Il Partido Socialista Obrero Español (PSOE) affronta queste elezioni con autentica angoscia. Dal 1977 a oggi è stato complessivamente al governo della Spagna per oltre vent’anni (1982-1996 e 2004-2011); e quando si è trovato all’opposizione, è sempre stato, e di gran lunga, il primo partito.
Ha esordito nel 1977 con un 29,4% dei voti, saliti a 48,4 nel 1982. Dopo una lenta discesa nel corso degli anni che lo ha portato a un 34,7 nel 2000, è ritornato oltre quota 40% nel 2004 e nel 2008, per poi crollare (con una perdita di oltre quattro milioni di voti) al 29,2% nelle ultime elezioni generali, quelle del 2011. Ora i sondaggi (da prendere con le pinze, naturalmente) lo collocano attorno al 20%, dopo che nelle europee del 2014 era già sceso al 23,6%. Nessuna possibilità di superare il Partido Popular (PP), dunque, ma qualche possibilità (remota, ma non del tutto inesistente) di perdere anche il secondo posto, a favore di Ciudadanos o, più realisticamente, di Podemos. In un modo o nell’altro, sarà la fine di un ciclo durato quasi mezzo secolo: il ciclo del bipartitismo e del ruolo “centrale” giocato dal PSOE assieme al PP. Come si è arrivati a questo punto? Facciamo qualche passo indietro.
Un po’ di storia
Fra i partiti operanti in Spagna il PSOE è uno dei più vecchi (la sua fondazione risale al 1879). Nell’ambito di una scheda come questa, è ovviamente impossibile tracciarne la storia, se non a grandi linee, cercando di fissare date e avvenimenti significativi per comprenderne l’evoluzione.
Fino agli anni Trenta del secolo scorso il PSOE non svolge un ruolo significativo. A somiglianza di altri partiti socialisti della fine del XIX-inizi del XX secolo, è caratterizzato da confusi orientamenti ideologici, che fanno convivere nel suo seno “anime” contrastanti, dal massimalismo estremo (e spesso solo verbale) al riformismo più spinto. La scissione della sua ala sinistra, che darà origine al partito comunista, non ne arresta l’ascesa nel corso degli anni Venti-Trenta. Ascesa contraddittoria, che lo vede passare da un estremo all’altro, a seconda del prevalere al suo interno di questa o quella componente: si va così dalla compromissione con la dittatura del generale Primo de Rivera (1923-1930) all’adesione al Fronte popolare (1931-1939), in qualità di più forte partito della sinistra.
Non ci soffermeremo sulle vicende del socialismo spagnolo durante questo periodo [1]. Fatto è che alla fine della guerra civile il PSOE cessa praticamente di esistere, eccezion fatta per una “direzione in esilio” (a Tolosa, in Francia), contraddistinta da un anticomunismo viscerale, che non farà alcun serio tentativo, a differenza dei comunisti, per ricostruire il partito nella clandestinità.
I molti socialismi del dopo Franco
Si può dire che è solo a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso che il socialismo rinasce in Spagna, con la formazione non di uno, ma di diverse decine di partiti socialisti clandestini. Non solo infatti sorgono un po’ ovunque nuclei che si richiamano al vecchio PSOE, e che fanno riferimento alla direzione di Tolosa (i più consistenti dei quali sono quelli andalusi), ma praticamente in ogni regione della Spagna si sviluppano uno o più partiti senza alcun rapporto col PSOE, dai vari orientamenti (sinistra socialista, socialdemocrazia) e con un mix diversamente dosato di socialismo e nazionalismo (partiti socialisti andalusi, aragonesi, baschi, catalani eccetera). Il più serio concorrente del PSOE è però il Partido Socialista del Interior, fondato da Tierno Galván nel 1968 e diventato Partido Socialista Popular (PSP) nel 1974, una sorta di PSIUP spagnolo.
Di fronte all’evidente incapacità della direzione di Tolosa di “dirigere” la ricostruzione del partito, le organizzazioni clandestine del PSOE dell’interno (i renovadores, capeggiati dall’andaluso Felipe González) al congresso di Tolosa (1972) destituiscono il segretario Rodolfo Llopis [2] e rilanciano il partito, garantendosi solidi appoggi e finanziamenti dell’Internazionale socialista, e in modo particolare della SPD tedesca.
Il tramonto del franchismo coincide con una prima parziale apertura del regime: pur non legalizzati, i partiti vengono in qualche modo “tollerati”, e la riorganizzazione può procedere più rapidamente. Il PSOE renovado deve fare i conti non solo con la pletora degli altri partiti e partitini che si richiamano al socialismo, ma soprattutto con il Partido Comunista de España (PCE), con una struttura più solida e articolata (anche se, come si vedrà in seguito, sopravvalutata). La linea scelta è quella di una svolta a sinistra, con una netta rivendicazione del marxismo (l’Internazionale socialista lascia fare: sa che è una scelta tattica per contrastare il PCE) e prese di posizione che spesso e volentieri scavalcano a sinistra il partito di Carrillo. Il PSOE cerca allora di porsi alla testa di un blocco di partiti che faccia da contraltare al blocco che il PCE va costruendo attorno a sé. Così, quando il PCE, nel 1974, dà vita alla Junta Democrática de España(con il PSP, le Comisiones Obreras, l’Alianza Socialista Andaluza, eccetera), il PSOE risponde l’anno dopo con la Plataforma de Convergencia Democrática (cui aderiscono, oltre al sindacato socialista UGT e a partiti democristiani “progressisti”, anche alcuni gruppi di estrema sinistra, come il Movimiento Comunista de España e la maoista Organización Revolucionaria de los Trabajadores) [3].
La svolta socialdemocratica
La svolta a sinistra del PSOE dura poco più dello spazio di un mattino. Assicuratosi il secondo posto nelle elezioni del 1977, e quindi sconfitti non solo il PCE, ma anche i gruppi socialisti concorrenti [4], il PSOE fa i conti col marxismo, ripudiandolo nel corso di due congressi nel 1979 e adottando chiaramente un orientamento socialdemocratico (conto saldato con la SPD…). Seguiranno a breve distanza il capovolgimento della posizione ostile all’adesione alla NATO e un progressivo slittamento verso politiche sempre più filocapitalistiche. La conquista del governo, nel 1982, innescherà poi un processo degenerativo anche sul piano morale, con il coinvolgimento di suoi dirigenti in gravi affari di corruzione, fino alla criminale conduzione della «guerra sporca» (guerra sucia) contro l’ETA mediante i GAL [5].
La relativa gradualità di questa involuzione ha consentito al PSOE di porsi come punto di riferimento di un ampio arco di forze, che hanno finito col confluirvi, senza peraltro subire significative perdite a sinistra. [6] A questo rafforzamento, paradossalmente, si è però accompagnata una graduale flessione elettorale, che nel 1996 (anno in cui scoppiano sia il caso Roldán – corruzione – sia, a esso intrecciato, il caso GAL) si trasforma in disfatta.
La rimonta avviene nel 2004, in seguito alla folle reazione all’attentato di Atocha di Aznar e del PP [7]. Il nuovo premier Zapatero sembrava inaugurare un “nuovo corso” nel socialismo spagnolo: massima apertura nel campo dei diritti civili; ritiro delle truppe dall’Iraq, dove le aveva spedite Aznar. Ma sotto questa non disprezzabile di per sé spruzzata di democrazia l’orientamento economico di fondo restava quello neoliberista, perseguito anche quando i suoi effetti cominciavano a essere evidenti a tutti. L’ostinazione nel non correggere la rotta ha portato il PSOE alla pesante sconfitta del 2011, dalla quale pare ormai impossibile si possa riprendere.
Quali prospettive?
Il PSOE è impreparato alla fine del suo ruolo in un sistema bipartitico. Sa che ormai non sarà più in grado di presentarsi come una alternativa di governo autosufficiente, che nella migliore (e improbabile) delle ipotesi dovrà cercare alleati. Ma nel frattempo, per rosicchiare il rosicchiabile, spara ad alzo zero contro tutti, vaneggiando di una surreale alleanza di fatto PP-Ciudadanos-Podemos contro di lui. Si sente stretto in una morsa: incapace di penetrare ulteriormente nell’elettorato del PP, sa di dover perdere una parte del suo elettorato centrista verso Ciudadanos e una parte del suo elettorato più a sinistra verso Podemos. In qualunque direzione si muova (un po’ più a sinistra o un po’ più a destra?) sa di perdere qualcosa senza la certezza di guadagnare altrettanto. A complicare le cose, c’è tutta la situazione europea, con la socialdemocrazia che Paese dopo Paese esce sconfitta da prove elettorali: l’ultimo caso, devastante, è la Francia.
Non gli resta che fare appello, e lo sta facendo, al «voto utile». Senza però riuscire a spiegare l’«utilità» di questo voto.
[1] Per un inquadramento generale si veda di Antonio Moscato in questo stesso sito: Lo stalinismo e la rivoluzione spagnola (3)
[2] Llopis guiderà una piccola scissione, fondando il PSOE (histórico), che non avrà che un ruolo marginale in seguito.
[3] Nel 1976 i due raggruppamenti di opposizione si unificheranno nella Coordinación Democrática, la cosiddetta PlataJunta.
[4] Il PSP e la Federación de Partidos Socialistas (FSP), che raggruppava la maggioranza dei partiti socialisti indipendenti, si erano presentati alle elezioni all’interno della coalizione di Unidad Socialista, ottenendo solo il 4,5% e 6 seggi.
[5] I GAL (Grupos Antiterroristas de Liberación) furono una creazione dei servizi segreti spagnoli, con il consenso (e probabilmente anche l’ispirazione) del ministero degli Interni, allora retto dal socialista Barrionuevo. Operarono soprattutto nei Paesi baschi e in Francia, dove si trovavano le basi di appoggio dell’ETA. Ne facevano parte agenti spagnoli, mercenari francesi e in alcuni casi anche esponenti di gruppi di estrema destra. Sono stati accertati una sessantina di omicidi a loro imputati, ricorrendo a auto-bombe, assalti a locali pubblici, esecuzioni con tiro alla nuca di membri dell’ETA, reali o presunti, dopo che erano stati presi prigionieri (fra tutti, il caso Lasa e Zabala). Fra gli assassinati vi furono anche diversi cittadini francesi, risultati poi estranei a qualunque rapporto con l’ETA. Dopo che i rapporti fra pezzi dello Stato spagnolo e GAL vennero accertati, si arrivò a un processo, in cui le pene più severe (70 anni di carcere) vennero comminate a un generale della Guardia Civil (Galindo) e ad altri due imputati. Pene più lievi ricevettero il ministro degli Interni, Barrionuevo (10 anni), il segretario del PSOE di Biscaglia, Damborenea (10 anni) ed altri imputati. Il PSOE ha sempre negato sino a oggi di essere stato a conoscenza dell’esistenza dei GAL: ma senza convincere nessuno. Se è vero che il terrorismo dell’ETA non era più giustificato dopo la fine del franchismo (almeno, questa è l’opinione di chi scrive), è altrettanto vero che il ricorso a mercenari e a estremisti di destra per mettere in pratica un “controterrorismo” di Stato di questa natura ha gettato sul PSOE una macchia indelebile.
[6] Per limitarci ai casi più importanti, nel 1978 confluiscono nel PSOE i due partiti socialisti catalani coi quali si era coalizzato l’anno prima, il PSP e la maggior parte dei partiti che avevano formato la FSP; nel 1991 assorbe l’eurocomunista Partido de los Trabajadores de España-Unidad Comunista, fondato dall’ex segretario del PCE Santiago Carrillo; nel 1993 nei Paesi baschi si ha la fusione con Euskadiko Ezkerra (Sinistra basca).
[7] Vedi in questo sito Spagna (2) – Lo schieramento della destra cavernicola