Come è andata in Spagna ormai è noto, e diversi punti essenziali sono già stati sottolineati in alcuni recenti articoli [1]. Se ritorniamo sull’argomento non è per «cretinismo parlamentare (o elettoralistico)», ma perché le elezioni permettono di fare il punto, almeno provvisoriamente, sullo stato della «coscienza di classe» delle «masse» (o della gente, o delle persone, come si preferisce). In una situazione come quella spagnola, con la disoccupazione che c’è, con il precariato che c’è, con gli scandali che ci sono stati, come reagiscono le masse, la gente, le persone?
Sappiamo che ci sono state importanti e ripetute mobilitazioni negli ultimi anni, che però, nell’ingessato sistema bipartitico spagnolo, non hanno mai trovato un adeguato sbocco politico: quello che avrebbe dovuto essere uno dei loro naturali referenti, per via di un certo passato e dell’etichetta che si è appiccicata addosso, e cioè il Partido Socialista Obrero Español (PSOE), in realtà era corresponsabile del disastro, ma ricattava le masse con l’argomento, intramontabile e universale, del «voto utile»: se non vinciamo noi, andrà peggio, con il Partido Popular… E buona parte delle masse si piegava al diktat. Chi ne faceva le spese era l’altro possibile, e più decente, referente, Izquierda Unida (IU), peraltro sempre oscillante fra la collaborazione col PSOE e una propria vagheggiata «rifondazione».
È solo dopo il 15 maggio 2011, dopo gli Indignados, che parte delle masse ha cominciato a rifiutare il diktat del bipartititismo, iniziando a costruire dal basso strumenti parziali, monotematici (azioni contro gli sfratti e le ipoteche, eccetera), che hanno sviluppato lotte esemplari sul piano sociale, ma che non potevano, per loro natura, mettere in discussione politicamente il sistema. Ed è qui che è entrato in scena Podemos, con tutti i limiti che ha e che sono stati ripetutamente segnalati qui e altrove. È stato il collante indispensabile, il momento coagulante, nel momento adatto, per saldare tra loro esperienze disparate ma tutte volte contro il sistema. «Farà la fine di Syriza?», molti si chiedono, sottolineandone limiti e incongruenze. Nessuno lo sa o lo può escludere. Quel che è certo è che con Podemos le sinistre anticapitaliste spagnole sono uscite dai fortilizi in cui s’erano asserragliate, a volte per impossibilità di fare altro, altre volte per incapacità, e si sono date alla guerra di movimento. Guerra che, se non la conduciamo noi, la conducono altri (Francia docet, ma anche Italia, Germania, Polonia…).
Uno spostamento a sinistra
Chiarito questo, torniamo ai risultati elettorali. Quello che la distribuzione dei seggi nasconde (123 PP, 40 Ciudadanos, 90 PSOE, 69 Podemos e alleati, 2 IU …) è il grande spostamento a sinistra di una parte consistente del corpo elettorale, che non si riflette che in modo distorto nell’assegnazione dei seggi per via della legge elettorale [2]. In altre parole, il bipartitismo in agonia ha sparato (forse) la sua ultima cartuccia: infatti, ogni seggio del PP è costato meno di 59.000 voti e ogni seggio del PSOE poco più di 61.000, mentre ogni seggio di Podemos ha richiesto 75.000 voti, ogni seggio di Ciudadanos oltre 87.000 e ogni seggio di IU addirittura più di 461.000… Detto altrimenti, il PP con il 28.9 % dei voti si becca oltre il 35 % dei seggi, il PSOE con il 22 % ne prende quasi il 26 %. Un premio al bipartito di oltre l’otto per cento. (Premio che non basta alla Boschi, golosa, che si è affrettata a ricordarci che con l’Italicum non si ripeterà una soluzione “alla spagnola”, che il quotidiano El País ci ha ricordato essere “all’italiana”. Boh)
Si diceva dello spostamento a sinistra. Podemos, contando anche le coalizioni di cui faceva parte, rasenta i 5.200.000 di voti (20,8%). Se si tolgono gli oltre 360.000 voti ottenuti nelle ultime elezioni generali del 2011 da alcune formazioni poi confluite al suo interno o con lui alleatesi (la coalizione Compromís nella Comunità valenzana, e alcune liste di Equo e di Izquierda Anticapitalista) si ha un saldo di oltre 4.800.000 voti. Da dove vengono? Premesso che gli spostamenti non sempre avvengono fra partiti contigui, la coalizione di IU (oltre 920.000 voti e 3,7 %) [3] ne perde oltre 760.000 e il PSOE (oltre 5.500.000 voti e 22,2 %: 1,4 % in più di Podemos…) si alleggerisce di oltre 1.500.000. Ammettendo (ma è poco plausibile) che siano andati tutti a Podemos, abbiamo altri 2.600.000 voti che vengono o da formazioni nazionaliste di sinistra (Bloco Nacionalista Galego in Galizia: meno 110.000 voti; Bildu nei Paesi Baschi meno 33.000; una parte, forse, della Candidatura d’Unitat Popular catalana che non si presentava e invitava all’astensione) o … da altrove. Sembra ragionevole, dunque, ritenere che Podemos e alleati abbiano non solo fatto il pieno a sinistra, ma abbiano pescato a piene mani anche nell’astensionismo di sinistra e in una parte dell’elettorato popolare che tradizionalmente votava … PP.
E la destra e il centro?
Il centro scompare. Il suo ambizioso rappresentante, l’Unión Progreso y Democracia (UPyD) precipita da quasi 1.150.000 voti a 150.000, con una perdita secca di quasi un milione e di oltre il 4 % (ora è allo 0,6 %). E i suoi cinque deputati vengono azzerati. Il Partido Popular “flette” (direbbero alcuni) da circa 11 milioni (45,3 %) a 7.200.000 (28,9 %): perdita secca di 3 milioni e mezzo di voti, del 16,7 % e di 64 deputati (ne aveva 186, più uno di un suo alleato e coalizzato). Ciudadanos, questa invenzione delle banche spagnole, ne recupera solo una parte, cospicua ma sempre parte: 3 milioni e mezzo, il 14 % e 40 deputati. Totale, il centro e centro destra nel loro complesso perdono oltre un milione di voti, quasi il 7 % e 29 deputati, senza far entrare nel conto le altre formazioni centriste “periferiche” (Coalición Canaria, Democracia i Llibertat, Partido Nacionalista Vasco, tutti in flessione più o meno accentuata).
Bipartitismo bye bye
Resta un’ultima considerazione. Nelle precedenti elezioni, PP (45,3 %) e PSOE (29,2 %) raccoglievano assieme quasi i tre quarti dell’elettorato. Ora ne rappresentano poco più della metà. Il bipartitismo è finito, dunque. Ma non s’arrende. PP e PSOE infatti non sono insensibili alla tentazione di mettersi insieme per dar vita a una “grande coalizione” sul modello tedesco. E ci stanno già pensando, visto che il PP più Ciudadanos non raggiunge la maggioranza assoluta necessaria. Settori interni al PSOE, e non poco influenti, già accennano a questa possibilità, camuffata ovviamente da “necessità” per “garantire la governabilità”. Grosso rospo da inghiottire per Rajoy, certo, ma ancora di più per una fetta non trascurabile della base socialista. Staremo a vedere.
Podemos al bivio
Infine, due tre cose ancora su Podemos. Si è accennato in un commento precedente [4] all’alternativa che poteva presentarsi a questo partito-movimento: costruirsi a partire dal centro dirigente, in modo non tanto “leninista” quanto un po’ giacobino, oppure porsi come stimolatore di processi di convergenza di altri settori di sinistra, senza pretendere una loro abdicazione. Guardando i risultati elettorali, salta agli occhi a chiunque che se fosse stata realizzata una convergenza fra Podemos e Izquierda Unida, il PSOE quasi sicuramente sarebbe scivolato in terza posizione, e i voti di IU non si sarebbero rivelati (quasi) sterili. Ma non abbiamo elementi per dire se tale convergenza sarebbe stata effettivamente possibile. Quel che si può fare, però, è mettere a confronto i risultati di Podemos da solo, nudo e crudo, e di Podemos in coalizione con altri.
Dove Podemos era solo si sono registrati risultati diversi fra loro, ma in alcuni casi sorprendenti. Per esempio nei Paesi Baschi, dove Podemos, col 26 % dei voti, arriva primo, superando il veterano Partido Nacionalista Vasco, e rubando voti anche alla izquierda abertzale di Bildu. O come in tre comunità dove si piazza al secondo posto, superando il PSOE: Madrid innanzi tutto (20,9 %), ma anche la Navarra (23 %) e le Baleari (23 % pure qui). In altre sette comunità arriva terzo, come a livello nazionale, con percentuali che variano dal minimo dell’Estremadura (12,6 %) al massimo delle Canarie (23.2 %). Nelle restanti tre comunità (Castilla y León, Castilla-La Mancha e Murcia), feudi del PP, arriva quarto, superato da Ciudadanos, con percentuali comprese fra il 13 e il 15 %.
E dove si presentava in coalizione? In tutti e tre i casi il risultato è attorno al 25 %. E in un caso la coalizione arriva al primo posto (Catalogna, 24,7 %), negli altri due è al secondo (Galizia e Comunità Valenzana, rispettivamente 25 % e 25,1 %). C’è di che riflettere.
[1] Vedi Elezioni spagnole: Un comunicato di Anticapitalistas e l’ottimo Flavio Guidi: Solo la izquierda puede gobernar
[2] Cenni essenziali sulla legge elettorale nell’articolo La posta in gioco delle elezioni spagnole di dicembre (1). Del grande spostamento a sinistra non s’è accorto Andrea Bonanni, distratto: «La Spagna non si è spostata a destra e neppure a sinistra» (La Repubblica, 21 dicembre: «L’Europa malata di anti-politica», pag. 1). In effetti, geograficamente parlando, è sempre lì. Consigliamo comunque di (ri)leggere La zattera di pietra, di José Saramago.
[3] Non si deve dimenticare però che IU in Galizia e in Catalogna (qui tramite la sua formazione federata di Esquerra Unida i Alternativa) era in coalizioni di cui faceva parte Podemos: un certo numero di suoi voti risultano quindi “occultati”.
[4] Vedi SPAGNA 6 / Podemos e le elezioni del 20 dicembre