Sull’ultimo numero del nostro giornale avevamo illustrato la proposta emersa tra gli insegnanti di vari ordini di scuola in merito alla giornata di chiusura della scuola decretata dal DECS e dal governo per il prossimo 23 marzo.
Il governo, in buona sostanza, ha deciso di “compensare” i tagli che i docenti – così come gli altri funzionari del cantone subiranno a seguito delle decisioni contenute nel Preventivo 2016 – con una giornata di “vacanza” ulteriore, appunto quella di mercoledì 23 marzo: da qui la decisione di chiudere le scuole.
Di fronte a questa “concessione” (che nessuno ha richiesto, né rivendicato) il collegio dei docenti della scuola media di Camignolo ha lanciato l’idea di una sorta di sciopero a rovescio, invitando tutti i docenti a “tenere aperte le scuole” in quel giorno, recandosi al lavoro, e le famiglie a inviare i figli a scuola.
La proposta ha ormai conquistato, è il caso di dirlo, la grande maggioranza dei docenti: tutto il settore medio e quello medio superiore si sono pronunciati, attraverso risoluzioni votate dai rispettivi collegi, a favore di questa proposta; lo stesso stanno facendo, anche se la procedura e il contesto sono più difficili, diverse sedi di scuola elementare e scuola dell’infanzia.
Il messaggio, che emerge dalle diverse prese di posizione, è chiaro ed ha un duplice aspetto: da un lato la difesa della qualità del servizio pubblico scuola, dall’altro la difesa delle condizioni di lavoro, di insegnamento, fondamentali per garantire qualità e dignità al lavoro degli insegnanti e garantire la qualità dell’apprendimento.
Alla base della decisione governativa del 23 marzo vi è un ragionamento abbastanza chiaro e ormai ossessivo: la necessità di risparmiare.
È un discorso che investe ormai il settore pubblico in molti Cantoni. In Ticino un ragionamento analogo ha orientato tutta la proposta di pianificazione ospedaliera; a Lucerna il governo avrebbe voluto diminuire di una settimana l’offerta globale di insegnamento; a Ginevra, le recenti mobilitazioni del personale della funzione pubblica, contestavano, tra le altre cose, anche i risparmi in ambito scolastico.
E che si voglia andare in questa direzione anche in un prossimo futuro, lo confermano proposte come quelle emerse in casa liberale (in vista del pacchetto di risparmio di 180 milioni che dovrebbe “risanare” le finanze del cantone): ad esempio con l’idea di diminuire di un anno la durata della scuola dell’obbligo (analoga proposta, tra l’altro, era stata avanzata due o tre anni fa, per la durata del Liceo).
Di fronte a tutto questo l’azione del 23 marzo vuole ribadire la difesa della scuola come servizio pubblico.
Naturalmente difendere non basta. È oggi più che mai necessario rilanciare una discussione di fondo sul potenziamento della scuola, sulla riforma dei suoi programmi e delle sue strutture; e, allo stesso tempo, sulla necessità di investire nella scuola: un passaggio senza il quale qualsiasi proposta di “riforma” o di “rinnovament” finisce per essere un discorso vuoto.
Accanto al tema del servizio pubblico, vi è quello fondamentale della condizione professionale degli insegnanti: una condizione che dal punto di vista materiale, sociale e culturale ha subito negli ultimi due decenni un lento ma profondo processo di degradazione.
Le decisioni e le proposte governative degli ultimi anni (da quelle salariali a quelle relative a vari aspetti dello statuto dell’insegnante) hanno contribuito fortemente a questo stato di cose.
Tutti questi elementi convergono nella decisione relativa alla giornata del 23 marzo. Essa esprime il disagio dei docenti e la loro volontà di reagire in difesa della loro condizione e, allo stesso tempo, del servizio pubblico scuola.
Ma altre nubi si addensano all’orizzonte. Pensiamo, come già ricordato, al pacchetto di risparmi che incombe e i cui tratta definitivi dovrebbero svelarsi proprio nei primi mesi del prossimo anno.
In questa prospettiva, la giornata del 23 marzo potrebbe essere il punto di avvio di una necessaria mobiltiazione che, speriamo, possa coinvolgere tutto il settore pubblico cantonale, così come tutti coloro che fossero colpiti dalle misure di austerità prospettate dal governo.