Non una sola regione al Front National (Fronte Nazionale – FN) – che, pure, incassa il miglior risultato della sua storia. Una vittoria della destra – più debole di quanto non ci si aspettasse. Un partito socialista in ritirata – che salva appena la faccia. Una “sinistra della sinistra” emarginata o subordinata, impercettibile. Questi in poche parole i risultati delle elezioni regionali del dicembre 2015.
Niente sarebbe più sbagliato che pensare che il FN sia solo un partito da primo turno e che al secondo, quasi ritualmente, verrebbe bloccato da un “sussulto repubblicano”. Accade questa volta, non è sicuro che succeda la prossima. Soprattutto se la sinistra di governo persiste nella sua politica neoliberista (che è quanto annuncia) e se la destra si radicalizza ulteriormente, come vuole Nicolas Sarkozy.
Il compito prioritario è quindi quello di far di tutto pur di bloccare le politiche di austerità del governo Hollande-Valls – e, allo scopo, porre fine allo stato d’emergenza, sconfiggere la riforma costituzionale tendente a banalizzare il ricorso a misure d’eccezione repressive.
Il Fronte nazionale, un pericolo vero
Le elezioni regionali segnano una nuova avanzata del FN: quasi 7 milioni di voti, più del numero di suffragi ottenuti da Marine Le Pen alle ultime Presidenziali. Elezione dopo elezione, a partire dal 2012, i voti FN aumentano. Il FN è diventato, sul piano elettorale, il primo partito del paese. In mancanza di alleanze, resta sotto la maggioranza assoluta ma, con l’approfondirsi della crisi di regime attraversata dalla Francia, le cose possono cambiare. Non si può più escludere l’eventualità della vittoria di Marine Le Pen alle prossime elezioni Presidenziali, nel 2017.
Le ragioni di questa avanzata elettorale del FN sono note: deterioramento globale dei rapporti di forza a sfavore del movimento operaio, politica neoliberista assunta dai governi di destra e di sinistra, persistenti conseguenze della dominazione postcoloniale, nuova collocazione del paese (marginale) nella globalizzazione capitalista. Il combinarsi degli effetti della prolungata depressione economica in Europa, della crisi politica connessa alle scelte del governo, delle conseguenze degli attentati terroristi perpetrati dallo Stato islamico e di una nuova ondata di razzismo fra le classi popolari fornisce il terreno di cui il FN si alimenta.
Il FN è ormai presente in tutti gli strati della società. Diventa elettoralmente maggioritario fra operai e impiegati (perlomeno fra quelli che votano). La borghesia globalizzata non fa certo la scelta del FN – soprattutto quella della sua politica di uscita dall’Euro – ma il padronato in questo momento è diviso. La scelta FN oggi non corrisponde agli interessi ben meditati delle classi dominanti; tuttavia, la crisi politica è tale, gli apparati sono così indeboliti, che “l’incidente elettorale”, pur non essendo la “variante più probabile”, non può essere disinvoltamente escluso.
A rischio di disarmarci, non vanno minimizzati il pericolo rappresentato dal FN, gli effetti distruttivi che avrebbe oggi l’eventuale vittoria frontista. Occorre condurre la battaglia politica contro l’estrema destra – un governo FN non sarebbe solo un governo di destra in più. Alcuni pensano il contrario, come Jacques Rancière, che sostiene: «Se analizzo il FN come il frutto dello squilibrio della nostra logica istituzionale, la mia ipotesi è piuttosto quella dell’integrazione all’interno del sistema. Esistono ormai molte similitudini tra il FN e le forze presenti nel sistema».
Alla domanda – se il FN arrivasse al potere, questo avrebbe conseguenze concrete per i settori più deboli della società francese – Jacques Rancière risponde, senza troppa cautela: «Probabilmente sì. Ma io vedo male un FN che organizzi grandi partenze in massa, di centinaia di migliaia o milioni di persone, per rimandarle “a casa loro”. Il FN non sono i “poveri bianchi contro gli immigrati”. Il suo elettorato si estende a tutti i settori della società, incluso fra gli immigrati. Allora, naturalmente, potrebbero esservi azioni simboliche, ma non credo che un governo UMP-FN sarebbe molto diverso da un governo UMP…».[1]
Certe tendenze ultrasinistre si spingono oltre, mettendo sullo stesso piano il PS, la destra e il FN.
Noi non siamo d’accordo con queste analisi.
Il FN non è un partito fascista come negli anni Trenta perché non siamo negli anni Trenta. L’origine della sua direzione è fascista, i suoi temi nazional-socialisti riprendono le classiche tematiche dell’estrema destra, la priorità nazionale, il razzismo anti-immigrato, soprattutto anti-musulmano, restano al centro della sua politica. Non è un partito fascista classico, ma non è un partito borghese come gli altri.
Un governo FN non è un governo UMP e ancor meno un governo PS. Il voto PS e il voto FN non sono la stessa cosa. Se votare a destra dopo il ritiro delle liste PS, nel Nord e nel PACA [Provenza, Alpi, Costa Azzurra], ha contribuito alla confusione e alla scomparsa della sinistra nella battaglia contro il FN, non si deve esitare a votare socialista contro il FN.
Certo, Valls e Hollande portano avanti una politica neoliberista che distrugge le condizioni di vita di milioni di lavoratori; vogliono rendere costituzionale lo stato d’emergenza. Scivoliamo sempre più verso sistemi politici autoritari. La democrazia parlamentare è svuotata di quanto le resta di “democratico”.
Hollande e Valls guidano una politica che distrugge la sinistra, come altri “socialisti” hanno fatto in passato. A questo punto del XXI secolo, i dirigenti “social-democratici” disfano quel che ha fatto la socialdemocrazia storica.
Tuttavia, per grave e liberticida che sia, lo stato d’eccezione di Valls non è ancora quello di Marine Le Pen. Al centro del programma di quest’ultima non vi è certo la mobilitazione della piccola borghesia tramite milizie fasciste per liquidare il movimento operaio; c’è però la “Priorità nazionale”, contrapposta a svariati milioni di stranieri e di francesi di origine straniera – nonché a tutti/e quelli/e che li proteggessero.
Esistono molte similitudini tra il FN e altre forze del sistema, ma il FN non è comunque integrato nel sistema. L’orientamento di Marine Le Pen non è un progetto alla Gianfranco Fini in Italia. Quest’ultimo, uscito dal Movimento sociale italiano (MSI), poi creatore di Alleanza nazionale (AN) nel 1995, è entrato nel 2009 nella formazione di Berlusconi, Il Popolo della libertà, prima di separarsene nel 2010. È stato ministro dei governi Berlusconi I e III. Si è effettivamente inserito nel sistema.
La maggioranza del FN non intende fare alleanze in cui il partito si ritroverebbe in posizione subordinata. I/le suoi/sue dirigenti vogliono spaccare la destra e soppiantarla. Oggi, quindi, non possono superare una certa soglia elettorale. Scommettono tuttavia sull’acuirsi della crisi, sulla divisione e l’esplosione della destra. È un’ipotesi che possiamo escludere?
Tenuto conto dell’attuale situazione internazionale, del disorientamento politico, della mancanza di alternativa solidaristica credibile al sistema, della pressione razzista interna, il FN può sorreggersi su certi strati della società per legittimare le discriminazioni, la repressione, o l’espulsione degli stranieri, soprattutto di quelli musulmani. Si tratta di un fermento di guerra civile che implica una radicale soppressione delle libertà democratiche. Ci sarà una notevole differenza tra tutte le formule politiche, autoritarie, bonapartiste, innescate dalla socialdemocrazia o dal centro-destra e un regime dominato dall’estrema destra.
La lotta contro il FN deve assumere una nuova dimensione e va quindi ripensata – perché, a questo punto, abbiamo fallito nel farla. Le mobilitazioni centrali minoritarie contro il FN non sono più funzionali. Bisogna “riprendere tutto dal basso”, nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri, nelle varie località, in unità d’azione con tutte le forze democratiche – organizzare le mobilitazioni contro le misure prese localmente da questo partito, soprattutto nelle città che dirige, sul piano dell’istruzione, della cultura, della difesa delle libertà.
Sottolineare lo specifico pericolo costituito dal FN non significa riservare al governo e alla presidenza Hollande il sia pur minimo apprezzamento! Lo stato d’emergenza alla Valls punta ormai ad assuefare la società a vivere in stato d’eccezione, a delegittimare il controllo della giustizia sull’apparato repressivo e sull’esecutivo, a sottoporre i/le cittadini/e a sorveglianza generale, a restringere di fatto le libertà democratiche, a rendere atoni i movimenti sociali.
Lo stato d’emergenza di Valls-Holland crea in questo modo le condizioni politiche e i condizionamenti mentali che potrebbero favorire domani l’imposizione di uno stato d’emergenza “bleu marine”. L’attacco alle libertà democratiche che stiamo attualmente subendo è estremamente grave, senza precedenti in Francia dalla guerra d’Algeria. L’urgenza, il compito principale è quindi quello di contrapporre ai nostri governanti il fronte democratico più ampio possibile. È bloccando la presente applicazione delle politiche di “austerità e sicurezza”, ridando fiducia a settori combattivi all’interno dei sindacati, delle associazioni, delle fabbriche, delle località, ricostruendo un’alternativa politica anticapitalista, che cominceremo a fare arretrare il FN.
La lotta prioritaria alle politiche di austerità e securitarie del governo Valls-Hollande non deve indurre a minimizzare o a relativizzare la lotta contro il FN, e viceversa.
Le destra divisa
La destra tradizionale ha vinto le elezioni regionali, senza con ciò che questo relativo successo rimetta in discussione il ruolo centrale conquistato dal FN nella vita politica. La destra rimane sotto pressione.
La situazione spinge alla ricomposizione della vita politica – cosa più facile a dirsi che a farsi. I commentatori “avvertiti” esortano gli apparati di destra e di sinistra a orientarsi verso l'”Unità nazionale”, soprattutto contro il FN, rinviando alle formule governative di unità o raggruppamento della destra, del centro e della socialdemocrazia attualmente dominanti in Germania e nell’Unione Europea. In Francia, tuttavia, questo orientamento è ben difficile da concretizzare.
La pressione esercitata dal FN fa pencolare una parte considerevole degli elettori di destra verso il voto al FN. Favorisce, più in generale, la radicalizzazione della destra tradizionale.
Nelle ultime elezioni, il PS ha ritirato le proprie candidature in due regioni, il Nord e la Provenza-Alpi-Costa-Azzurra, chiamando a votare al secondo turno per la destra per fare lo sbarramento al FN – indicazione largamente seguita dagli elettori di sinistra. In compenso, la cosiddetta destra ha rifiutato ovunque di ritirarsi in favore di candidati di sinistra – Nicolas Sarkozy proclamava addirittura: «Votare PS o FN è la stessa cosa»…
Così, nel caso in cui si contrapponessero in un’elezione candidati del PS e del FN non è assolutamente evidente che l’elettorato di destra farebbe da sbarramento all’estrema destra. È questo interrogativo che rende possibile “l’incidente elettorale” di fondo: la sconfitta di Hollande rispetto a Marine Le Pen al secondo turno della prossima tornata presidenziale.
Nicolas Sarkozy vuole incarnare questo elettorato reso incandescente. Pretende di fare arretrare il FN riprendendone il programma. Risultato: molti elettori preferiscono l’originale alla copia, e Sarkozy si indebolisce nel suo stesso campo. Le divisioni, se non le spaccature, in seno alla destra tradizionale aprono spazi ai suoi concorrenti, Alain Juppé, Bruno Lemaire e François Fillon. Il dopo-Regionali si preannuncia come un periodo di turbolenza, incerto.
Sono ormai anni che in Francia esiste uno spazio virtuale per un “centro” ricomposto, che tuttavia non riesce a prender forma a causa della forza d’inerzia degli apparati e delle clientele elettorali – nonché dei condizionamenti dell’elezione presidenziale, principale posta in gioco delle istituzioni. Condizionamento tanto più forte in quanto non c’è vice-presidente, nessun ticket che possa configurare un’alleanza e soddisfare almeno due diversi ego, due “scuderie”.
Realizzare prima l’unità della destra e del centro per poi, eventualmente, stringere domani alleanze con una parte della sinistra sembra un progetto razionale (incarnato da Alain Juppé?), ma si scontra con la dinamica di radicalizzazione a destra e con la debolezza strutturale del centro.
Il rischio per la destra, nel caso in cui Nicolas Sarkozy fosse il candidato alle presidenziali, è l’inverso: una candidatura centrista (François Bayerou?) potrebbe impedirne l’acesso al secondo turno, lasciando faccia a faccia Hollande e Marine Le Pen…
Doppio vicolo cieco, quindi, che probabilmente si risolverà solo nel caso di una aperta crisi a destra, cosa che per il momento blocca la realizzazione dell’unità nazionale con il PS o una parte di questo.
Dove va il partito socialista?
Ha salvato qualcosa, ma l’arretramento è patente.
Ottiene risultati migliori che non alle recenti elezioni Europee e Dipartimentali ma, al primo turno delle Regionali, è arrivato pur sempre dietro il FN e la destra, con meno del 25% dei voti. Il totale della cosiddetta sinistra si aggira solo intorno al 30%. La decisione di non presentare liste al secondo turno in alcune regioni è gravida di conseguenza: significa disertare, anche sul terreno parlamentare, la lotta contro la destra e il FN.
L’operazione può apparire una furba manovra tattica che consenta ad Hollande di presentarsi come colui che raccoglie nel 2017 alle presidenziali, contando sulla divisione delle destre. Nel frattempo, però, il PS si ritira dalla lotta politica in due regioni essenziali.
La scelta rivela il logoramento continuo del PS dal 2012. È passato da 280.000 aderenti (cifra ufficiale!) nel 2006 a 130.000 nel dicembre 2014. Solo 70.000 “militanti” hanno votato per l’ultimo Congresso. Tuttavia, questo partito non conosce una “pasokizzazione”: Registra ancora il 20% dei suffragi, non crolla bruscamente. La crisi è ben lungi dal raggiungere in Francia quella dell’equivalente greco, anche se l’indebolimento della socialdemocrazia è comunque notevole.
Ancor più rilevante: il PS conosce un profondo mutamento della sua natura. Vi è quella che potremmo chiamare un’accelerazione nella trasformazione borghese della socialdemocrazia. Un processo che viene da lontano e che si traduce nell’inserimento senza precedenti degli apparati socialdemocratici nei vertici dello Stato, delle istituzioni mondiali (FMI, OMC…) e nell’economia globalizzata. I partiti socialisti sono diventati «sempre meno operai e sempre più borghesi. La brutalità delle politiche neoliberiste erode le loro basi sociali e politiche.
In forme diverse, i partiti socialisti si trasformano in partiti borghesi. Diventano per questo partiti borghesi come gli altri? Nient’affatto, il funzionamento dell’alternanza esige partiti socialisti che segnino le loro differenze dagli altri partiti borghesi. Restano legati, per la loro origine storica, al movimento operaio, ma non sono più se non tracce che si cancellano nella memoria dei/delle militanti. Questo crea nonostante tutto alcune contraddizioni e opposizioni al loro interno. Possono conservare un qualche rapporto con il “popolo di sinistra”, anche se sempre più allentato. Se questo mutamento qualitativo arrivasse fino in fondo trasformerebbe questi partiti in “partiti democratici all’americana”.
Siamo forse alla vigilia di avvenimenti che cristallizzerebbero un salto qualitativo in questo processo (per uno dei redattori di questo articolo, tale trasformazione è già per l’essenziale avvenuta nel caso francese). [Per non parlare del caso del PD italiano… NdR]
Il risultato delle regionali è sufficiente perché Hollande e Valls persistano e sottoscrivano: proseguire con le politiche neoliberiste, poi passare alla costruzione di un nuovo partito dall’andamento “democratico all’americana”. In particolare Manuel Valls, ma anche sempre più settori del PS, pone il problema del rinnovamento-rifondazione o di una nuova formazione politica che consenta di rompere con quel che resta dei legami con la storia della socialdemocrazia
La nuova situazione internazionale, la durata della depressione economica neoliberista, l’integrazione nelle politiche dell’UE, la marcia verso un regime autoritario spingono a un’evoluzione interna al PS, a cambiamenti che lo devitalizzano progressivamente… Resta pur sempre che per i Valls, i Macron e altri il PS è sempre non abbastanza a destra: bisogna accelerare il passo. Vi saranno resistenze? Di quale ampiezza? In quali forme… La sorpresa britannica sta ad indicare che, anche là dove non ce lo si aspettava, ci sono reazioni imprevedibili. Questo non rimette in discussione il predominio del “blairismo” sul Partito Laburista, in particolare sulla sua rappresentanza parlamentare, ma vuol dire che i cambiamenti di paesaggio politico attraversano anche formazioni come il Labour.
Molte cose dipenderanno dalle prossime Presidenziali, ma in ogni caso i problema di una rifondazione-nuova formazione si proporrà, in rapporto alla scelta dell’opzione di una politica di Unità nazionale.
Sinistra radicale: la sconfitta. Come ricostruire
Per la sinistra radicale, queste elezioni costituiscono un profondo insuccesso: il NPA non è riuscito a presentarsi. Lutte Ouvrière (Lotta Operaia – LO) ha ottenuto solo poco più dell’1%. Il Front de gauche (Fronte di sinistra) non arriva al 5%, vale a dire meno della metà dei voti di Mélenchon alle Presidenziali. È la fine di un ciclo politico.
Dal 1955, ci sono state tre importanti esperienze politico-elettorali – se si pone l’accento sull’aspetto elettorale di queste. Nel 1995, con Arlette Laguiller e LO; nel 2002 e 2007 con la LCR – poi il NPA – e Olivier Besancenot; e, nel 2010-2012, con il Fronte di sinistra e Luc Mélenchon, che hanno ottenuto 4,5 milioni di voti nel 2012. Tre esperienze che hanno dimostrato le potenzialità di riorganizzazione politica a sinistra della sinistra, ma anche i loro limiti e i loro insuccessi. Questo spiega anche lo spazio lasciato libero al FN. In tutti e tre i casi, non c’è stato, al di là delle differenze politiche e storiche di ciascuna, l’emergere di formazioni politiche tipo Syriza, Podemos o Blocco di sinistra portoghese.
Il deterioramento dei rapporti di forza a scapito delle lotte e dei movimenti sociali degli ultimi anni si è ripercosso su tutte le formazioni della sinistra radicale. Il Fronte di sinistra che, con le sue specificità, ha dominato negli ultimi anni lo spazio politico a sinistra della sinistra, è stato paralizzato dalle sue contraddizioni interne. Le esitazioni tra l’affermazione della necessità di una politica di opposizione, spesso formulata da Mélenchon, e le alleanze del PCF con il PS o del PG con i Verdi ne hanno annebbiato il messaggio e la politica. L’ultima decisione di presentare al secondo turno delle Regionali liste insieme al PS non contribuisce di certo all’autonomia rispetto a un partito al governo che incarna l’austerità neoliberista e lo stato d’emergenza!
L’autonomia dal PS e dal governo resta un problema cruciale. Sono in molti a riconoscerlo, a sinistra. Occorre ricostruire, serve qualcosa di nuovo. Questo non sarà mai il risultato delle sole formazioni esistenti. Bisogna superarle. Questa nuova forza, però, non deve essere una specie di satellite del PS! Non può nascere se la sinistra radicale appare legata alla cosiddetta sinistra di governo.
In una situazione di ripiegamento, come quella in cui viviamo, esistono nonostante tutto lotte di resistenza, economiche, antirazziste, ecologiche, femministe, locali e settoriali – e contro lo stato di emergenza.
Questi movimenti sono insufficienti a rilanciare un’ampia ricomposizione a sinistra della sinistra. Per realizzare questo obiettivo occorreranno nuovi avvenimenti fondativi sociali e politici che abbiano una dimensione storica; ma l’inserimento concreto in questi “movimenti reali” è la condizione sine qua non per potere avanzare oggi.
La ricomposizione politica che noi auspichiamo si prepara soprattutto insieme alle lotte quotidiane, alle lotte di classe e di emancipazione in tutte le loro forme.
Ad esempio, la mobilitazione considerevole in occasione della COP 21, mantenuta nonostante lo stato d’emergenza, dimostra che una nuova generazione pone i problemi del cambiamento di sistema attraverso le questioni climatiche e le loro implicazioni (energia, trasporto, commercio, giustizia, diritti popolari…). È un movimento destinato a durare. Bisogna legarsi ad esso più strettamente, più quotidianamente, dialogare con i loro principali animatori. Così come bisogna partecipare alle esperienze locali, alle reti militanti e alla costruzione di fronti sociali o politici che raccolgono militanti di diverse origini, emersi da queste lotte, in grado di cominciare a formulare un’alternativa alle politiche di austerità, al produttivismo capitalista. Senza dimenticare le solidarietà internazionali, l’accoglienza ai rifugiati e agli immigrati, il sostegno alle vittime dei disastri umanitari e a tutti/e i/le nostri/e compagni/ che si trovano in situazioni particolarmente pericolose.
La lotta per i diritti offre uno zoccolo che consente di resistere oggi, preparando al contempo il futuro: diritti e rivendicazioni dei lavoratori, diritti delle donne, diritti degli/delle oppressi/e, diritti ecologici e sociali, diritti civili.
La lotta contro lo stato d’emergenza e la riforma costituzionale ha da noi un ruolo chiave. Dal suo successo infatti dipende in larga misura la difesa di uno spazio democratico, di libertà, che contribuisce a portare meglio avanti l’insieme delle nostre resistenze. Si tratta di una posta in gioco considerevole. È possibile vincere su questo terreno: non è sicuro che François Hollande ottenga la maggioranza dei 3/5 richiesta per adottare modifiche costituzionali in Congresso (Parlamento e Senato riuniti) o per via referendaria.
Battere il potere su questa questione darebbe un colpo di frusta alle lotte contro l’austerità, contro il FN, per alternative solidali, femministe ed ecosocialiste.
Articolo scritto per Viento Sur (http://www.vientosur.info).
[1] http://histoireetsociet.com/2015/04/04/debats-les-idiots-utiles-du-fn-avec-jacques-ranciere/