La caduta della moratoria all’apertura di nuovi studi medici voluta dalle lobby delle casse malati e l’adozione da parte del Gran Consiglio della nuova pianificazione ospedaliera avranno per il Ticino un impatto maggiore sui costi del settore medico-sanitario.
Il “golpe”, come ben definito dal direttore del Dipartimento della sanità, della soppressione del divieto di aprire nuovi studi medici avrà per il cantone, come già da più parti evidenziato, conseguenze economiche negative sulla crescita dei premi delle casse malati. Ciò è dovuto al fatto che il sistema svizzero di remunerazione dell’attività medica ambulatoriale è particolarmente attrattivo, poiché fondato sul pagamento di ogni singola prestazione effettuata, cosa questa non possibile, o solo in modo molto limitato, in alcuni altri Paesi europei. Va inoltre ricordato che nel nostro Paese i controlli sull’effettiva erogazione delle prestazioni fatturate, sui conflitti di interesse e sulle pratiche di “comparaggio” sono scarsi se non del tutto assenti. Questa modalità di remunerazione rappresenta quindi un potente incentivo economico a moltiplicare le prestazioni o, come dicono gli economisti, ad “indurre la domanda”.
Questa dinamica di “induzione” dei consumi, resa possibile dall’analfabetismo sanitario del paziente, è tutt’altro che teorica. Infatti interrogando un campione rappresentativo di medici svizzeri in occasione di uno studio pubblicato sul loro Bollettino alcuni anni or sono risultava che il 70% riteneva “sicura o molto probabile” l’induzione della domanda (cioè la promozione del consumo presso i pazienti), allorquando essi percepivano una minaccia al loro reddito dovuta all’arrivo di nuovi medici (concorrenza). Quindi cadendo la moratoria e aprendo il “mercato” all’arrivo di nuovi colleghi perfino i medici già operativi aumenteranno la quantità delle loro prestazioni “a legittima difesa” del mantenimento del loro reddito precedente. Va qui infine ricordato che in Svizzera nessuno verifica la qualità delle cure, cioè l’appropriatezza delle prestazioni alle effettive necessità di cura del paziente. Si stima che le prestazioni inappropriate, quelle cioè che non danno nessun beneficio al paziente o lo sottopongono perfino a rischi evitabili, rappresentano negli Stati Uniti il 30% di tutte le prestazioni erogate, il che corrisponderebbe per la Svizzera ad uno spreco di circa 20 miliardi di franchi, a cui andrebbero aggiunti altri 5 miliardi di franchi per pratiche fraudolente.
Sono in dirittura di arrivo nel nostro cantone due nuovi istituti privati di radiologia a Lugano e un centro di chirurgia ambulatoriale, pure privato, a Bellinzona. Se saranno autorizzati i costi ce li ritroveremo nei premi Lamal dei prossimi anni.
Tra i costi non vanno inoltre dimenticate le remunerazioni versate dagli istituti ospedalieri, sia pubblici che privati, a primari, vice-primari, capi-clinica e consulenti. Una riforma dei sistemi di remunerazione di questi medici dovrebbe essere al più presto attuata, sia per rendere questi professionisti più indipendenti dagli incentivi economici e dai “bonus” di produzione, sia per una questione di semplice equità remunerativa verso il resto della società.
Perché, ad esempio, i radiologi, definiti da un ex consigliere di Stato alcuni anni or sono come i “fotografi dell’ospedale”, possono incassare tra il mezzo milione e i 700’000 franchi all’anno? Perché alcuni oncologi privati attivi in cliniche svettano oltre il milione e mezzo, mentre gli oncologi dello Iosi sono equamente remunerati con stipendi fissi?
Intrigante, ma non troppo, è il caso del servizio di oftalmologia di importanza cantonale presso l’ospedale Italiano che, oltre a non assicurare un pronto soccorso oftalmologico con la presenza in sede di uno specialista 24 ore su 24 per il bene dei 700.000 occhi degli abitanti del cantone, si distingue per essere probabilmente l’unico servizio in Svizzera di questa molto ben rimunerata specialità medica a creare un disavanzo d’esercizio per l’Ente ospedaliero cantonale!
Per concludere, una considerazione sulla nuova Pianificazione ospedaliera. Perché nel settore somatico acuto si è tanto accanitamente discusso sul pro e contro il mantenimento di servizi di medicina di prossimità negli ospedali di valle di Faido ed Acquarossa invece di escludere dall’elenco degli istituti autorizzati a lavorare a carico della Lamal le tre strutture “for profit”, cioè le cliniche Sant’Anna, Ars Medica e Santa Chiara? Cosa offrono oggettivamente queste strutture in più di quanto già oggi è offerto dall’Eoc, dalla Clinica Luganese e dal Cardiocentro Ticino? Nulla, assolutamente nulla, e per di più questi istituti effettuano ogni anno migliaia di interventi chirurgici senza disporre di servizi di cure intensive e ciò con buona pace del declamato, generico e virtuale obiettivo pianificatorio di miglioramento della “qualità” delle cure, obiettivo sbandierato fino alla noia durante tutto il dibattito parlamentare, ma il cui contenuto pratico rimane un assoluto mistero.
È chiaro che escludendo questi istituti, cosa che il Cantone poteva legalmente fare, ci sarebbero stati, oltre a quelli già annunciati, altri ricorsi supplementari contro la Pianificazione, ma si sarebbe almeno dato un segnale politico e tecnico forte e chiaro della volontà di riportare il tasso di ospedalizzazione somatico-acuto ticinese entro i parametri nazionali, e calmierare così sia la crescita dei premi dell’assicurazione contro le malattie sia il versamento di sussidi per coloro che non ce la fanno più.
I tassi svizzeri per la chirurgia ortopedica sono i più alti d’Europa, quelli ticinesi ancora più elevati. Tutti interventi necessari e adeguati quelli fatti in questo settore ed in particolare presso la clinica “dedicata” Ars Medica? Perché il presidente del CdA delle cliniche Sant’Anna e Ars Medica ha chiesto alla Commissione di pianificazione di “flessibilizzare” i volumi massimi di interventi consentiti? Entro il 2020 la Pianificazione dovrà in ogni caso essere rifatta, sarebbe opportuno che questo esercizio, ricorsi e referendum permettendo, iniziasse il più presto possibile.
*ex professore di Politica ed economia sanitaria alle università di Losanna e Lugano
Tratto da il caffè del10 gennaio 2016