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abricoSono almeno tre le ragioni per le quali la Nuova legge sull’apertura dei negozi, in votazione il prossimo 28 febbraio, va combattuta. La prima, evidente, attiene al prolungamento degli orari di aperta serali: tutti i giorni in settimana fino alle 19.00 (il giovedì , come ora, restano aperti fino alle 21.00) e il sabato fino alle 18.30. Si tratta quindi di un prolungamento complessivo di 4 ore settimanali.

Naturalmente, come ama ripetere il padronato, si tratta di un prolungamento degli orari di apertura e non del prolungamento dell’orario di lavoro dei dipendenti. Ma sappiamo benissimo quanto questi due elementi siano intimamente legati, in particolare nella prospettiva, sempre più decisiva per il padronato, di rendere il più redditizie e produttive possibili le ore lavorate, aumentandone cioè l’intensità e la produttività.
In realtà il prolungamento degli orari di apertura ha come conseguenza il prolungamento della estensione degli orari di lavoro effettivi. Capita infatti sempre più spesso che le 8 – 8 e ½ ore di lavoro effettivo di molti lavoratori (cassa, rifornimento scaffali, etc) vengano spezzettate in due-tre momenti, blocchi, durante la giornata, in modo da coprire le necessità dettate dal flusso dei clienti. La legge sul lavoro (LL) è d’altronde estremamente permissiva su questo punto: il lavoro può essere ripartito tra un intervallo di 13 ore ed una volta alla settimana addirittura di 16 ore. In altre parole tra il momento in cui il lavoratore comincia la sua giornata di lavoro (ad esempio alle 8.00 del mattino) e l’ora in cui termina le 8 ore lavorate possono essere passate ben 13 ore (ad esempio le 21 di sera). In questo lasso di tempo è evidente che vi è un tempo non di lavoro (le pause e le interruzioni) che non necessariamente è un tempo libero, cioè un tempo a completa disposizione del lavoratore o della lavoratrice.
Inoltre la fine sistematica del lavoro alle 18.30 anche al sabato significa che i lavoratori e le lavoratrici della vendita potranno dire addio all’unico giorno in cui, terminando un po’ prima (le 17.00) potevano sperare di avere una fine di serata (cena e famiglia) tutto sommato ancora normale. Con la nuova regolamentazione il sabato diventa di fatto come gli altri cinque giorni.
La seconda ragione della nostra critica riguarda le deroghe per festivi e domeniche. Oramai, mettendo tutto assieme, si potranno collezionare almeno una decina se non di più di domeniche e festivi, praticamente un festivo al mese. Un chiaro e netto peggioramento per le condizioni di lavoro.
Infine, e siamo alla terza ragione della nostra opposizione, assistiamo ad un vero e proprio processo di liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi annessi alle stazioni di benzina. Negozi che ormai, sotto l’egida di COOP e Migros, stanno diventando sistematicamente dei veri e propri supermercati, sia per le dimensioni, sia per l’offerta merceologica. Questi negozi annessi alle stazioni di benzina (forse bisognerebbe usare definitivamente, come già abbiamo fatto in passato, la formulazione opposta, qualificando questi siti di negozi con annesse stazioni di benzina) potranno di fatto aprire 7 giorni su 7 e 24 ore su 24. È vero che tale regolamentazione si applica alle strutture poste sui grandi assi di comunicazione; ma (ed in passato abbiamo già pubblicato la lista esaustiva), le strade previste per queste deroghe coprono di fatto la stragrande maggioranza degli assi stradali cantonali.
Tutte ragioni importanti per opporsi ad una legge che non solo peggiora in modo importante le condizioni di lavoro del personale della vendita; ma introduce elementi di ulteriore disgregazione sociale attraverso l’ampliamento della mercificazione del tempo sociale. Tempo di lavoro e consumo diventano così sempre più ampi a scapito del tempo libero inteso come attività socialmente e culturalmente (in senso ampio) arricchente.
Risibile poi la decisione del Gran Consiglio di legare l’entrata in vigore della legge all’approvazione di un CCL tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni padronali del settore della vendita. Come noto questo legame è stato addirittura sconfessato dal Tribunale federale. Ma il Gran Consiglio ticinese, sempre pronto a decretare la irricevibilità di iniziative popolari o proposte di legge scomode, non si fa problemi quando ha bisogno di regalare una patacca (a chi è pronto ad accettarla) pur di raggiungere i propri obiettivi. Ancora una volta, qualora ce ne fosse stato bisogno, il diritto borghese dimostra quanto sia dipendente dai rapporti di forza politici e di classe.
Il momento è oggettivamente difficile; la crisi del commercio legata alla evoluzione del tasso di cambio offre oggettivamente argomenti ai sostenitori della liberalizzazione che, con più facilità del solito, potranno cercare di vendere il loro semplicistico ragionamento per cui orari di apertura più lunghi rappresenterebbero un freno al cosiddetto “turismo della spesa” verso l’Italia.
Come noto a fare la spesa in Italia è il padronato, ogni giorno, andando ad acquistare forza-lavoro (sono oltre 60’000 ogni giorno) alla quale concede scarsi diritti e salari bassi, mettendoli in concorrenza con i lavoratori e le lavoratrici; per organizzare poi la divisione e la concorrenza sistematica tra lavoratori svizzeri e stranieri (in primis frontalieri), rei questi ultimi di “rubare” il lavoro agli “indigeni”.
Un NO chiaro il 28 febbraio alla nuova legge sugli orari di apertura dei negozi deve essere anche un chiaro NO a questa propaganda xenofoba e razzista, inscenata dal padronato e dai suoi rappresentanti politici.