialista (PS) e il Partito comunista portoghese (PCP), in seguito a quello concluso tra il Blocco di sinistra (BE) e il PS. C’è dunque una maggioranza parlamentare per rovesciare il governo di destra – che sarà stato il più breve nella storia del Portogallo – e per fermare la saga di Pedro Passos Coelho (PSD) e di Paulo Portas (CD-PP). Il risultato è fondamentale e storico: dopo il dissanguamento dell’austerità si comincia a voltare pagina.
Nel corso delle ultime settimane, a volte ho criticato il ritardo nella conclusione di questo accordo e la mancanza di audacia, poiché invece di un’affermazione forte ci sono voluti due accordi separati – che tuttavia dicevano la stessa cosa – e persino tre diverse mozioni di censura. Ma ora un accordo c’è, è pubblico, e dunque le questioni più importanti sono il suo contenuto e la sua durabilità, che io esamino a partire dal solo punto di vista che mi interessa: la risposta alla crisi sociale aggravata dallo strazio dell’austerità.
Il contenuto dell’accordo
Comincerò dal contenuto dell’accordo. Le tre condizioni poste nel dibattito elettorale televisivo da Catarina Martins (portavoce del BE) ad Antono Costa (segretario generale del PS): – l’abbandono da parte del PS del progetto di riduzione della tassa sociale unica (TSU) padronale e della TSU salariale che porta alla riduzione delle pensioni, la soppressione del diritto alla rottura del contratto di lavoro detta conciliatoria, e la fine del blocco delle pensioni – sono state, ancora prima della campagna elettorale, il punto di partenza dell’accordo di questo fine settimana. Visti i risultati elettorali, che facevano perdere la maggioranza alla destra, il PS accettava le condizioni. Molti socialisti si sono sentiti sollevati poiché non erano d’accordo con queste tre idee del loro partito.
Ma gli accordi ora rivelati e inclusi nel programma del nuovo governo vanno ben aldilà di quelle condizioni e anche molto più lontano. Sono una risposta d’urgenza con misure d’urgenza, ma possono andare oltre, dare una risposta durevole come alternativa alla politica di austerità a condizione di essere determinati a farlo.
Pongono fine alle privatizzazioni. Non ci saranno nuove privatizzazioni. Includono anche il rovesciamento del recente processo di concessione dei trasporti urbani a Lisbona e a Porto. Proteggono l’acqua come bene pubblico essenziale.
Riguardo al reddito da lavoro, questi accordi saranno benefici per milioni di lavoratori. I salari della funzione pubblica saranno ristabiliti (la restituzione sarà completata nel 2016) e tutti i salariati del settore privato beneficeranno dell’aumento dei loro redditi (al di sopra di 600 euro mensili con la riduzione della sovrattassa, che sparirà nel 2017; al di sotto di 600 euro con lo sgravio della tassa per la sicurezza sociale, senza effetto sulle pensioni future e senza che questo riduca il finanziamento del sistema di protezione sociale). Le quattro giornate festive – la cui soppressione significava più ore di lavoro con lo stesso salario – saranno restituite. Tutti i lavoratori, cioè 4 milioni di persone, ne beneficeranno.
Tutti i redditi dei pensionati – che sono 2 milioni – aumenteranno (quelli di meno di 600 euro con la fine del blocco e un piccolo aumento, quelli di più di 600 euro con la soppressione della sovrattassa sull’imposta sul reddito). Al contrario, la destra proponeva di tagliare 4 miliardi di euro nella sicurezza sociale (1,6 miliardi con il blocco delle pensioni, 2,4 miliardi riducendo le prestazioni di 0,6 miliardi di euro ogni anno, come promesso a Bruxelles). La differenza è enorme.
Saranno stabilite nuove regole fiscali: il ristabilimento della progressività dell’imposta sul reddito con più scaglioni; la fine del quoziente familiare che favoriva le famiglie più ricche, e la sua sostituzione con una deduzione nell’imposta sul reddito di una cifra uguale per ogni bambino; ci sarà un limite all’aumento della tassa fondiaria che non potrà superare 75 € all’anno; sarà posta fine alla riduzione delle imposte sui profitti delle imprese; la durata del trasferimento delle perdite delle imprese sui loro conti passerà da 12 a 5 anni; le regole fiscali saranno modificate per ridurre i vantaggi fiscali dei dividendi; infine, l’IVA sulla ristorazione sarà ridotta al 13 %.
In risposta alla pauperizzazione, il salario minimo sarà portato a 557 euro dal 1° gennaio 2017 e a 600 euro entro la fine della legislatura. Le tariffe dell’elettricità saranno ridotte per le famiglie più povere. Un milione di persone beneficerà di queste misure.
Saranno adottate misure affinché i falsi contratti di lavoro autonomo (recibos verdes) diventino veri contratti di lavoro, e per rilanciare la contrattazione collettiva. Sarà posta fine al regime di mobilità speciale nella funzione pubblica, che permetteva il licenziamento.
Non sarà più autorizzato lo sfratto per non pagamento dei debiti pubblici e, in caso di debiti ipotecari presso le banche, se non c’è alcuna soluzione in termini di nuove scadenze o tassi di interesse, il trasferimento di proprietà dell’alloggio alla banca annullerà il debito.
È stata presentata una lista di misure per la sanità e l’istruzione, che va dalla riduzione delle tasse cosiddette moderatrici (non rimborsate dalla sicurezza sociale) al riutilizzo dei manuali scolastici.
Il PS ha anche ritirato la sua proposta di una nuova legge elettorale che avrebbe introdotto la scrutinio uninominale a un turno.
Infine, è stata stabilita una procedura di cooperazione parlamentare e di consultazioni reciproche, che include la creazione di commissioni sulla sostenibilità del debito estero, e sul futuro della sicurezza sociale, che devono presentare rapporti trimestrali.
Quello che è stato ottenuto in questo modo è la stabilizzazione della vita delle persone, un sollievo per i pensionati, una ripresa dei salari, la protezione dell’occupazione e una maggiore giustizia fiscale. Dall’altro lato, con questo aumento della domanda aggregata, l’economia reagirà immediatamente in modo positivo.
Allora, che cosa manca?
Questi accordi mancano di risposte strutturali per l’investimento, per la gestione del bilancio estero, e per migliorare l’equilibrio dei redditi. Tutto ciò esige una ristrutturazione del debito. Senza questa, non si vede come disporre di un margine sufficiente per resistere alle pressioni esterne, o per rilanciare l’occupazione. C’è bisogno di investimenti, della creazione di capacità produttive, ed è lo Stato che deve svolgere una funzione strategica in risposta alla recessione prolungata che abbiamo vissuto.
Inoltre non si può anticipare quali saranno le condizioni di Bruxelles o di Berlino, della Banca centrale europea o delle agenzie di valutazione [rating], ma non saranno favorevoli. Bisogna ricordare che due giorni dopo le elezioni, la Commissione europea ha pubblicato un comunicato che esigeva nuove misure sulla sicurezza sociale, e che la questione continuerà ad essere un terreno di scontro. O ancora, che le agenzie di valutazione hanno minacciato la Repubblica portoghese. Infine, il caso del Novo Banco esploderà prima dell’estate, con perdite importanti per il bilancio, bisogni di ricapitalizzazione o di un processo di risoluzione che dovrà tenere conto delle esigenze tecniche allo scopo di proteggere il bene pubblico e ridurre il debito estero.
Tali sono i problemi che busseranno alla nostra porta nei mesi e anni a venire. La nuova maggioranza lo sa, ed è per questo che nell’accordo, una clausola di salvaguardia garantisce che, di fronte a situazioni di bilancio impreviste o situazioni nuove, la risposta non sarà mai l’aumento delle tasse sull’occupazione, o la riduzione dei salari e delle pensioni. Conviene dunque cominciare a prepararsi su quale sarà la risposta poiché l’imprevisto arriverà prima del nuovo bilancio.