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asangottardoIl dibattito sulla costruzione di un secondo tunnel autostradale attraverso il Gottardo è ormai entrato nel vivo. Come prevedibile, il rullo compressore dell’apparato mediatico dei fautori del raddoppio detta i temi e i ritmi del dibattito, con la complicità di buona parte della stampa borghese.

Vale dunque la pena affrontare le principali accuse che il fronte pro raddoppio sta muovendo ai contrari al secondo tunnel e inserire questa battaglia nel giusto contesto. Non si tratta infatti solo di una battaglia per la difesa del Gottardo e del Ticino, ma si tratta di una lotta che abbraccia idealmente tutte le lotte contro le grandi opere in Italia e in Europa e che si pone al centro di un fondamentale dibattito: quello del sistema di produzione e trasporto delle merci Europeo e mondiale.

 

Lo spreco di territorio: le stazioni di trasbordo a confronto con i cantieri del raddoppio

Al momento in cui appariva ancora a tutti (contrari e non al raddoppio) necessario chiudere l’attuale galleria al traffico per un periodo più o meno prolungato a dipendenza degli interventi ritenuti necessari, fino a un massimo di circa tre anni, i fatidici mille giorni che avrebbero legittimato la deroga alla norma costituzionale decisa nel 1994 con l’Iniziativa delle Alpi che proibisce la costruzione di nuove vie per il transito su gomma attraverso il Gottardo, il dibattito ruotava attorno alle stazioni di trasbordo provvisorie. Strutture che avrebbero permesso un attraversamento delle Alpi Sud-nord sfruttando l’infrastruttura ferroviaria e senza la necessità di costruire il secondo tunnel durante i lavori di risanamento. Si sarebbe trattato di cominciare il trasferimento del traffico merci su rotaia utilizzando AlpTransit e di allestire delle stazioni di trasbordo per il traffico privato, il quale sarebbe stato trasportato lungo l’attuale tracciato ferroviario in uso.
I fautori del raddoppio si sono scagliati sulla proposta gridando allo sperpero di soldi pubblici per una struttura provvisoria e che avrebbe occupato importanti porzioni di territorio senza comportare alcun introito.
I fatti, hanno però dovuto dare torto ai sostenitori del raddoppio: l’Ufficio federale delle strade (USTRA) ha dovuto infatti rivedere al rialzo la stima delle aree destinate ai cantieri di costruzione del secondo tunnel, che sarebbero passati dai 29’000 metri quadrati stimati sino ad ora a ben 220’000 metri quardati solo per il cantiere di Airolo (per Göschenen si pensa che saranno di più). A titolo di paragone, basti pensare che per le stazioni di trasbordo sono stati previsti 50’000 metri quadrati a Biasca e 50’000 a Rynächt.
Come se non bastasse, in Ticino, tali terreni non sarebbero in possesso della Confederazione se non in misura del 23%. Si tratterebbe dunque di acquistare il restante 77%. Tali cifre, aggiunte all’ingente costo dei lavori veri e propri di costruzione di una nuova galleria, superano di gran lunga quelli delle stazioni di trasbordo. E questo, sia in termini economici, sia in termini territoriali.
Questo aspetto del dibattito è stato però superato dalla confutazione di un altro argomento: quello della necessità di chiudere la galleria per lavori di risanamento di grossa entità. Cosa che avrebbe chiamato in causa persino la cosiddetta “unità nazionale”!

 

La chiusura del tunnel e l’isolamento del Ticino

Il cosiddetto isolamento del Ticino deriverebbe da lavori necessari di risanamento dell’attuale tunnel che ne imporrebbero la chiusura per circa tre anni. Lo stato della galleria è infatti considerato drammatico dai sostenitori del raddoppio, che ritengono necessari lavori di tipo strutturale.
Tali argomenti sono stati confutati da tre fatti: il primo è che la maggior parte dei lavori, come già scritto a più riprese, non sono necessari perché rappresentano un adeguamento alle normative europee, ma che in Svizzera non hanno alcuna base legale, le quali, per di più, riguardano la costruzione di nuove gallerie e che non sono applicabili alle gallerie già presenti.
Il secondo, lo stato della galleria non è così drammatico come vorrebbero farcelo sembrare, magari attraverso qualche foto sensazionalistica pubblicata sul periodico del TCS che a noi profani dice poco, se non accompagnata da didascalie che ribadiscono la pericolosità delle situazioni ritratte. Uno studio dell’USTRA ha infatti dimostrato, cifre alla mano, che lo stato della galleria non è poi così deteriore come ce lo avevano paventato anni fa. Questo permetterebbe di risanare la galleria con degli interventi che potrebbero essere effettuati nell’ambito delle chiusure notturne già previste dai lavori ordinari di manutenzione.
In terzo luogo, i lavori appena evocati, oltre a non imporre la chiusura del tunnel, potrebbero essere intrapresi subito e avere un costo di soli 250 milioni di franchi (un risparmio che farebbe piangere i nostri poveri impresari costruttori e la nostra industria del cemento…). Essi consentirebbero una tenuta in sicurezza del tunnel fino al 2035, termine dopo il quale sono comunque esclusi lavori di un’entità tale da dover chiudere la galleria per periodi a tal punto prolungati da giustificare la costruzione di una seconda. I materiali sempre più efficienti in termini di resistenza ai gas di scarico e la minor corrosività degli stessi dovuta, da una parte alla necessaria diminuzione del passaggio di mezzi pesanti, per cui è stata costruita AlpTransit, dall’altra alla sempre maggiore efficienza energetica dei nostri mezzi di trasporto, renderanno la degradazione dei materiali di cui è costruita la galleria sempre meno rapida.

 

Senza secondo tunnel, siamo davvero meno sicuri?

Un argomento di chi vorrebbe costruire una seconda canna stradale è che essa impedirebbe gli incidenti frontali in galleria, diminuendo così il tasso di mortalità all’interno dell’attuale galleria. La prima obiezione che possiamo muovere è che gli effetti di una tale misura si vedrebbero solo alla fine dei lavori e dunque tra circa 20 anni, se non di più. Durante questo periodo d’attesa, l’importante spesa sostenuta per la costruzione di un secondo tunnel, che ammonta a tre miliardi, fungerà da scusa per non intraprendere misure urgenti di messa in sicurezza del traffico.
In seconda battuta, va detto che la maggior parte degli incidenti in galleria ha coinvolto mezzi pesanti. Una prima misura della sua messa in sicurezza, dovrebbe essere l’obbligo per questi ultimi di passare su rotaia, rendendo così fruttuoso l’investimento di 24 miliardi di franchi per la costruzione di AlpTransit.
In terzo luogo, visto che i favorevoli al raddoppio giocano alla conta dei morti e alla responsabilizzazione dei contrari per le eventuali future vittime d’incidente, facciamo due conti. Dal 2003 al 2013, nella galleria del San Gottardo sono morte 8 persone, mentre nello stesso periodo sulla tratta Chiasso-Airolo hanno perso la vita 28 persone.
Un rapporto dell’Ufficio prevenzione infortuni, afferma inoltre che un aumento del 3% del traffico sulla tratta Chiasso-Airolo aumenterebbe gli incidenti al di fuori della galleria in modo tale da annullare i vantaggi in termini di sicurezza che darebbe un secondo tubo. Anche nell’improbabile ipotesi che il Consiglio federale avesse la volontà e/o la capacità di mantenere la promessa di non aprire il traffico a quattro corsie una volta ultimati i lavori, è innegabile che i due tunnel comporterebbero un aumento del traffico attraverso il Gottardo. Non fosse altro che per la minore necessità di dosare il traffico e per la possibilità, già messa in conto, di aprire le corsie d’emergenza per smaltire il traffico eccezionalmente intenso.

 

Una battaglia tutta ticinese in perfetto stile nimby o una questione internazionale?

Potrebbe apparire, quella del rifiuto di un nuovo tunnel autostradale in Ticino una battaglia di stampo tutto nimby (“not in my backyard”, che tradotto in italiano suona come “non nel mio giadino di casa). In realtà, benché caratterizzato da aspetti profondamente localistici, il dibattito sulla costruzione del secondo tunnel attraverso il Gottardo ha un respiro internazionale che travalica persino i confini per l’Europa, toccando temi che riguardano l’attuale assetto di produzione-distribuzione delle merci.
Il primo aspetto che va messo in rilievo è l’assoluta mancanza di volontà da parte dell’Unione europea di trasferire il traffico merci da gomma a rotaia sull’asse Sud-Nord, prediligendo invece una soluzione su strada che possibilmente sgravi la galleria del Brennero a scapito di quella del San Gottardo. Si calcola che, solo grazie alla maggior capacità di transito dovuta alla maggior scorrevolezza del traffico derivante da una seconda canna a una sola corsia, un terzo del traffico merci che attraversa attualmente il Brennero potrebbe riversarsi sul Gottardo.
Se leviamo lo sguardo alle novità che si stanno proponendo a livello del commercio euroasiatico, il quadro si fa ancora più inquietante. Dal 6 agosto 2015 il Canale di Suez ha raddoppiato la propria capacità. La borghesia internazionale si sta preparando a potenziare le rotte commerciali, anche attraverso il raddoppio, previsto entro il 2030 della capacità di trasbordo dei container nei porti liguri. Non potranno che rallegrarsene la ditta di logistica Maersk, che ha ordinato 11 nuove navi con una capacità di 20’000 container e la sua concorrente COSCO, che ha ordinato 10 mega navi-container. A questo quadro, già inquietante, dobbiamo aggiungere l’imponente ampliamento del porto di Rotterdam. Per collegare i due distretti portuali attraverso l’Europa, il passaggio attraverso il Gottardo rappresenta un risparmio di 300 chilometri rispetto a quello attraverso il Brennero.
In questo contesto, la battaglia contro il raddoppio del Gottardo rappresenta una messa in questione dell’attuale politica dei trasporti dell’Unione europea e un punto a favore del trasferimento del traffico da gomma a rotaia.